Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo


La lunga documentazione di delitti di mafia commessi mediante l'agguato e con una enorme sproporzione di forze tra aggressori ed offeso, è sufficiente a sentire quella proposizione che suona soprattutto offensiva per il cittadino, il quale dotato veramente di quelle virtù, si vede posto sullo stesso piano della più spregevole espressione della criminalità.
Il mafioso colpisce alle spalle, a tradimento, quando è sicuro di avere la vittima alla sua mercè e di non essere esposto al pericolo di una reazione, non affronta mai l'avversario a viso aperto ed è disposto a qualsiasi compromesso, ad ogni rinunzia ed alle peggiori bassezze, pur di salvarsi da una situazione pericolosa, di sottrarsi ai giusti rigori della Legge, di evitare comunque le conseguenze delle sue ribalderie.

Basti, a quest'ultimo proposito, ricordare che nei processi per associazione per delinquere celebratisi una trentina d'anni fa, divenne spettacolo abituale quello degli imputati che gareggiavano nelle confessioni, nelle accuse, nelle ritorsioni e nelle implorazioni di clemenza e di perdono.

Tipico il comportamento del mafioso Giovanni Di Peri, il quale, vittima designata dell'attentato dinamitardo commesso la notte del 30 giugno 1963 a Villabate, assiste confuso nella folla al fermo da parte dei carabinieri della moglie e dei figli ed anzichè darsi pensiero della sorte dei suoi cari, esposti subito dopo il trauma della esplosione agli interrogatori degli inquirenti, non trova di meglio che allontanarsi e sparire dalla circolazione, unicamente preoccupato di mettere al sicuro sè stesso.
Mafioso perciò non significa soltanto delinquente, non significa soltanto associato per delinquere - sarebbe inconcepibile la figura del mafioso isolato, non collegato in un modo qualsiasi ad altri della sua stessa risma - mafioso è soprattutto, sinonimo della più odiosa figura di malvivente. Oltre che nell'omertà la forza del mafioso risiede anche nella rete di alleanze e protezioni specialmente in campo politico, che egli mira e riesce a procurarsi, creando, in proprio favore, per motivi più o meno leciti, obblighi di riconoscenza e impegni di amicizia da sfruttare accortamente o nei momenti critici o per il conseguimento dei propri reconditi fini o, comunque, per ricavarne vantaggi e utilità.
La consapevolezza che nessuno oserà accusarlo e che in suo favore si muoveranno o si prodigheranno influenze occulte ed autorevoli, conferisce al mafioso iattanza e sicumera, lo induce ad assumere indisponenti atteggiamenti di sfida e tracotanza, almeno sino al momento in cui non venga raggiunto dalla giusta e severa applicazione della Legge.

È innegabile che la ricerca della prova sulla appartenenza ad associazioni mafiose si presenta particolarmente ardua per la estrema difficoltà di acquisire precisi e circostanziati elementi specifici, sia per la natura stessa del reato come pure a causa della barriera di silenzio che sistematicamente si frappone tra l'opera degli inquirenti e l'attività delittuosa del mafioso.
Pertanto la prova della qualifica di mafioso e perciò di associato per delinquere deve essere necessariamente ricavata da tutti gli indizi acquisiti, valutati con criterio logico e rigoroso, tenendo conto della personalità degli imputati, dell'ambiente che li circonda e dell'atmosfera di oppressione e paura diffusa intorno a loro.

La natura indiziaria della prova non toglie nulla alla sua validità ed efficacia, purché naturalmente essa sia fornita di tutti quei requisiti logici e dei riscontri di fatto, che conferiscono all'indizio serietà e attendibilità.

Particolare rilevanza, nel quadro di una indagine su un'associazione mafiosa, dev'essere attribuita alla notorietà - che è diversa dalla voce pubblica o dalla fonte confidenziale - vale a dire alla conoscenza generale di determinati fatti "tratta dalla osservazione di infinite manifestazioni o dal riscontro di episodi avvenuti sotto gli occhi di tutti " (G.G. Lo Schiavo).

Notorietà è concetto analogo a quello di pubblicità, nel senso che molte persone conoscano pur non avendo percepito simultaneamente (E.Altavilla). La notorietà è meno del noto ma è più della voce pubblica, che è un semplice sentito dire; esprime la opinata esistenza di un fatto, ricavata dall'evidenza o, meglio, da ciò che sembra evidente.
La notorietà pertanto da sola non ha piena efficacia probatorie; essa costituisce lo sfondo sul quale inquadrare gli indizi raggiunti, che vengono ad essere così opportunamente valorizzati, sì da ottenere un quadro d'insieme, sufficientemente aderente alla realtà, sia dei fatti che delle responsabilità.
La certezza della esistenza della mafia importa, come conseguenza, ricollegandoci alle considerazioni già esposte, la certezza della esistenza di una vasta associazione per delinquere operante in tutto il territorio della provincia di Palermo, con ramificazioni ed interessi nelle limitrofe province di Caltanissetta, Agrigento e Trapani anche esse infettate dal fenomeno delinquenziale in esame.
È bene ripetere che, parlando di una vasta associazione per delinquere, non si intende riferirsi ad una associazione omogenea e compatta con un capo, dei luogo tenenti ed uno stuolo di gregari ed esecutori, guidata da direttive precise e ben determinate e rivolta al conseguimento di scopi comuni a tutti gli associati.
Si tratta piuttosto di diversi aggregati criminali, mossi da finalità che hanno in comune soltanto la violazione della legge, operanti in settori diversi e con metodi differenziati, più o meno forti in relazione alla personalità dei capi del momento, al numero dei componenti, alle reciproche alleanze, alla rete di protezioni e connivenze.
Parlando di unica associazione, secondo la contestazione mossa a tutti gli imputati, ad eccezione di Torres Agostino, Vinciguerra Armando, Balasco Concetta, Garofalo Rosario, Sorace Marco, non si vuole quindi escludere che nell'ambito più ampio, esistano ed agiscano gruppi minori anche, eventualmente, in contrasto tra loro.
In conseguenza nell'unica imputazione di associazione per delinquere aggravata devono essere assorbite le diverse separate contestazioni mosse agli imputati.
Per quanto riguarda lo scopo dell'associazione o meglio il programma delittuoso degli associati, è sufficiente che si tratti di "uno scopo di delinquere", vale a dire che gli associati abbiano il comune proposito e la comune risoluzione di commettere più delitti, non importando che il delitto costituisca il fine ultimo della associazione oppure un mezzo per conseguire un fine di verso eventualmente lecito.

Sono irrilevanti i motivi che danno vita all'associazione e che determinano l'adesione da parte dei singoli associati, i quali per il solo fatto della partecipazione all'associazione, indipendentemente dalle singole responsabilità per i vari specifici delitti, devono rispondere del reato di cui all'art.416 C.P.
Lo "scopo di delinquere" caratterizza il reato in esame sia sotto il profilo del dolo che sotto quello della materialità ed insieme alla volontaria permanente unione di più persone, dà luogo alla ipotesi delittuosa dell'associazione per delinquere. Analizzando la posizione processuale dei singoli imputati, in relazione alla predetta imputazione, si osserva quanto segue.

© Riproduzione riservata