L’unica possibilità di battere l’estrema destra è in una sinistra unita e fortemente popolare, con un chiaro programma di redistribuzione sociale in grado di mobilitare anche una parte degli astenuti
Dopo la vittoria del Nuovo Fronte Popolare (che pochi in Italia, fra cui noi, avevano immaginato), eravamo stati ottimisti sull’evoluzione della Francia, la nostra “nazione sorella”. In questi due mesi, Macron ha mostrato il suo volto peggiore e prova di non aver capito nulla delle lezioni della storia, anche recente. O forse ha capito benissimo, ma ha scelto un’altra strada.
L’unica possibilità di battere l’estrema destra è in una sinistra unita e fortemente popolare, con un chiaro programma di redistribuzione sociale in grado di mobilitare anche una parte degli astenuti. Non solo: l’unica possibilità di vincere l’enorme e inevitabile sfida della conversione ecologica, mantenendo al contempo la nostra libertà, è di renderla socialmente sostenibile; cioè di farne pagare i costi ai più ricchi e ai ceti privilegiati (che sono peraltro quelli che inquinano di più) e non a chi ha già difficoltà ad arrivare alla fine del mese. E più in generale: l’unico modo per salvare la politica democratica, la sua legittimazione, e forza e valore, è metterla nelle condizioni di governare l’economia, verso obiettivi condivisi; dimostrare che non è invece succube del nuovo enorme potere economico e tecnologico ma che anzi riesce a limitarlo, in nome dei diritti civili, sociali, ambientali (che poi, in teoria, sarebbe anche nelle corde di una parte almeno del pensiero liberale).
Questi sono i termini della questione. E come tali sono stati ormai compresi, in linea di massima, dalle forze di centro-sinistra di molti paesi occidentali che, non a caso, riprendono vigore: in Italia, con il PD di Elly Schlein; in Spagna, con Sanchez; in Francia, con i socialisti che proprio alleandosi con Mélenchon sono tornati in vita; negli Stati Uniti, con i democratici di Kamala Harris; anche nel Regno Unito, con i laburisti (il cui programma economico e sociale non è neoliberale: parla anzi di rinazionalizzare i servizi pubblici che furono privatizzati da Thatcher). Non l’hanno invece (ancora?) capito in Germania: una parte – non certo tutta – del disastro elettorale di domenica si spiega in questo modo.
Beninteso, in questo schema i liberali potrebbero svolgere un ruolo fondamentale: quello di garantire che l’intervento pubblico non porti a eccessive concentrazioni di potere, creando un nuovo Leviatano; quello di salvaguardare le ragioni dell’efficienza e delle competenze, che non andrebbero mai dimenticate; quello, anche, di contribuire alla scrittura di un nuovo ordine internazionale che salvi e anzi ristabilisca a pieno la globalizzazione commerciale (il suo abbandono è l’anticamera della guerra!), sulla scia degli insegnamenti di Adam Smith oltre che della storia, mentre ponga limiti alla globalizzazione finanziaria, con tasse sui movimenti speculativi e sulle grandi ricchezze e profitti che agevolerebbero le politiche ambientali e sociali e la stessa stabilità dell’economia (e delle democrazie), sulla scia degli insegnamenti di Keynes. Fra parentesi, ma neanche tanto, è l’esatto contrario di quello che si sta facendo oggi.
Il ruolo dei liberali, invece, non è quello di avvilupparsi in tatticismi e doppi giochi, snobbando la volontà popolare, come ha fatto Macron, né tantomeno di proporsi come garanti dei nazional-conservatori: questo non fa che peggiorare le cose, rafforza la crescita dell’estrema destra e la crisi delle nostre società! I liberali non hanno nemmeno il compito di ergersi a difensori delle politiche timide e restrittive degli ultimi decenni: politiche che hanno portato alla stagnazione dell’economia tedesca e all’indebolimento di tutta Europa, rispetto ai suoi principali concorrenti (USA e Cina), oltre ad aver contribuito alla crisi della democrazia. Su questo versante, i liberali dovrebbero invece contribuire a mettere in campo le più efficaci politiche, e prima ancora a creare le migliori regole e istituzioni, che favoriscano, nel nuovo quadro in cui bisogna muoversi, la crescita economica (in Europa, ad esempio, completando il mercato unico nelle telecomunicazioni, nell’energia, nelle infrastrutture di trasporto e nella finanza), così da avere poi maggiori risorse per la redistribuzione e le politiche ambientali. Peraltro anche su questo – il cammino verso l’Europa federale – Macron è stato una grande delusione, così come lo sono stati Scholz e i suoi alleati in Germania.
Se poi la strada scelta fosse quella, che si intravede, di un nuovo autoritarismo pur di preservare le ingiustizie economiche e i poteri dominanti, allora saremmo alla più totale bancarotta delle aspirazioni e della politica liberali.
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