Lo Stato non è riuscito a realizzare il doppio binario ferroviario in Sicilia e nemmeno un chilometro di autostrada. Figuriamoci il ponte. Non saremo mai capaci di costruirlo. Così ragiona quella parte più umile ed indifesa della pubblica opinione, quella che accetta gli eventi politici, le offese dei governi, la miseria del Sud e tutte le sopraffazioni come una fatalità
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del “Processo alla Sicilia”, il libro che raccoglie trentacinque inchieste di Pippo Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania
Messina è la più stipendiata città dell’isola. Vive quasi esclusivamente degli stipendi che ogni ventisette vengono pagati a funzionari ed impiegati. Il fulcro della sua economia è questo. Sostanzialmente è una città che viene pagata per sopravvivere.
Non produce quasi niente nel settore dell’industria e dell’agricoltura. Il suo turismo è di passaggio. Le sue possibilità commerciali sono implacabilmente strozzate, poiché dirimpetto c’è Reggio Calabria che provvede ai calabresi, le altre cittadine del Tirreno sono autosufficienti, ed alle spalle ha infine il gigantesco emporio catanese come una piovra che arriva dovunque.
Lo abbiamo detto: Messina, la splendida ed orgogliosa città che appare per prima agli italiani, sta lentamente morendo. Solo una gigantesca operazione civile, una specie di rivoluzione, potrebbe salvarla: ed è il Ponte sullo Stretto. Per rendersi conto della situazione basta tuttavia sentirne parlare, sentire come se ne parla. Diciamo subito che il ponte verrà a costare quattrocento miliardi.
Nessun governo italiano, in nessun tempo si deciderà ad una spesa così colossale per semplice convinzione politica. Con quattrocento miliardi un governo (e quindi i partiti che lo compongono) può risolvere quattrocento problemi provinciali e guadagnarsi o proteggersi un milione di voti. Quattrocento miliardi per un’opera sola, sia pure vitale per metà della nazione, si spendono solo se c’è un trascinante movimento di pubblica opinione. E cominciamo da qui!
La pubblica opinione prevalente sul Ponte, è la seguente. Alcuni, vale a dire il ceto più qualunquista, credono che si tratti di un’opera necessaria, la quale rappresenterà però soprattutto una gigantesca occasione per depredare denaro pubblico, denaro per commissioni, per congressi, per convivi, per cariche, prebende, uffici, nomine, presidenze e vicepresidenze. Ed in effetti tutto quello che è stato fatto finora in Sicilia, autostrade, enti di riforma, società di industrializzazione, ha spesso avallato questo qualunquismo.
La gente sente parlare da decenni dei problemi e ascolta i discorsi dei presidenti designati a capo delle commissioni che dovrebbero risolvere i problemi. I presidenti lottano fra loro, si succedono, si insultano, querelano, scompaiono al mutar dei venti politici, trascinandosi appresso le rispettive clientele. Ed i problemi restano. Ma nel frattempo sono volati via miliardi per stipendi, e sono stati allogati centinaia o migliaia di galoppini in uffici che non servono praticamente a niente. Tant’é vero che vengono aboliti e subito rifatti. Parte dell’opinione pubblica ritiene che il Ponte sullo Stretto sia un affare del genere. Solo più gigantesco di tutti gli altri.
Altra parte dell’opinione pubblica ritiene che il ponte sia cosa troppo gigantesca per essere fatta nel Sud. Come parlare della luna ai tempi della conquista dell’Etiopia.
Lo Stato non è riuscito a realizzare il doppio binario ferroviario in Sicilia e nemmeno un chilometro di autostrada. Figuriamoci il ponte. Costa troppo. È una cosa immane. Non saremo mai capaci di costruirlo. Così ragiona quella parte più umile ed indifesa della pubblica opinione, la più ignorante, quella che accetta gli eventi politici, i nomi dei deputati, le offese dei governi, la miseria del Sud e tutte le sopraffazioni come una fatalità. Come la grandine o il terremoto.
In verità, anche a costoro, nessuno degli eventi pubblici dall’epoca dell’Unità ha dato torto. Altra parte dell’opinione pubblica, più esigua ma più preparata, e quindi più micidiale nei suoi equivoci, ritiene che il ponte un giorno dovrà pur farsi.
Bisogna prepararsi in tempo per incastrarsi nell’affare, ci saranno rivoletti di denaro che correranno da ogni parte come vino da un’otre bucherellata. Denaro per gli industriali che dovranno fabbricare le parti del ponte, pietra, metallo, resina, colla, vetro, quello che sia; denaro per i tecnici che dovranno studiare la realizzazione; per gli operai che dovranno mettere insieme quei milioni di pezzi; denaro per i burocrati che dovranno sorvegliare i tecnici e pagar loro gli stipendi, tener cassa, registri e amministrare; denaro per le commissioni che dovranno controllare a loro volta i burocrati; denaro ed onori per i presidenti, i vicepresidenti, denaro per i politici che decideranno un progetto piuttosto che un altro e quindi decideranno di sterminati guadagni altrui.
In questo affare (nel quale si crede) bisogna dunque cacciarsi dentro per tempo, esserci già prima che esso cominci. Più ancora che l’effettiva realizzazione del ponte è necessario esser dentro l’affare. Prima conquistare la posizione di privilegio per l’affare e poi battersi (non prima) perché l’affare si faccia.
Infine c’è un’altra parte dell’opinione pubblica che ha spavento del ponte: questo gigantesco mostro di acciaio, cemento, piloni, riflettori, pilastri, questa torre di babele che sconvolgerà l’ordine naturale delle cose. Sono alcuni di coloro i quali vivono bene, comodamente, che comunque si contentano del loro stato e temono che una rivoluzione possa guastare.
E il ponte sarà una rivoluzione. Sposterà il baricentro della metropoli, di almeno dieci chilometri a nord, si trascinerà appresso i palazzi più importanti, le attività, la gente, il traffico, il fabbisogno commerciale, le industrie, gli alberghi.
L’attuale centro di Messina diventerà periferia: ponte e quindi ferrovia e autostrade lo scavalcheranno a nord. Chi attualmente può essere ricco o contento dei suoi commerci, se vorrà mantenere il suo stato dovrà far bagagli e inseguire il flusso del denaro. I pigri, i meno coraggiosi saranno perduti.
Il ponte imporrà una rivoluzione casalinga anche al piccolo commerciante che vende bottoni o calzini al centro ed è riuscito finora a difendere la sua tranquillità economica. Per questo molti hanno paura del ponte. I messinesi sono pigri. Una città che vive del ventisette sa anche che il ventisette arriva infallibilmente una volta al mese e qualsiasi altra cosa accada la scadenza non sarà spostata, né lo stipendio avrà un aumento. Furono la pigrizia e la paura della gente che trascinarono dinnanzi al tribunale per eresia Galileo, quand’egli gridò che era la terra a girare attorno al sole e non viceversa.
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