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L’ultimo monitoraggio dell’Agcom mostra come l’equa rappresentazione delle forze politiche non sia stata rispettata nel corso delle ultime due settimane. I social rimangono un non luogo in cui ci si «autoregolamenta».
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la Lega e il M5S sono sotto rappresentati in molti telegiornali. Lo stesso vale per la sovra rappresentazione di Forza Italia sulle tre reti Mediaset. Anche Azione di Carlo Calenda ha ricevuto molto spazio mediatico.
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I dati mostrano anche la scarsa presenza femminile: nel totale di circa 70 ore in cui soggetti politici o istituzionali hanno preso la parola in tv dal 3 al 20 agosto, in 61 la voce era maschile (87 per cento del totale).
A un mese esatto dal voto, l’esposizione mediatica è uno dei tasselli fondamentali per costruire la campagna elettorale. Per questo il faccia a faccia tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, proposto da Porta a Porta, è stato cancellato dall’Agcom, l’autorità garante per le comunicazioni, perché in violazione della par condicio. L’invito era stato esteso anche agli altri leader, che avrebbero avuto mezz’ora di colloquio individuale, ma il fatto di privilegiare i due che, secondo i sondaggi, rappresentano il primo e il secondo partito in corsa, avrebbe violato le norme sull’uguaglianza di rappresentazione delle forze in campo.
I dati di monitoraggio delle ultime due settimane – dal 3 al 20 di agosto – mostrano tuttavia come le regole della par condicio non siano state rispettate su scala ben più ampia.
La legge del 2000 fissa le norme per garantire equità di trattamento alle forze politiche nel dibattito televisivo e radiofonico e divide il periodo elettorale in due. Il primo va dall’indizione dei cosiddetti comizi elettorali che segnano il via dell’iter elettorale fino al deposito delle liste, quindi dal 21 luglio al 22 agosto: per stabilire le quote di presenza in televisione si fa riferimento alla presenza dei partiti nelle camere uscenti o nel parlamento europeo, «in proporzione alla loro forza parlamentare». Il secondo blocco temporale va dalla presentazione delle liste al momento del voto, dunque dal 23 agosto al 25 settembre, e in questo tempo viene prescritta l’uguaglianza assoluta delle liste candidate, anche per i soggetti politici che non ereditano alcuna rappresentanza nel parlamento uscente. Questo dovrebbe garantire anche alle sigle politiche che si affacciano per la prima volta alla campagna elettorale di non venire schiacciate sotto il peso mediatico dei partiti già noti all’opinione pubblica.
I dati appena pubblicati dall’Agcom, tuttavia, mostrano come anche nel periodo appena concluso i partiti hanno avuto una copertura televisiva diversa rispetto a quella prescritta per legge. Prendendo solo numeri della Camera, attualmente il gruppo più numeroso è quello della Lega con 131 iscritti, a seguire Partito democratico con 97 e Movimento 5 Stelle con 96. Eppure, come si vede nel grafico, la Lega e il M5s sono sotto rappresentati in molti telegiornali. Lo stesso vale per la sovra rappresentazione di Forza Italia sulle tre reti Mediaset. Anche Azione di Carlo Calenda ha ricevuto molto più spazio mediatico rispetto alle dimensioni del gruppo in parlamento, che conta appena 7 deputati e 4 senatori, complici i vari cambi di fronte con l’alleanza poi saltata con il Pd.
Tuttavia, è facile notare anche come la rappresentazione televisiva non sta incidendo sui sondaggi: FdI, dato come primo partito sopra il 20 per cento, ha una copertura mediatica inferiore a tutti gli altri grandi partiti, compresi quelli della sua coalizione, visto che il suo attuale gruppo parlamentare è più piccolo.
In vista dell’ultimo mese, l’autorità ha rivolto un richiamo a tutte le emittenti perché provvedano, «nel rispetto della propria autonomia editoriale, ad assicurare un rigoroso ed effettivo rispetto delle condizioni di parità di trattamento». Ora che la campagna elettorale entra nel vivo e ogni casella ha il suo candidato, sia all’uninominale che nei listini plurinominali, infatti, comincerà la corsa a ritagliarsi ogni possibile spazio di visibilità sia a livello di informazione locale che nazionale. Con il rischio che spariscano in un cono d’ombra i partiti minori o quelli nuovi che correranno perché hanno raggiunto le firme per depositare il simbolo, come per esempio la lista Unione popolare.
In caso di violazione, è prevista una sanzione di tipo pecuniario che viene stabilita dall’Agcom. Il massimo previsto dalla legge è di circa 258mila euro, che di solito viene comminata ai programmi recidivi nella violazione.
Le donne
Dai dati Agcom emerge un dato ulteriore, che riguarda la presenza di voci politiche femminili per partito politico presenti sugli schermi. Nessuna legge e certo non quella attuale sulla par condicio impone regole sul genere di chi prende la parola in nome del proprio schieramento politico, tuttavia i numeri mostrano in modo evidente la disparità. La legge elettorale prevede che il 40 per cento dei seggi vadano al genere meno rappresentato e l’alternanza di genere nelle liste della quota proporzionale. Tuttavia, l’elezione passa anche attraverso la riconoscibilità delle singole candidate e, almeno in questo momento, la loro visibilità sui media tradizionali è tutt’altro che garantita.
Nel totale di circa 70 ore in cui soggetti politici o istituzionali hanno preso la parola in tv dal 3 al 20 agosto, in 61 la voce era maschile (87 per cento del totale). L’unico partito in cui la voce più ascoltata è stata quella di una donna è inevitabilmente Fratelli d’Italia, con la leader Giorgia Meloni. A seguire il Pd, dove però le politiche donne hanno preso la parola solo nel 19 per cento del tempo di rappresentazione mediatica del partito.
I social
Questa elezione anticipata è peculiare anche perché sarà l’ultima ad avvenire senza alcuna regola in materia di utilizzo dei social media. Se è vero che, secondo il rapporto Censis 2020, i telegiornali mantengono salda la leadership, rimanendo lo strumento che il 59 per cento degli italiani usa per informarsi, è altrettanto certo che la comunicazione politica si è massicciamente spostata sui social. Non a caso, polemiche ma anche contenuti elettorali vengono veicolati dai leader e dai candidati prima di tutto attraverso Facebook, Twitter, Instagram e ora anche Tik-Tok, dove non esistono regole chiare e la disintermediazione tra politico ed elettorato è massima.
Attualmente le uniche previsioni sono contenute nel regolamento approvato dal Consiglio dell’Agcom, che stabilisce un generico richiamo alle piattaforme chiamate a collaborare «mediante procedure di autoregolamentazione». In ambito video, «le piattaforme per la condivisione dei video sono tenute ad assumere ogni utile iniziativa volta ad assicurare il rispetto dei principi di tutela del pluralismo, della libertà di espressione, dell’imparzialità, indipendenza e obiettività dell’informazione», in conformità con gli impegni internazionali assunti con il Code of Practice on Disinformation
Tuttavia, dopo lo scandalo Cambridge Analytica del 2018, che ha rivelato le pratiche di raccolta dei dati durante le elezioni americane del 2016, l’attenzione europea sul tema è aumentata. Entro il 2023, infatti, la Commissione Europea punta ad approvare un regolamento in materia di pubblicità politica, introducendo obblighi di trasparenza e limiti all’uso dei dati personali sensibili.
L’obiettivo è quello di limitare pratiche che incidano negativamente sulla libertà di informazione degli utenti, aumentando anche il potere delle autorità nazionali sui monopoli e sui fenomeni lesivi per il pluralismo. In attesa di conoscere il dettaglio di queste regole e soprattutto come verranno fatte rispettare, per le politiche di settembre gli unici obblighi – non sempre rispettati – valgono ancora solo per la tv.
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