- Ancora una volta lo spettro di una nuova crisi finanziaria appare difficile da comprendere per i cittadini. Mentre siamo pronti a manifestare per le decisioni della politica, le logiche economiche ci appaiono misteriose, anche se possono portare a conseguenze non meno gravose.
- Questo avviene perché da oltre un secolo tra politica ed economia si è inserito il progresso scientifico che è diventato sempre più iperspecializzato e ha trovato proprio nell’economia il partner ideale. E ciò ha escluso la politica dalla possibilità di dare finalità e direzione allo sviluppo.
- Se la «padronanza del mondo» di cui parlava Max Weber è gestita solo da sapere scientifico e potenza economica, il risultato rischia di non essere sinonimo di progresso. Per realizzarla, occorre un progetto che rimetta l’uomo al centro, altrimenti anche il futuro rischia di rimanere sempre incomprensibile.
Per questa volta forse riusciremo a scamparla. La crisi finanziaria che si è affacciata la scorsa settimana sui nostri notiziari sembra poter evitare gli effetti disastrosi delle precedenti. E tuttavia i meccanismi che l’hanno generata sono rimasti per lo più oscuri a chi non opera nel mercato, pur essendo potenzialmente non meno gravosi di un aumento dei tassi di interesse, di una riforma delle pensioni o del taglio ai sussidi sociali. Decisioni che invece sentiamo molto vicine e per le quali infatti siamo pronti a scendere in piazza.
Sembra essere destino della nostra società quello di doversi misurare ciclicamente con conseguenze di logiche economiche che troppo spesso non comprendiamo. Il che ci porta a considerare la finanza quasi come una divinità misteriosa, i cui capricci devono essere accolti supinamente dalla politica.
Avviene da oltre un secolo, da quando nella liaison tra gli ideali di un popolo e i soldi necessari a realizzarli si è inserita una terza figura: il progresso scientifico. Intendiamoci, la conoscenza tecnica ha permesso al nostro mondo di prosperare, ma si è anche evoluta in mille rivoli iperspecializzati, evitando di guardare alla società in modo organico in favore della perpetua ricerca dell’efficienza. E per un sapere di questo tipo, tanto più razionale quanto segmentato, una società individualista come la nostra ha trovato il partner ideale: l’economia. Il nostro capitalismo ha bisogno dei prodotti della scienza quanto questa dei suoi finanziamenti.
Terzo incomodo
Ma ciò che rende questo matrimonio tra scienza ed economia alla lunga insostenibile è che ad esso la politica non è invitata. L’impossibilità di comprendere appieno i processi finanziari non è dovuto soltanto al loro tecnicismo, ma proprio all’indeterminatezza che li connota: alla mancanza di una progettualità chiara e comune che è invece compito della politica. Senza di essa, gli effetti delle loro evoluzioni non possono essere previsti perché non sono legati a una logica di società, ma a finalità individuali distinte e spesso discordi. Ed è così che finiscono per diventare pericolosi.
Un impasse evidente sin dal principio, ma divenuta urgente da risolvere oggi, immaginando un nuovo sistema d’alleanze: già Max Weber affermava la necessità per la politica di integrarsi con la scienza, e per quest’ultima di realizzare come il proprio sforzo intellettuale operi sempre dentro la società e nei riguardi dei bisogni di essa. Solo se si riconoscerà un interesse in comune, un rapporto reale tra scienza e politica si creerà davvero una controparte alla finanza e all’economia tutta, non per limitarne lo sviluppo, ma per avanzare proposte che rendano il suo potere meno indefinito.
Questa alleanza si è talvolta già saputa realizzare, anche nella storia recente. Due esempi su tutti: grazie a essa, gli Stati Uniti hanno vinto la corsa allo spazio e il mondo la lotta al Covid. E, tuttavia, questo connubio è ancora lontano dal diventare sistemico, cosicché sembra più probabile che sarà di nuovo la ricerca privata a portarci su Marte e incassarne i dividendi.
Pensare che proprio Weber identificava come «padronanza del mondo» l’idea di governare la natura attraverso la tecnica per arrivare ad un fine di libertà e uguaglianza per l’umanità. Oggi è ancora più evidente che se «la padronanza» viene gestita solo dall’unione di sapere scientifico e potenza economica il risultato rischia di essere vago, incoerente e non necessariamente sinonimo di progresso. Per realizzarla invece occorre un progetto che rimetta l’uomo al centro. E questo non può che essere politico. Altrimenti potrebbe capitare che il prossimo razzo per Marte difettoso lo facciano pagare a noi, pubblico o privato che esso sia. E anche questa volta non sapremo spiegarci il perché.
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