L’inchiesta del Domani rompe un altro mattone nel muro delle omertà sugli episodi di violenza nel carcere. Ormai molte le denunce, non servono foto con le divise, serve aiutare chi crede in una pena costituzionale
- Monza, Milano, Torino. La vicenda di Santa Maria Capua Vetere purtroppo non è un episodio isolato. La magistratura chiarisca con rapidità se le denunce hanno un fondamento
- Di fronte a lesioni anche importanti si incontrano casi di medici che avrebbero omesso la refertazione nonché la prescrizione di terapie. Si deve indagare anche per omissione di referto, falso e favoreggiamento, e tradimento del giuramento di Ippocrate
- Non abbiamo bisogno di slogan e fotografie in divisa, ma di gratificare quei poliziotti, medici, educatori, direttori che portano avanti il difficile compito di una pena costituzionale
L’importante inchiesta di Nello Trocchia su questo giornale rompe un altro, decisivo mattone nel muro delle omertà e delle opacità che da sempre avvolge gli episodi di violenza nelle carceri italiane.
Circa un anno fa, un uomo compone il numero dell’ufficio di Antigone e racconta le brutali violenze cui sarebbe stato sottoposto il fratello detenuto. Antigone deposita un esposto in Procura. Quando all’uomo, a seguito di altro procedimento connesso, viene mostrato un video, egli è colto da malore. Vi si vedono le immagini del violento pestaggio subito da parte di poliziotti penitenziari. Nel febbraio 2020 il fatto viene iscritto come tortura. Santa Maria Capua Vetere? No, casa circondariale di Monza.
Nel marzo scorso, nell’arco di pochi giorni, Antigone viene contattata da un numero elevato di persone che denunciano una ‘spedizione punitiva’ cui avrebbero preso parte, oltre a poliziotti penitenziari, anche Carabinieri e Polizia di Stato e che, il 9 marzo, si sarebbe risolta in abusi e violenze ai danni dei loro congiunti detenuti. Santa Maria Capua Vetere? No. Primo Reparto del carcere milanese di Opera.
In quattro celle dedicate a questa pratica criminale, dalla primavera 2017 alcuni detenuti sarebbero stati fatti denudare, picchiati brutalmente, riempiti di sputi, invitati a impiccarsi con le loro mani, minacciati di altre violenze se non avessero dichiarato che era stato un altro detenuto a conciarli in quel modo. Decine gli indagati, alcuni destinatari di misure cautelari. Santa Maria Capua Vetere? No, carcere di Torino.
Purtroppo Santa Maria Capua Vetere non è un caso isolato. Da decenni raccontiamo che il carcere a volte è violento. Per questi episodi, solo alcuni di quelli che ci hanno raggiunti, Antigone ha depositato esposti alle competenti Procure nei quali si ipotizza il reato di tortura. Ci auguriamo che la magistratura chiarisca con rapidità se quelle denunce abbiano o meno un fondamento.
Il 20 aprile 2020, un esposto è stato depositato dalla nostra associazione anche in relazione agli eventi di Santa Maria Capua Vetere che Domani ha ricostruito magistralmente nelle scorse ore. Nei giorni successivi ai presunti pestaggi, ad alcune vittime non sarebbe stato permesso di telefonare ai famigliari e diverse sarebbero state le minacce nel caso avessero raccontato l’accaduto. Inoltre - e su questi tradimenti del giuramento di Ippocrate, che più volte Antigone ha tristemente incrociato, dovremmo davvero interrogarci in profondità - di fronte a lesioni anche importanti i medici dell’istituto avrebbero omesso la refertazione nonché la prescrizione di terapie. Nell’esposto di Antigone evidenziamo come si debba indagare anche per omissione di referto, falso e favoreggiamento.
Questi racconti - gli ultimi di una serie di cui purtroppo Antigone è stata chiamata a occuparsi - mostrano come la teoria delle mele marce non possa più costituire il riparo di chi non vuole guardare alle distorsioni del sistema. A fronte dei pochi che usano la violenza quale strumento di dominio e umiliazione verso chi è in custodia, la grande maggioranza di persone oneste che compone le nostre forze dell’ordine non potrà mai vincere se non si crea una frattura culturale, politica e sociale tra chi si sente immune e impunito nell’abuso della forza e chi invece si muove nel solco della legalità costituzionale, che afferma che la pena non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
Molto è nelle mani di chi ci governa. Va alzato un muro di disapprovazione verso chi si avvale di metodi di polizia e di custodia disumani, degradanti e crudeli. Vorremmo che dal Ministero della Giustizia arrivassero - sempre nel rispetto del principio sacrosanto di presunzione di non colpevolezza - parole e atti inequivoci. Vorremmo che il Governo si costituisca parte civile in tutti i procedimenti penali per tortura, quando a commetterla potrebbe essere un servitore infedele dello Stato. Solo così uno schieramento democratico e progressista potrà credibilmente distinguersi da chi, come Salvini, ha alimentato sentimenti di conflitto, schierandosi aprioristicamente dalla parte degli accusati di tortura. Non abbiamo bisogno di slogan e fotografie in divisa, quanto piuttosto di gratificare quei poliziotti, medici, educatori, direttori che portano avanti il difficile compito di una pena costituzionale.
© Riproduzione riservata