La sentenza con cui la corte Cassazione ha annullato la pronuncia del Consiglio di stato, che nel 2021 aveva disposto la cessazione delle concessioni balneari dopo il 31 dicembre 2023, non dà affatto ragione a chi dice che tali concessioni non vadano messe a gara
La corte di Cassazione ha annullato la pronuncia con cui il Consiglio di stato, nel 2021, aveva disposto la cessazione delle concessioni balneari alla data del 31 dicembre 2023. La sentenza della corte rappresenta una battuta d’arresto per la concorrenza in tale settore e segna un punto a favore di chi sostiene che tali concessioni non vadano messe a gara? Facciamo chiarezza.
I fatti
Nel novembre 2021 il Consiglio di stato (Cds), in adunanza plenaria, ha deciso che la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, «in assenza di qualsiasi procedura di selezione», fosse in contrasto con la direttiva Bolkestein. Le concessioni dovevano essere messe a gara.
Il Cds ha disposto quindi che le concessioni in essere restassero efficaci sino al 31 dicembre 2023 e, dopo tale data, divenissero «prive di effetto». Il Consiglio ha deciso altresì che «eventuali proroghe legislative» di tale termine andassero disapplicate perché «in contrasto con il diritto dell’Unione». La data di scadenza del 31 dicembre 2023 è stata poi recepita dal governo di Mario Draghi nella legge annuale sulla concorrenza.
Contro la decisione del Cds hanno fatto ricorso alcune associazioni di categoria (il sindacato italiano balneari-SIB, l’Associazione nazionale approdi e porti turistici-ASSONAT e altri), alcuni enti territoriali (tra cui la regione Abruzzo) e numerosi soggetti privati titolari di concessione demaniale marittima, che lamentavano di essere stati esclusi dal giudizio.
I ricorrenti rilevavano pure che il Cds, facendo «tabula rasa» della normativa sulle proroghe, avesse determinato una lacuna normativa, per poi riempirla sostituendosi al legislatore.
Qualche giorno fa la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che la sentenza fosse viziata da eccesso di giurisdizione a causa dell’estromissione di associazioni ed enti «titolari di interessi collettivi e istituzionali». Gli altri motivi di ricorso sono stati assorbiti dalla decisione.
Le conseguenze
Cosa succede dopo questa decisione? Innanzitutto, viene meno la data del prossimo 31 dicembre, fissata dal Cds per la scadenza delle concessioni in essere. Inoltre, il Cds dovrà di nuovo pronunciarsi sulla questione, ammettendo al contraddittorio anche i soggetti esclusi. La Cassazione ha precisato che i giudici di palazzo Spada dovranno tenere conto «delle sopravvenienze legislative, avendo il parlamento e il governo esercitato, successivamente alla sentenza impugnata, i poteri normativi loro spettanti». Il riferimento è al decreto Milleproroghe con cui il governo di Giorgia Meloni ha disposto una proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2024, data che per una serie di motivi può slittare fino al 31 dicembre 2025.
Il richiamo della Cassazione alle «sopravvenienze normative», nonché ai poteri di parlamento e governo, non rappresenta – come qualcuno ha detto – un invito ai giudici amministrativi affinché non invadano il campo del legislatore e, anzi, si conformino alla proroga prevista. Ciò contrasterebbe con altre e diverse “sopravvenienze”.
Innanzitutto, il 20 aprile 2022, la Corte di giustizia dell’Unione europea – confermando le conclusioni del Cds – ha chiarito che la Bolkestein si applica in via diretta negli ordinamenti nazionali, cioè senza necessità di recepimento, e che pertanto gli stati membri devono mettere a gara le concessioni balneari, essendo vietati i rinnovi automatici.
Inoltre, il 16 novembre scorso, la Commissione Ue ha attestato che la mappatura delle spiagge con cui il governo Meloni voleva dimostrare che esse non fossero una risorsa scarsa – e che quindi mancasse il presupposto per applicare la Bolkestein – è sostanzialmente un bluff. La Commissione ha concesso all’Italia due mesi per «adottare le disposizioni necessarie» a consentire «procedure di selezione aperte e pubbliche basate su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi». In altre parole, la Commissione ha ingiunto all’Italia di mettere a gara le concessioni per non incorrere in una procedura di infrazione.
Dunque, è vero che la Cassazione ha determinato il venir meno della scadenza del prossimo 31 dicembre per le concessioni balneari. Tuttavia, avendo trattato solo questioni procedurali, e non di merito, essa non ha scalfito l’obbligo di applicazione della Bolkestein, né ha inciso sul termine di due mesi entro cui l’Italia deve conformarsi a tale direttiva per evitare l’infrazione. Chi dice che la sentenza della Cassazione sia una vittoria per i balneari ne è proprio così sicuro?
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