Il 27 novembre i lettori abbonati hanno scelto tre inchieste tra le nove proposte dai freelance sul tema “Salute e Covid-19”. L’inchiesta sulla salute delle donne in pandemia di Federica Tourn è una delle selezionate. Si potrà finanziare il pacchetto di inchieste dal nostro sito e partecipare alla diretta Facebook di venerdì 18 dicembre ore 18
- Mentre gli occhi di tutti erano puntati sulla “guerra al virus”, in Italia si è cominciato a chiudere reparti, rimandare visite e interventi, anche in caso di patologie gravi.
- Il diritto all'interruzione di gravidanza, già così precario nel nostro paese a causa dell'elevato numero di medici obiettori di coscienza, si è trasformato in una via crucis.
- Sul fronte della prevenzione e della cura del tumore al seno i dati che sono sono tutt’altro che incoraggianti: secondo l’Istituto europeo di oncologia nei primi cinque mesi del 2020 sono stati effettuati 400mila screening in meno rispetto all’anno precedente.
In questo drammatico 2020, la pandemia ha catalizzato su di sé ogni attenzione e, soprattutto in ambito sanitario, tutti sembrano essersi concentrati su un solo obiettivo: curare i malati di Covid-19 e prevenire il contagio. Ma che cosa è successo a chi era già malato o ha avuto bisogno di altre prestazioni sanitarie? In particolare, che attenzioni hanno ricevuto le donne, in ambiti specificatamente femminili come la gravidanza, il parto, l'aborto e la cura del cancro al seno?
Nei coni d'ombra delle terapie intensive, mentre gli occhi di tutti erano puntati sulla “guerra al virus”, in Italia si è cominciato a chiudere reparti, rimandare visite e interventi, anche in caso di patologie gravi. Confusione, ritardi e risposte discordanti sono stati la norma. Si è parlato di posticipare gli interventi non indispensabili e in qualche caso questo ha riguardato anche l'interruzioni di gravidanza, nonostante sia un diritto garantito per legge. Hanno cominciato a squillare tutti insieme i telefoni delle asl, dei consultori e delle associazioni a tutela della salute delle donne e le domande erano sempre le stesse: «Dove posso abortire? Posso andare in ospedale anche se sono positiva al Covid?».
Il diritto all'interruzione di gravidanza, già così precario nel nostro paese a causa dell'elevato numero di medici obiettori di coscienza, si è trasformato in una via crucis: molti reparti in cui si praticavano aborti sono stati chiusi e in generale la diminuzione dei posti letto e degli anestesisti disponibili ha costretto le donne a penosi pellegrinaggi da un ospedale all'altro per trovare una struttura disponibile ad effettuare l'operazione. Chiuse in casa per il lockdown, le donne che volevano abortire hanno dovuto affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli fra disinformazione, paura del contagio e timore di non riuscire a trovare una soluzione entro i termini previsti dalla legge.
Alcune Regioni (come Piemonte e Umbria) sono inoltre restie ad adeguarsi alle nuove direttive che permettono l'aborto farmacologico in day hospital, soluzione che limiterebbe molto il rischio di contagio e libererebbe posti preziosi in ospedale; un ostruzionismo che ha contribuito alla diffusa sensazione che non ci sia un reale interesse a semplificare la procedura ma, al contrario, una colpevole trascuratezza quando si tratta di applicare la legge 194.
Anche sul fronte della prevenzione e della cura del tumore al seno, la prima causa di morte per cancro nelle donne, i dati che sono già in nostro possesso sono tutt’altro che incoraggianti. L’Istituto europeo di oncologia a ottobre ha lanciato l’allarme: nei primi cinque mesi del 2020 sono stati effettuati 400mila screening in meno rispetto all’anno precedente e si calcola che ci saranno di conseguenza almeno duemila donne che riceveranno la diagnosi in ritardo, mentre sappiamo che la tempestività è cruciale per affrontare al meglio la malattia.
Con questa inchiesta cercherò quindi di capire quanto le donne abbiano patito di dimenticanze, false informazioni, ritardi e vere e proprie violenze in ambito sanitario con la “scusa” della pandemia e quanto il loro diritto alla cura sia stato sacrificato sull'altare dell'emergenza Coronavirus. L'inchiesta sarà avvalorata da dati, ricerche sul campo, interviste a operatori sanitari, medici, ostetriche, volontarie di associazioni per i diritti delle donne e testimonianze di pazienti. Inoltre cercherò di verificare se le fasce più povere della popolazione siano state curate efficacemente o, come è probabile, siano state le più penalizzate dalla pandemia e dalle sue ricadute economiche visto che, tra l'altro, la sospensione del servizio o i ritardi nelle strutture pubbliche hanno costretto le pazienti con gravi patologie ad avvalersi di prestazioni private e a pagare esami e visite altrimenti gratuite, con un carico economico per loro spesso insostenibile.
Per finanziare l’inchiesta, potete cliccare qui.
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