La corrente dei reduci del rottamatore nel partito lo vorrebbe come segretario al posto di Zingaretti. Il suo nome circolava anche per un ministero. «La restaurazione per far rientrare Matteo», la sintesi di un dirigente, che la dice lunga sul clima interno
- Il nome di Stefano Bonaccini circolava persino come possibile futuro ministro del governo di Mario Draghi.
- L’ipotesi avanzata dai renziani del Partito democratico ha avuto vita breve. Perché per il presidente della regione Emilia-Romagna la corrente che lo aveva proposto, Base riformista, ha ben altri progetti.
- Sponsor di Bonaccini sono il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, l’ex ministro Lorenzo Guerini, il sindaco di Firenze Dario Nardella e l’eurodeputata Simona Bonafè. Chi di Base riformista non si è allineato è Luca Lotti.
Il nome di Stefano Bonaccini circolava persino come possibile futuro ministro del governo di Mario Draghi. L’ipotesi avanzata dai renziani del Partito democratico ha avuto vita breve. Perché per il presidente della regione Emilia-Romagna la corrente che lo aveva proposto, Base riformista, ha ben altri progetti.
La componente dei reduci del rottamatore per il prossimo governo d’unità nazionale punta tutto su Lorenzo Guerini, che «difficilmente la spunterà visto che nel governo del Pd andranno in tre, due uomini e una donna, e prima di Guerini sono altri che avrebbero la precedenza», spiega un fonte ben informata che segue da vicino la partita delle nomine.
Sfilare Bonaccini dalla lista è anche un modo per preservarlo: Base riformista lo vorrebbe segretario del partito, anche subito, al posto di Zingaretti.
Il filo di Renzi
Il congresso del Partito democratico, tuttavia, non è all’ordine del giorno, ufficialmente la leadership del segretario Nicola Zingaretti non è in discussione. Ufficiosamente c’è un brusio di fondo che mette in dubbio il ruolo di guida dei democratici del presidente della regione Lazio. Gli orfani di Renzi non gli perdonano l’aver sostenuto Conte a oltranza e di essere stato l’ideologo dell’alleanza organica con i Cinque stelle.
Insomma, per Base riformista non è sufficiente che Zingaretti abbia messo in sicurezza il partito dopo le elezioni del 2018 e lo abbia stabilizzato. Il progetto alternativo a Zingaretti trova forma e sostanza in Emilia, in un altro governatore di regione: Bonaccini, appunto, che già alle scorse primarie per scegliere il segretario aveva sfiorato la candidatura.
Gli sponsor
Ora di nuovo spinto con insistenza dai nostalgici di Renzi. Sponsor di Bonaccini sono il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, l’ex ministro Lorenzo Guerini, il sindaco di Firenze Dario Nardella e l’eurodeputata Simona Bonafè. Chi di Base riformista non si è allineato è Luca Lotti, «non ne vuole sapere di questo gioco al massacro» dice un dirigente vicino a Zingaretti, «quando si aprirà una discussione si vedrà, nulla ci vieta di farlo in un congresso intermedio in cui discutiamo di idee, lo statuto riformato nel 2019 ci permette di organizzarne uno diverso da quello previsto tra due anni per elegere il segretario».
Bonaccini, delfino di Pier Luigi Bersani, ha scelto di stare con Renzi nel 2013, che ha lo ha premiato con un posto in segreteria e la delega agli Enti locali.
L’inizio del percorso che ha allontanato il presidente dagli eredi del Pci e dei Ds poi. Il filo con il mondo renziano non è mai stato tranciato neppure con la nascita di Italia viva. «Renzi può rientrare nel Pd», la frase pronunciata da Bonaccini a settembre, durante la festa del Partito democratico a Modena, aveva fatto infuriare i più fedeli a Zingaretti. Un rapporto simbiotico, confermano fonti del Pd, che si è manifestato anche alle elezioni regionali del trionfo contro Matteo Salvini: «La costruzione delle liste sono state guidate da Bonaccini, Renzi e Matteo Richetti».
Questione Cinque stelle
Il punto di rottura tra Bonaccini, i suoi sponsor e la segreteria Zingaretti è l’approccio sull’alleanza con i Cinque stelle.
L’idea di renderla organica, strutturale, non piace. «Bonaccini così come molti renziani non sono mai stati d’accordo», spiega il dirigente. Bonaccini dalla sua ha il vantaggio di aver rinunciato alla passata corsa per la segreteria con l’obiettivo di contrastare l’invasione sovranista in Emilia.
La sfida con la leghista Lucia Borgonzoni del gennaio 2020 è stata un corpo a corpo feroce combattuto tra la piazza di Bibbiano e il web.
Sulla comunicazione social Bonaccini ha compiuto il miracolo neutralizzando la violenza lessicale della propaganda sovranista incarnata dalla “Bestia” a servizio di Salvini: l’algoritmo, così definito dallo stesso staff comunicazione del leader leghista, in grado di interpretare il sentimento social degli utenti sui fatti del giorno.
Alla fine la “Bestia” si è ritirata con la coda tra le gambe e neppure la strumentalizzazione dell’inchiesta sul sistema affidi nata a Bibbiano sui “bambini rubati” l’ha salvata dalla sconfitta. Bonaccini sarà presidente fino al 2025.Tenterà davvero la scalata al partito? «Sarebbe la restaurazione per riportare Renzi nel partito», è la sintesi di un dirigente della sinistra Pd, che la dice lunga sul clima interno al partito. Unito per Draghi, balcanizzato sulla leadership interna.
© Riproduzione riservata