Fare un giornale, per di più un giornale di carta, è oggi un'azione eminentemente politica. Per ricostruire il rapporto spezzato tra politica e cultura. Per questo il nostro impegno continuerà, più necessario di prima
La copertina del nuovo numero di Politica, realizzata da Marilena Nardi, mostra un’Italia che cammina sul filo, che danza sull’emergenza, come nel mezzo di un’alluvione, la rivelazione di una fragilità. Come il francese Philippe Petit, il funambolo che nel 1974 attraversò lo spazio tra le Torri gemelle a New York, inaugurate un anno prima, percorrendo un cavo di tre centimetri di spessore, a 417 metri di altezza, sospeso nel vuoto. «L’equilibrista sulla corda è in uno stato di equilibrio instabile. Il suo talento consiste nel far sì che la forza che tende a farlo cadere non acquisti mai una potenza superiore a quella di cui egli dispone per contrastarla», scrisse dopo l’impresa nel suo trattato sul funambolismo. E aggiunse un’altra avvertenza: «La camminata all'indietro non viene praticata».
Si può andare avanti, o restare fermi nell’attesa che gli imprevisti svaniscano. Solo così si può mantenere l’equilibrio, superare i colpi del vento, gli inciampi, la paura di cadere. Ma non si può tornare indietro. La democrazia è quel filo da non spezzare, quel passo che avanza a volte con troppa lentezza verso una prospettiva. Potrei aggiungere: quell’Italia sul filo è anche l'Europa che si muove in attesa del voto questa volta decisivo del 2024. Quel filo, infine, è la Politica. E nel disegno il filo si sta dissolvendo. Sta scomparendo, diventa una linea spezzata.
Questa copertina è anche l’ultima di questo giornale inserito in Domani, come un mazzo di fiori del fine settimana, immaginato con Stefano Feltri e con l’editore. Le splendide opere di Marilena Nardi sono state un punto di forza, il nostro biglietto da visita, il ritratto di quanto volevamo dire in quel tempo della nostra vita che è un mese. Dieci copertine e dieci parole per accompagnare questa stagione cruciale per l’Italia e per l’Europa.
Siamo partiti con il Vuoto, con un’Italia di nuovo sospesa, questa volta sull’altalena. Era il 20 settembre 2022, alla vigilia del voto del 25 settembre che avrebbe consegnato il governo a Giorgia Meloni, con la guerra di Putin a un paese libero e indipendente che arrivava al settimo mese. E poi Democrazia, come un fiore che spunta. Movimenti, con una Greta Thunberg-Sisifo che regge la Terra. Corpi, che sono la materialità e la spiritualità della politica. Sono seguiti i Vulnerabili, i Riluttanti, testimoni del cambiamento, Effetto Schlein, con la segretaria del Pd appena eletta con in mano un palloncino a forma di melograno, l’unica politica a essere arrivata in copertina. E quindi Rinascita, e poi Libere.
In accordo con il direttore Emiliano Fittipaldi, il cammino di Politica continuerà dentro le pagine di Domani. Con le sue idee, le sue proposte, le sue firme. Necessarie, oggi ancora più forse di dieci mesi fa. Dieci mesi fa Giorgia Meloni vinceva le elezioni e chiudeva trent’anni di vuoto, in coincidenza con la sua stessa vita politica, da giovanissima militante del Movimento sociale a presidente del Consiglio.
Il suo potere oscilla tra il tecno-populismo, la nostalgia delle vecchie radici e una forma moderna di nazionalismo che è la sua vera cifra. Abbiamo assistito alla dissoluzione dei partiti dell’opposizione e del Pd e poi alla nascita di una speranza che si è posata su Elly Schlein. Ma nessuno riuscirà a costruire un’alternativa politica alla destra senza la crescita di altri luoghi di rappresentanza sociale, i luoghi della politica che non trovano spazio tra i professionisti della piccola manovra di cui abbonda oggi il paesaggio.
Serve una rinascita, una rigenerazione, una rifioritura. In un anno cruciale che ci porterà, nella prossima primavera, esattamente tra un anno, alle elezioni europee del 2024, le più politiche nella storia dell’Unione. Anticipo delle elezioni presidenziali Usa nel novembre 2024, mentre la guerra in Ucraina riscrive la politica globale.
Per questo credo che fare un giornale, per di più un giornale di carta, sia oggi un’azione eminentemente politica. Tra i luoghi della politica che sono venuti meno, oltre ai partiti, i territori, le istituzioni assembleari fino ad arrivare al parlamento, ci sono anche i castelli di carta che nel Novecento chiamavano giornali e che oggi sono sostituiti da un flusso continuo di notizie, immagini, video, suoni, aggiornamenti in tempo reale. Ci danno l’idea di una onnipotenza dell’informazione, ma non sono riusciti a costruire quello che manca, una piattaforma, un luogo di dibattito aperto, un punto di incontro tra il giornalismo, il pensiero, la cultura e la politica. In una realtà destabilizzata come quella italiana.
Aver separato in questi decenni la cultura dalla politica ha reso più astratta e più narcisista, più autoreferenziale la cultura, e più povera la politica, una lavagna bianca su cui ognuno può scrivere quello che vuole. Un giornale è il luogo in cui questo incontro torna possibile.
Il nostro sforzo, in questi dieci numeri, è stato quello di mettere in connessione tra loro mondi come le riviste di cultura politica (Il Mulino con Mario Ricciardi, Pandora con Giacomo Bottos, Digital Politics con Marco Valbruzzi e Federica Nunziata, Le Grand Continent con Gilles Gressani, Connessioni con Francesco Occhetta, Altopiano con Marco Almagisti e Paolo Graziano) dentro cui si muovono intelligenze, visioni del mondo, sacrosanti conflitti di idee.
Gli scienziati della politica come Sofia Ventura, Donatella Campus, Paolo Gerbaudo, gli storici Gregorio Sorgonà, Paolo Barcella, Massimo De Giuseppe, Alessio Gagliardi, Tommaso Baris. I filosofi Michele Nicoletti, Alessandro Aresu, Dante Monda. Le ricerche di Gino Mazzoli, Michele Colucci, Roberta Bracciale e Gianpietro Mazzoleni, Stella Bianchi. Le analisi di Alessandra Sardoni, Paola Natalicchio, Mario Giro, Franco Monaco, Cecilia D'Elia, Giorgia Serughetti, Renzo Guolo, Roberto Brunelli, Giulia Merlo, Davide Maria De Luca. L'agenda delle donne a cura di Elena Marisol Brandolini, con le conversazione con donne politiche nell'altro lato del mondo, in America Latina. I colloqui con Javier Cercas, Arturo Parisi e Rino Formica, i dialoghi tra Aldo Schiavone e Massimo Cacciari, gli scenari europei di Roberto Brunelli, i colloqui di Carmine Fotia. Le cronache dall’Emilia, non più rossa ma rosé, di Max Collini che già nel numero di ottobre 2022 si chiedeva: «Allen Schlein può atterrare davvero sul pianeta Pd?», le inchieste e i reportage di Elena Testi da Claviere a Tolone, dalla Campobello di Matteo Messina Denaro alla Cutro della strage dei migranti. L’origine della specie, in cui Marco Follini ha affiancato i personaggi della politica attuale ai protagonisti del passato, con penna felicemente velenosa.
L’identità è un valore
È un patrimonio compatto che non andrà disperso. Con un punto di vista preciso che lega le voci (molto) plurali che qui si sono incontrate. L’identità è un valore, non c’è discorso politico senza sapere chi sei. Ma l'identità è sempre in movimento, è nella storia, imperfetta, pronta a smentire le ideologie, cammina sul filo. Il campo dei diritti, dell'ecosistema, dell'uguaglianza sostanziale, il ritorno del pubblico dopo decenni di pensiero unico liberista che ha teorizzato l'inesistenza del dolore, della sofferenza, del fallimento, questioni da relegare nel privato di ciascuno, che non potevano avere rilevanza e conseguenze collettive.
Un percorso nel dolore, nella rabbia, ma anche nella speranza ci ha aiutato a farlo Costanza Savaia, con la sua sensibilità e la scrittura con cui riesce a dare parole alla sua interiorità. A lei spetta l'ultima pagina di Politica, così come spesso è toccata la prima. L'apertura, invece, è per Giuseppe Genna, scrittore visionario che tocca il punto centrale, ha ancora senso parlare di politica oggi? E per Daniele Mencarelli: il suo Diario Presente è stato in questi dieci mesi la nostra agenda, l'appuntamento con cui ripensare eventi epocali e minori delle settimane che erano appena passate eppure già volate via, senza neppure la malinconia. Nell'ultima pagina del suo Diario Mencarelli si concede invece una rincorsa nel futuro, da qui a cinquant'anni, quando nel 2073 ci sarà un paese guidato dal Partito socialista europeo, con i corridoi umanitari, la riforma del sistema carcerario, un paese cerniera, non solo verso le frontiere esterne, ma anche interne dove – oggi – si fanno sentire più forti cesure e fratture.
«Un futuro nuovo, sereno, chissà», mi ha scritto Daniele insieme al suo pezzo. I desideri di futuro, di migliorare la propria condizione, sono un pezzo della politica, eppure ce ne siamo dimenticati. Nominare uno a uno chi ha reso possibile questo giornale, insieme a Nicola Imberti, a Maria Tornielli e alla redazione di Domani, è un modo per abbracciarli tutti e continuare a guardare una linea di orizzonte, che resterà fragile, come nel disegno di Marilena Nardi, ma che non si spezzerà, come non si interromperà il dialogo con i lettori che ultimi ma per primi ringrazio di cuore. Non perdiamoci di vista.
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