Luongo e Baldini rispettivamente funzionario e maresciallo dell'Ucigos di Arezzo, "concordemente hanno dichiarato di aver appreso subito dopo la strage della stazione di Bologna dell'agosto 1980, che Cauchi nel 1974 aveva avuto contatti con Gelli per finanziamenti". Come si vede l'analogia nella condotta di Gelli tra il 1974 e il 1980 è colta anche da altri e viene riferita in rapporto alle indagini per la strage di Bologna.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti
I temi e gli argomenti di quella sentenza vengono richiamati analiticamente per dimostrare, al di là degli esisti giudiziari, l'effettività dei finanziamenti inviati da Gelli alla cellula toscana: e siamo di nuovo al punto che interessa direttamente il nostro processo.
Un'analogia evidente, la strumentalizzazione attraverso il finanziamento di terroristi neri per progetti politici variabili in funzione delle epoche storiche. Un modello, un'attitudine, una soluzione già sperimentata alcuni anni prima, riproducibile con riferimento a iniziative strutturalmente analoghe.
Le due sentenze che si sostengono reciprocamente convergono nel dimostrare come Gelli abbia finanziato in quell'occasione una banda armata, che sapeva si sarebbe organizzata per compiere azioni di guerriglia, che implicavano l'uso di armi e di esplosivo. Anche in quel caso il finanziamento avvenne con la mediazione di un uomo "con le stellette".
Per la Corte d'assise questa vicenda può essere considerata il prologo di ciò che accadrà su scala ben più ampia alcuni anni dopo.
Leggiamo la sentenza della Corte di assise di Bologna a pag. 1543 e ss.:
"[…] la Corte fiorentina passa ad enumerare le numerose conferme di carattere estrinseco che le dichiarazioni del Brogi hanno ricevuto con riferimento specifico al finanziamento oppure ai contatti del Gelli con elementi dell'eversione toscana. Si tratta di dichiarazioni provenienti da una molteplicità di soggetti, cui occorre in questa sede fare semplice rinvio, limitandosi a ricordare come la sentenza dia atto anche di quanto riferito dal Luongo e dal Baldini rispettivamente funzionario e maresciallo dell'UCIGOS di Arezzo, i quali "concordemente hanno dichiarato di aver appreso da Gallastroni subito dopo la strage della stazione di Bologna dell'agosto 1980, che Cauchi nel 1974 aveva avuto contatti con Gelli per finanziamenti". Come si vede l'analogia nella condotta di Gelli tra il 1974 e il 1980 è colta anche da altri e viene riferita in rapporto alle indagini per la strage di Bologna.
La sentenza prosegue: "Riconosciuto colpevole d'aver sovvenzionato la banda armata del Cauchi, il Gelli è stato condannato dalla Corte d'Assise di Firenze alla pena di anni 8 di reclusione. Il Cauchi chiese finanziamenti al Gelli e costui, dimostratosi interessato, pretese tuttavia l'intervento di un militare che garantisse la serietà dell'operazione. Il militare fu scelto nella persona del Maggiore Salvatore Pecorella. Dopo un incontro a quattro, a 'Villa Wanda', fra il Gelli il Pecorella, il Cauchi ed il Mennucci (il Brogi rimase ad attendere all'esterno), finalmente il Cauchi poté recarsi in un palazzo di Arezzo a ritirare il denaro, diviso in mazzette, per un ammontare di circa 18 milioni di lire. Tale denaro fu da Cauchi e sodali, di lì a pochi giorni, impiegato nell'acquisto di un camion di armi ed esplosivo. Andrea Brogi è stato sentito ex art. 450 bis del Codice di rito anche da questo Collegio.
Dalle dichiarazioni da lui rese in questo procedimento e nel procedimento fiorentino emerge che il Gelli non fu messo al corrente del fatto che la somma, di lì a breve, sarebbe stata impiegata nell'acquisto di armi e di esplosivo di cui si è detto. […] Dunque, agli effetti della penale responsabilità per il delitto di sovvenzione di banda armata, "a nulla rileva che Gelli non sia stato informato che con l'esplosivo che ci si sarebbe procurato con i suoi milioni avrebbe avuto inizio una campagna di attentati a beni pubblici". Peraltro, il Gelli "non poteva non rendersi conto che dar la disponibilità (non di volantini pubblicitari o di opuscoli ideologici ma) di armi e soprattutto di esplosivo a ragazzi a dir poco spregiudicati, come Cauchi, equivaleva a consentire che gli stessi, garante o non garante, si dessero alla commissione di azioni terroristiche con lo scopo di suscitare nella popolazione richiesta d'ordine e favorire un governo forte di destra.
Gelli del quale tutto si potrà dire ma non che sia uno sprovveduto o un ingenuo, non poteva non prevedere che i ragazzi ai quali rendeva possibile di munirsi di esplosivo se ne servissero per attentati terroristici che frenassero lo spostamento a sinistra dell'assetto politico; non poteva non rendersene conto perché questa era anche la sua aspirazione e perché in quegli anni l'attentato terroristico non era un evento eccezionale né un fatto assolutamente improbabile; ... nella prospettazione di Gelli, nel momento di consegnare i denari a Cauchi, non è stata estranea l'eventualità di attentati, e di quel genere (a treni) che era il pezzo forte della destra, di tal ché già con la consegna dei milioni a Cauchi per l'acquisto di armi e di esplosivo Gelli ha accettato che di questi potesse farsene uso per attentare alla sicurezza dello Stato e mettere in pericolo l'incolumità altrui».
Conclude la Corte fiorentina: a Gelli occorre rimproverare di aver sovvenzionato una banda armata, ben sapendo che questa si proponeva di mutare con mezzi non consentiti la Costituzione dello Stato o la sua forma di Governo (reato di cui all'art. 283 C.P.) e ben dovendosi prospettare che la stessa si proponeva anche di commettere atti 'diretti a portare ... la strage', 'allo scopo di attentare alla Sicurezza dello Stato' (reato di cui all'art. 285 C.P.)”.
La citazione è indiscutibilmente lunga, ma i fatti accertati e gli argomenti utilizzati dalle due Corti sono eccezionalmente pertinenti con il nostro tema. Quelle prove e quegli argomenti rendono del tutto plausibile che in un contesto radicalmente mutato, in relazione a una situazione politica del tutto nuova, di fronte ad emergenze radicali, quali quelle che caratterizzano il 1980, si sia ripetuta su scala enormemente più grande e con protagonisti ben più attrezzati, con compartecipazioni di altissimo livello, lo stesso procedimento di alcuni anni prima, eventualmente con l'aggiunta di una strategia direttamente studiata all'interno del vertice piduista e di coloro con cui Gelli intratteneva rapporti fiduciari per incidere sugli equilibri di sistema e con una disponibilità di mezzi finanziari di gran lunga maggiore, tale da permettere il finanziamento non solo di un'ampia rete di esecutori materiali, ma anche di una rete di copertura e depistaggio. In questo senso la vicenda ricostruita dalla Corte bolognese nel 1988 si riconnette e si integra con il quadro probatorio emerso in questo dibattimento. […] .
Nella sintesi che ne fa la sentenza della Corte d'appello di Bologna del 1994, tra Gelli e gli uomini del SISMI deviato (Pazienza, Musumeci, Belmonte) e i vertici delle organizzazioni eversive di Ordine Nuovo (Signorelli, Fachini, De Felice, Semerari) ed Avanguardia Nazionale (Delle Chiaie, Tilgher, Ballan, Giorgi) si assumeva fosse stata costituita una associazione sovversiva con fine di eversione dell'ordine democratico ai sensi dell'art. 270 bis c.p. «mediante la realizzazione di attentati o, comunque, mediante il loro controllo e la loro gestione politica nell'ambito di un progetto teso a sovvertire gli equilibri politici espressi nelle forme previste dalla Costituzione ed al consolidamento al potere di forze ostili alla democrazia».
Non interessa qui entrare nel merito della decisione di assoluzione che fu già adottata in primo grado, sia pure con l'allora vigente formula della insufficienza di prove, nei confronti degli imputati di associazione sovversiva, fondata su una valutazione tecnica concernente la configurabilità dell'associazione sovversiva sulla base del materiale probatorio raccolto. Sta di fatto che il quadro probatorio raccolto ed esaminato, pur insufficiente a fondare la prova dell'esistenza dell'associazione, aveva messo in luce una serie di relazioni, contatti, intese, reciproche strumentalizzazioni tra Gelli, gli uomini dei servizi e gli esponenti delle due organizzazioni eversive, che possono essere ora recuperate nel quadro proposto nell'attuale procedimento per qualificare la posizione di Gelli e degli altri soggetti nel contesto della strage del 2 agosto.
La rivalutabilità delle acquisizioni probatorie analiticamente esposte nella sentenza di primo grado del 1988 non vuole contraddire il giudizio di assoluzione con ampia formula pronunciato dalla prima sentenza della Corte di appello di Bologna il 18. 7. I 990, perché quel giudizio, a prescindere dalle censure che furono mosse sulla valutazione delle prove in sede di ricorso per cassazione, non metteva in discussione il valore probatorio intrinseco degli elementi esaminati e valutati dal primo giudice, ma si limitava a giudicarli inidonei prima ancora che insufficienti ad integrare la fattispecie.
Disse la Corte d'appello che «la continuità nell'azione e la comunanza di interessi episodicamente espressasi nelle vicende succedutesi in un considerevole arco di tempo, seppur può dar luogo a inferenze su convergenze di ordine politico, non ancora porta al conseguimento della prova logica dell'accordo sodale tra gli esponenti della organizzazione Piduistica e dei servizi (il cui obiettivo era quello del controllo e del governo del sistema vigente) e gli esponenti dei movimenti eversivi, proteso viceversa a uno scardinamento rivoluzionario del sistema stesso».
Le sezioni Unite della Cassazione respinsero i ricorsi della Procura generale e delle parti civili, assumendo come fosse più attendibile il giudizio del primo giudice rispetto a quello della Corte di appello ma che comunque su un piano formale i ricorsi non potevano essere accolti.
Disse a questo proposito la Suprema Corte che il giudice di appello aveva ritenuto più elementi del complesso quadro probatorio, di attendibilità meno affidabile rispetto a quanto aveva considerato la Corte di primo grado ma che, prescindendo da questo giudizio (che evidentemente la Corte non condivideva), non si potesse disconoscere come, attraverso un ben più rigoroso percorso, i giudici di I grado fossero pervenuti alla sostanzialmente identica conclusione dei giudici di appello, e cioè che il tessuto dei rapporti, aventi come punto alto di riferimento il Gelli e quei ricorrenti collegamenti tra uomini dei servizi ed esponenti diversi delle componenti, niente affatto omogenee, dell'area del terrorismo, rimanevano pur sempre inadeguati a fondare l'obiettivo convincimento che tra gli imputati di quel giudizio si fosse potuto concretizzare un accordo associativo del tipo di quello contestato.
Tutto ciò permette a questa Corte di rivalutare sul piano degli oggettivi accertamenti le puntuali osservazioni della Corte di assise del 1988, nella prospettiva non tanto di provare una pretesa intesa associativa di lungo periodo, quanto di tenere conto di un quadro indiziario che si raccorda con i nuovi elementi acquisiti dalla Procura generale per configurare a livello di definizione del contesto storico un ruolo diretto di Gelli, di D'Amato e degli altri soggetti indicati nel capo d'imputazione, nella misura in cui ciò possa dirsi rilevante rispetto ai giudizi di responsabilità dei soli imputati di questo processo.
E proprio a questo esclusivo fine, è opportuno richiamare qui ciò che fu acquisito nella sentenza del 1988 a carico di Stefano Delle Chiaie, mentre per ciò che riguarda gli imputati del gruppo ordinovista (Signorelli, Fachini, De Felice, Semerari) sono state ampiamente richiamate in precedenza le prove che segnano i momenti di collegamento con il Gelli. […] Va, anzitutto, segnalato il rapporto di Delle Chiaie con Valerio Borghese e la sua accreditata partecipazione al tentato golpe dell'8 dicembre 1970, alla guida di un manipolo di avanguardisti penetrati al Viminate.
La sentenza non prende posizione sulla verità di tale partecipazione. Viene invece sottolineata la profondità e la preesistenza dei rapporti politici di Delle Chiaie con il Borghese, "nei cui confronti l'imputato fa mostra di profondissima stima".
La partecipazione all'iniziativa di Borghese pone, per quanto detto sul ruolo di Gelli, Delle Chiaie in una posizione di contiguità eversiva con il Gelli stesso.
[…] Si ricorda, ancora, come Delle Chiaie all'estero divenne "sicuro punto di riferimento degli autori di attentati stragisti; verso il Delle Chiaie, con moto inesorabilmente centripeto, confluiscono: Augusto Cauchi, reduce, fra l'altro, dall'attentato commesso il 21/4/1974 sulla tratta ferroviaria Bologna-Firenze, per il quale ha riportato condanna nella recente sentenza 15/12/1987 della Corte d'Assise di Firenze; Giancarlo Rognoni, reduce dall'attentato del 7/4/1973 al treno Torino-Roma, per il quale è stato poi condannato in via definitiva; Vincenzo Vinciguerra, che aveva commesso la "strage di Peteano ", per la quale è stato poi condannato in via definitiva; Carlo Cicuttini, a sua volta allontanatosi dall'Italia dopo aver commesso la 'strage di Peteano per la quale è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Venezia".
Sono circostanze già richiamate in vari luoghi di questa sentenza, ma che elencate insieme delineano in modo esemplare quale fosse il ruolo di Delle Chiaie nel gestire gli uomini dell'eversione nera, la cui vita, sopravvivenza, collocazione politica e sociale dipendevano solo da lui e dalle sue enormi relazioni in tutti i paesi dell'America Latina, circostanza evidentemente rilevante per ciò che concerne Paolo Bellini e di cui si dirà ex professo. […].
La Corte ha quindi cura di ricordare il numero e il peso dei personaggi che ruotarono intorno a Delle Chiaie durante la sua latitanza in Spagna, al servizio e con la protezione dei servizi di sicurezza franchisti: tra questi, Signorelli, Fachini, Concutelli. […]. Tornando al punto clou dei collegamenti del Delle Chiaie con gli apparati di sicurezza e con Gelli, dato atto della posizione dell'allora imputato che attribuiva a calunnie nei suoi confronti le voci su detti suoi rapporti, la sentenza ha buon gioco nel richiamare dichiarazioni di Sergio Calore, Angelo Izzo e Marco Affatigato ma anche l'incontro, pacifico, con il capitano Labruna del novembre 1972 a Barcellona, protrattosi per tre giorni, secondo le dichiarazioni del Labruna stesso, al tempo non ancora collaborante. Sappiamo che quel colloquio era funzionale ai piani del SID di fare espatriare Freda e Ventura e quindi Pozzan in relazione a Piazza Fontana, di cui Labruna parlerà negli anni successivi. Del resto, della collusione tra Delle Chiaie e i servizi sui quali la Corte sviluppa una serrata argomentazione, disponendo di materiale istruttorio precario, abbiamo avuto ampia conferma nelle indagini degli anni successivi, per cui ci limitiamo a ricordare il convincimento che se ne era fatto al tempo la Corte, lavorando su indizi e mezze ammissioni che pure riscontrano come il Delle Chiaie dialogasse con Labruna di fatti di eversione e di vicende di provocazione, orchestrate dal SID contro la sinistra, come la ormai nota vicenda del!' "arsenale di Camerino"
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