Il nome dello storico delle mafie italiane era stato fatto girare nelle settimane scorse come possibile candidato di Pd e Cinque stelle alle prossime regionali. È finita con una girandola di nomi di potenziali candidati, bruciati sul rogo allestito tra il Nazareno e Catanzaro, fino ad arrivare alla candidatura “scontenta-tutti”, quella di Maria Antonietta Ventura
- Lo storico della mafia racconta a Enrico Fierro che i colloqui su una sua possibile candidatura alle prossime regionali erano in corso da mesi. A chiedergli di candidarsi, anche le Sardine.
- Alla fine però, i leader di Pd e Movimento 5 Stelle e il gruppo dirigente locale hanno messo un veto sul suo nome.
- «Loro giocano a perdere e a spartirsi i dodici posti che toccano alla minoranza», dice Ciconte: lui invece voleva vincere le elezioni e provare a cambiare la sua regione.
Parla Enzo Ciconte. Il nome dell’apprezzato storico delle mafie italiane era stato fatto girare nelle settimane scorse come possibile candidato di Pd e Cinque stelle alle prossime elezioni regionali. È finita come è noto, con una girandola di nomi di potenziali candidati, bruciati sul rogo allestito tra il Nazareno e Catanzaro. Uno storico, una magistrata, la direttrice di un giornale, una imprenditrice. Tutti andati in fumo, fino ad arrivare alla candidatura “scontenta-tutti”, quella di Maria Antonietta Ventura, imprenditrice nel ramo ferrovie-grandi appalti.
Professor Ciconte, chiarisca un mistero. Lei non aveva alcuna intenzione di candidarsi, preso com’è dalle presentazioni del suo ultimo libro, ad un certo punto spunta il suo nome. Chi è stato il primo a farlo?
Nei mesi scorsi tante persone, sempre in via riservata. Messaggi, telefonate, appelli e mozioni affettive, di chi sa l’amore che mi lega alla Calabria, la mia terra. Era più un ambiente civico che politico. Ma un nome e cognome posso farlo, quello di Jasmine Cristallo, la leader delle sardine calabresi, che ne ha anche parlato pubblicamente.
E lei, qual è stata la sua reazione?
Messi da parte per un attimo i miei impegni, libri, l’università, un libro da completare per Laterza, ho sempre detto che se un profilo come il mio poteva unificare forze divise, essere percepito come una candidatura non di partito, o, peggio, di una corrente, sarei stato disponibile. Ma solo a queste condizioni.
Però nelle scorse settimane lei ha avuto una lunga telefonata con Francesco Boccia.
Confermo, è stata una piacevole conversazione sul Sud e sulla Calabria in particolare.
Conclusa con una proposta formale?
Mai, nessuna proposta. Fu una telefonata un po’ così.
Il no alla sua candidatura da chi è arrivato, le chiedo una risposta secca. Nomi e cognomi.
Eccoli: Giuseppe Conte, Enrico Letta, e settori dei gruppi dirigenti del Pd calabrese. Diciamo che è stato un no congiunto, unitario.
Sta parlando dei “feudatari legati alle poltrone” di cui parlava Nicola Irto, altro candidato mandato al rogo?
Non ho motivo di smentire Irto su questo punto. Quando gli amici che proponevano il mio nome si entusiasmavano troppo, li frenavo. Guardate che alcuni settori del Pd calabrese non ce la fanno a reggere la mia proposta, gli dicevo. Poi ho scoperto che anche al Nazareno avevano lo stesso problema. Loro giocano a perdere e a spartirsi i dodici posti che toccano alla minoranza, io avrei giocato per vincere. L’annuncio della mia candidatura aveva già smosso le acque e rimotivato fette di elettorato democratico che non votano, oppure che guardano con interesse alle liste di de Magistris. Insomma, si combatte per vincere, non per conquistare qualche consigliere di opposizione e fare inciuci con chi governa.
Però c’era la candidatura di Nicola Irto, giovane e super-votato alle scorse regionali.
Lo schema Irto era lo stesso: perdiamo, ma onorevolmente. La candidatura di oggi ripete lo schema Callipo (l’industriale del tonno candidato alle scorse regionali, ndr): andiamo a perdere e basta. Non hanno in mente l’obiettivo ambizioso di scardinare un sistema di potere che è il vero cancro della Calabria. Letta e Conte avevano l’occasione per farlo. Non lo hanno voluto fare. Punto.
Cos’è il Pd in Calabria?
Feudi che si combattono tra di loro, è questa l’immagine che hanno offerto in questi anni. Sentite gli iscritti e vi racconteranno cose strabilianti.
Cos’è il potere in Calabria?
Una commistione tra politica, settori dell’economia, pezzi di massoneria e di ‘ndrangheta, che sta condizionando da anni la vita e il futuro di questa regione. Ci sono anche pezzi importanti di società civile legati all’intervento pubblico, quindi alla politica. Penso ad ingegneri, architetti, avvocati, medici, legati al potere politico in modo non trasparente. Ecco perché un nome non basta, tu devi proporre una alternativa, devi scomporre questo sistema di interessi e riaggregare le forze sane attorno ad un progetto di futuro. Cambiando subito l’immagine e la narrazione della Calabria. È tutto mafia, è tutto ‘nduja, peperoncini, sole e mare. Non è così. Quando da ragazzo andai a Torino per l’Università, nella mia terra non c’erano atenei, zero. Ora ce ne sono tre con dipartimenti di eccellenza. La Calabria è cambiata, non sono cambiate le classi politiche dirigenti. La Calabria non conta un tubo in Italia perché ha una classe politica screditata. Il punto più basso lo abbiamo raggiunto con Nino Spirlì, il facente funzione che oggi il centrodestra ripropone in ticket con Roberto Occhiuto. Questo signore ci ha dato il colpo di grazia, ci fa vergognare di dirci calabresi.
Le speranze della Calabria?
È dura, ma i tanti giovani che vedo inventarsi lavori, creare occasioni, l’agricoltura che stanno cercando di cambiare con innovazioni e amore. Questo mi lascia qualche speranza.
Terra amara e rassegnata la sua?
Quando la Calabria si rassegna perde, quando esalta il conflitto politico, offre il meglio di sé. Penso alle battaglie antimafia dei decenni scorsi, alla lotta contro la centrale a carbone di Gioia Tauro, a quella contro il Ponte. Se non fai battaglie, se sulla lotta alla ‘ndrangheta deleghi tutto alla magistratura, ripiombi nel baratro del passato. C’è bisogno di una Calabria che sappia pretendere quello che le spetta senza andare a Roma col cappello in mano. Ci vogliono classi dirigenti capaci di immaginare il futuro, di costruire prospettive di sviluppo in grado di guardare all’Europa e al mondo.
Ciò detto rimane questa strana vicenda di Pd e Cinquestelle costretti ad abborracciare una candidatura dopo un lungo e ridicolo casting.
Ricorri al casting quando non hai un progetto, una idea di futuro. In quel momento punti sul nome. In quel momento, però, la politica ha perso, è diventata un’altra cosa. La verità è che il Pd calabrese, parlo di elettori e iscritti, è stato tagliato fuori dalle decisioni. Qui tutto è commissariato, la sanità e i partiti.
A questo punto che fine farà quell’elettorato Pd che aveva accolto con entusiasmo la proposta di una candidatura Ciconte?
Intanto voglio dire che si tratta di persone che vanno rispettate. Sono uomini e donne. Intellettuali, lavoratori, attivisti politici e della società civile, che da anni si battono per cambiare la Calabria. Cosa faranno? Una parte voterà per de Magistris, che, comunque la si pensi, è visto come una alternativa, altri ingrosseranno le fila del non voto. Che dire? Conte, Letta e i loro referenti calabresi hanno fatto un capolavoro.
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