- Per l’81 per cento degli italiani si deve affermare un “ecologismo localista”
- Per il 72 per cento è fondamentale collegare la lotta contro i cambiamenti climatici con quella della difesa delle comunità
- Per il 64 per cento la spinta ambientale è un vincolo, una presa in carico, delle generazioni future
A pochi giorni dal voto e dallo sciopero globale per il clima del 23 settembre lanciato dal movimento Fridays for future, con le immagini del disastro nelle Marche negli occhi, è utile riflettere sulle caratteristiche delle spinte ambientaliste, di lotta ai cambiamenti climatici e alla transizione green presenti nel nostro paese. Per l’opinione pubblica la tanto decantata transizione ecologica sarà un successo se condurrà al raggiungimento di almeno quattro obiettivi: migliorare la qualità della vita delle persone e intervenire sui mutamenti climatici (65 per cento), generare nuovi posti di lavoro (40 per cento), creare nuove imprese (20 per cento), sostenere la crescita di comunità più coese e innovative (19 per cento).
Le quattro dimensioni hanno, tuttavia, pesi differenti tra i diversi agglomerati sociali. Se per il ceto medio l’ambizione ecologica è orientata al miglioramento della qualità della vita, per i ceti popolari essa deve divenire uno strumento di sviluppo di nuovi posti e opportunità di lavoro. Oltre a queste dimensioni programmatico-razionali negli anni sono mutati i tratti dell’identità ambientalista degli italiani.
Le parole
A darne credito sono innanzitutto le parole che, diceva Carlo Levi, sono pietre e ci offrono il senso pregnante dei sentimenti che ruotano intorno a un tema.
Quando si parla di ambiente, l’espressione preferita dagli italiani è “difesa della natura”, scelta dal 51 per centro. Il 26 per cento preferisce usare il termine “ambientalismo” e il 15 per cento ama parlare di “ecologismo”. Il tema ambientale, con l’incedere della crisi climatica, è sempre più diventato ubiquitario, non più prerogativa esclusiva di specifici e settoriali movimenti, né di una sola parte politica.
Ad amare maggiormente la parola “ecologismo” sono soprattutto i giovani della generazione Z e i ceti popolari, mentre la “difesa della natura” piace maggiormente alla generazione X e ai Baby Boomers. Nel corso dell’ultimo decennio quella che sembra essere un po’ logorato è il concetto “sostenibilità”, eccessivamente usata in ogni dove, ma anche scarsamente capace di suscitare densi sommovimenti emozionali.
La spinta locale
Il tratto che caratterizza maggiormente l’evolversi del tema ambientale nel nostro Paese è quello relativo all’affermarsi di una stretta relazione tra la spinta green e il locale. Per l’81 per cento degli italiani si deve affermare un “ecologismo localista”. Per il 72 per cento è fondamentale collegare la lotta contro i cambiamenti climatici con quella della difesa delle comunità. Ci troviamo di fronte a una evoluzione delle dimensioni percettive delle politiche pro-ambiente: ai fattori razionalistici legati a interventi per ridurre l’impatto delle attività umane sull’ecosistema, si sono aggiunti i tratti di un “neo romanticismo della terra”, che associa la transizione green all’attaccamento alla terra e alle tradizioni.
Un ambientalismo non più politico ma di sentimento e destino, che mette al centro i legami corti, la vicinanza, il genius loci, la produzione orgogliosamente locale; che mette l’accento sul sentimento autoctono come tutela e preservazione; che miscela i pastiche nostalgici, con la ricerca di una dimensione più pura e autentica della vita, meno inquinata e sottoposta alle regole ferree del mondo globale e della sua economia; che associa la garanzia di sicurezza con il senso di vicinato, con la preferenza per i prodotti della comunità di appartenenza.
Il neo-romanticismo della terra si riconosce in termini come preservare, custodire, salvaguardare. Esso vive la spinta ambientale come un’essenza di autenticità e un vincolo, una presa in carico, delle generazioni future (64 per cento). Nel neo-romanticismo per la terra convergono, infatti, tre differenti anime dell’odierna ricerca di autenticità: il suo essere commodity, archè e purpose.
Commodity, perché è autentico ciò che è naturale, prodotto puro della terra, non generato artificialmente dall’uomo; archè, perché diviene autentico ciò che si radica nelle tradizioni, nella storia umana, nel genius loci, nella specificità del modus vivendi dei territori; purpose in quanto è autentico ciò che può esercitare un’influenza sul domani, sul modo di vivere. I segnali che mostrano quanto il tema climatico e la transizione green stiano entrando nelle viscere del paese non mancano, ma siamo ancora agli inizi, difetta ancora la spinta a trasformare le pulsioni in un progetto individuale di cambiamento nei comportamenti e negli stili di vita.
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