La data sarà ufficializzata nei prossimi giorni ma l’orientamento sarebbe già preso: il prossimo 12 giugno si terrà l’election day, il primo turno delle elezioni comunali verrà abbinato al voto referendario. La scelta della data, rallentata dalla guerra russo-ucraina che assorbe gran parte della concentrazione del governo, sarebbe preferibile a quella dell’ultima domenica di maggio, in un primo momento più probabile, per non interrompere il finale del secondo anno scolastico tormentato dal Covid (le lezioni si fermano il 10 giugno). Le elezioni si svolgeranno in 981 comuni, di cui 26 capoluoghi di provincia e quattro di regione, Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo. In tutto otto milioni di elettori.

L’impegno

Nonostante l’iniziale perplessità di palazzo Chigi, l’election day era diventato praticamente una certezza dopo che il 22 febbraio la Camera aveva approvato a larghissima maggioranza – 372 sì e 7 no – un ordine del giorno leghista, primo firmatario il deputato Igor Iezzi, che ha impegnato l’esecutivo a «valutare di prevedere che le amministrative 2022 e i referendum sulla giustizia si svolgano in un’unica tornata». Un ordine del giorno non si nega a nessuno, il governo però non è obbligato a tenerne conto. Ma in quel voto si era capito che la maggioranza era rassegnata a darla vinta alla Lega e ai Radicali, promotori dei quesiti. Un “contentino” utile anche a palazzo Chigi per temere buono l’alleato leghista.

«Sarà primavera inoltrata, la gente andrà al mare, ed è chiaro che la scelta del Viminale punta a tenere basso il quorum per far fallire i referendum», dice Iezzi che non è convinto neanche da quella che chiama «la scusa» delle scuole: «Fatti i conti, avrebbe coinvolto un numero molto relativo di istituti».

Tanto più che in alcune regioni interessate al voto, come l’Emilia Romagna, gli studenti vanno in vacanza dal 6 giugno.

Vittorie leghiste

L’ala giallorossa della maggioranza non crede che il quorum sia raggiungibile. Ma intanto la Lega e i Radicali portano a casa un primo risultato, l’accorpamento richiesto a gran voce. Nonostante ci sia un solo precedente, quello del 2009: il referendum che modificava il Porcellum si svolse il 21 giugno in abbinata con il ballottaggio delle amministrative. La Lega porta a casa anche un secondo risultato, tutto politico: nelle città al voto le coalizioni di destra saranno compatte su cinque sì. Non le coalizioni di centrosinistra.

Nella direzione del 21 febbraio Enrico Letta ha pronunciato due no secchi ai quesiti sulla custodia cautelare e sull’abolizione della legge Severino. Mentre per gli altri tre sulla giustizia – separazione delle funzioni, equa valutazione dei magistrati e riforma del Csm – si è detto certo che arriverà prima il parlamento. Possibile. Anche se la legge è in alto mare: il governo ha chiesto alla commissione della Camera un nuovo slittamento del voto per avere tempo di esaminare i sub emendamenti. La verità è che le posizioni della maggioranza sono ancora distanti. Ma dal Pd filtra la certezza che entro il 12 giugno una legge ci sarà.

Quanto alla modifica della Severino, chiesta anche dal Pd, siamo ancora a carissimo amico: difficile mettere d’accordo l’abolizionismo della Lega con i ritocchi chiesti dai dem. Tanto più che la guerra ha rallentato i lavori parlamentari. I sindaci del Pd, guidati da Matteo Ricci, sono per il sì. Letta manterrà il no. Ma visto che il quorum è una chimera, viene spiegato, non ci saranno grandi rotture interne: «Con la guerra, i conflitti politici sono ovviamente passati in cavalleria».

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