Prima di procedere oltre nell'esame delle risultanze istruttorie a carico del Torretta, occorre soffermarsi sulla figura di Serafina Battaglia per il ruolo da costei assunto di implacabile accusatrice della mafia. La sua deposizione é una vivida esposizione di violenze e misfatti, in cui si inquadrano i più temibili esponenti della mafia...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo
La figura di Pietro Torretta come temibile ed influente mafioso viene, per la prima volta, messa in evidenza dal rapporto in data 25 giugno 1963 della Stazione CC. Uditore e del Commissariato P.S. Sciuti, in relazione al duplice omicidio dei mafiosi Pietro Garofalo e Girolamo Conigliaro, consumato nella abitazione del Torretta, in via Antonio Lo Monaco Ciaccio, la sera del 19/6/1963 e successivamente dal rapporto della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri, in data 31 luglio 1963, relativo alla denunzia di 54 mafiosi per associazione per delinquere e altri reati.
Tali rapporti trovano piena conferma in tutti gli accertamenti istruttori ed in particolare nella deposizione di Serafina Battaglia, la donna del mafioso Stefano Leale ucciso il 9/4/1960 in via Torino, madre di Salvatore Lupo Leale ucciso il 30/1/1962 proprie in contrada Uditore.
Prima di procedere oltre nell'esame delle risultanze istruttorie a carico del Torretta, occorre soffermarsi sulla figura di Serafina Battaglia per il ruolo da costei assunto di implacabile accusatrice della mafia. Serafina Battaglia visse a lungo more uxorio (era legata da precedente vincolo matrimoniale a certo Lupo Antonino) con Stefano Leale, noto mafioso, per cui fu in grado di venire a conoscenza delle più losche e intricate vicende della mafia palermitana.
La sua deposizione é una vivida esposizione di violenze e misfatti, in cui si inquadrano i più temibili esponenti della mafia. Dopo l'uccisione del marito Serafina Battaglia, in obbedienza alle secolari norme dell'omertà, tenne un contegno quanto mai reticente, anche perché, come poi spiegò, voleva sottrarre il figlio, da lei adorato, all'ambiente in cui era cresciuto. La Battaglia accettò con rassegnazione l'uccisione del marito come un evento fatale maturato in un clima in cui l'assassinio rappresentava l'unica soluzione di certi insanabili contrasti.
Ma quando a poco più di un anno di distanza, anche l'unico figlio cadde sotto i colpi di implacabili sicari, Serafina Battaglia colpita nel suo sviscerato amore di madre, reagì, contro coloro che riteneva autori della sua sventura, con l'unica arma efficace di cui disponeva, vale a dire con la propalazione di tutto ciò di cui era venuta a conoscenza.
Serafina Battaglia ha coraggiosamente ingaggiato da sola una lotta senza quartiere contro la mafia, alla quale attribuisce a ragione, la responsabilità della soppressione prima del compagno della sua vita e poi del figlio.
Serafina Battaglia merita pieno credito perché le sue deposizioni sono precise, dettagliate, circostanziate, senza contraddizioni o inesattezze e perché hanno trovato sempre riscontro nella realtà dei fatti.
Essa non é inspirata da motivi abietti o riprovevoli come da qualcuno si vorrebbe insinuare, ma dalla legittima e ferma volontà di ottenere la giusta e rigorosa punizione, nell'ambito della legge, di coloro che direttamente o no fecero strazio della sua vita.
Serafina Battaglia ha trovato ingresso nel presente procedimento per mero caso, in seguito al rinvenimento, cioé, in casa del Torretta di cinque bollette della S.G.E.S. intestate a Leale Stefano (verbale di sequestro della Stazione CC. Uditore in data 23/6/1963), che richiamarono l'attenzione sui rapporti del Torretta col mafioso uccise anni prima.
Serafina Battaglia accusa esplicitamente Piętro Torretta di essere il capomafia incontrastato dell'Uditore, e a sostegno di questa affermazione riferisce che lo stesso Stefano Leale si preoccupò di ottenere il suo preventivo benestare, prima di procedere ai diversi acquisti di terreni effettuati in quella zona.
Dopo l'uccisione di Stefano Leale, Pietro Torretta divenne intimo della Battaglia e di Salvatore Lupo Leale, tanto da essere chiamato a padrino di battesimo delle figlie di costui.
Fiduciosa nell'autorità di Pietro Torretta, la Battaglia gli affida la vita del figlio, che, dopo pochi mesi, viene ucciso proprio nel fondo rustico amministrato da Torretta.
Le gravi accuse di connivenza di costui con gli uccisori del giovane, formulata insistentemente da Serafina Battaglia lasciano nel processo una traccia indelebile. Nel corso del vivace confronto sostenuto il 10/7/1964 da Serafina Battaglia con Pietro Torretta, la donna ad un certo punto lanciò contro l'imputato una frase che merita di essere trascritta, perché costituisce una lapidaria definizione del mafioso: «Siete uomini d'onore e vi compiacete di farvi chiamare uomini d'onore.... Lei é un uomo da mezza lira come gli altri......da domani uscirò giornalmente e nessun uomo d'onore, sono sicura, oserà affrontarmi».
Nel confronto con la Battaglia Pietro Torretta non sa fare altro che negare, assumendo un atteggiamento pieno di falso riguardo e di distaccata comprensione verso la sua accusatrice.
Pietro Torretta nel 1948 venne indiziato di appartenenza alla famigerata banda Giuliano e di partecipazione al sequestro del possidente Guli Giuseppe. Prosciolto per insufficienza di prove, riuscì a passare inosservato per lunghi anni, rafforzando la sua posizione e arricchendosi. Verso il 1952 acquista in contrada Borsellino un fondo dell'estensione di 22 ettari, vendutogli dal possidente Antonio De Gregorio per il prezzo approssimativo di £.3.500.000. Ebbene, a distanza di una decina di anni, rivende una porzione di tale fondo, quella montagnosa, a certo Salvatore Bordomaro per il prezzo di ben lire 8.000.000. Ciò dimostra ampiamente come l'acquisto del 1952, par quel prezzo così esiguo, sia stato imposto al De Gregorio, vittima, anche se non lo ha ammesso, di una tipica pressione mafiosa. Verso il 1961/1962 acquista per il prezzo di lire 6.000.000 un appartamento di dieci vani in via A Lo Monaco Ciaccio, e lo adibisce a propria abitazione arredandolo con larghezza di mezzi. Acquista pure un appartamento di tre vani in via Marchesan e un magazzino in via Lo Monaco Ciaccio, per la complessiva somma di £.4.800.000.
Conduce un tenore di vita agiato e mantiene i figli agli studi. Possiede ben tre automobili, una Alfa Giulietta gialla, una Volkswagen ed una Fiat 600. Nel contempo continua ad occuparsi, come affittuario o cosiddetta persona di fiducia, con mansioni vaghe e indefinite, dell'amministrazione dei beni appartenenti ad Antonio De Gregorio, Eduardo Rossi, Salvatore e Santa Albanese e agli eredi di Favara Vincenzo, Francesco Cortigiani e Salvatore Lupo Leale, ai quali ultimi, com'è provato dalla deposizione dell'avv. Umberto Graceffo, non pagò né l'importo della prima annata di affitto del fondo, né, in parte, quello della seconda annata sotto lo specioso pretesto di essere creditore del defunto Stefano Leale, che, ovviamente, non poteva smentirlo.
Nello stesso tempo continua ad esercitare l'attività di guardiano, che é tipica dei mafiosi, sia in un cantiere della Società Tirrenia che in altro cantiere della Cooperativa Ravennate, dove suole recarsi a bordo della sua Giulietta gialla.
Indicativo del prestigio esercitato nella borgata é il rinvenimento, nella sua abitazione, di due domande di assunzione presso la ditta Vaselli - nettezza urbana - da parte di Caviglia Giuseppe e Spatola Rosario. È evidente che Pietro Torretta direttamente o tramite autorevoli e misteriosi amici, era in grado di rivolgersi ad una grossa impresa come la Vaselli, per la assunzione di personale.
Torretta é legato da buoni rapporti di amicizia con il costruttore edile Vincenzo Piazza, venditore degli immobili urbani da lui acquistati per il prezzo dichiarato đi £.10.800.000, il quale Piazza, per strana coincidenza, è proprio l'imprenditore che ha esplicato, con particolare intensità, la sua attività nella zona dell'Uditore..
Pietro Torretta nega di conoscere tutti i suoi coimputati ad eccezione di Francesco Di Martino, unicamente perché proprietario di un terreno limitrofe al suo. Senonché risulta dalla deposizione di Serafina Battaglia che egli fu visto in compagnia di Francesco Paolo Bontate e di altri mafiosi a bordo di un'automobile che attraversava la borgata di Belmonte Chiavelli.
Nega di conoscere il famigerato Nicola Di Trapani inteso "Cola Trapani" e i mafiosi di Cruillas: (Imputati in altro processo, di associazione per delinquere e omicidio) e risulta invece,dal rinvenimento nella sua abitazione di una cambiale intestata al Di Trapani, che con costui aveva sicuramente rapporti di affari.
Inoltre é da ritenere che il Torretta, attraverso Francesco Di Martino, che, come appresso si vedrà, aveva fornito un rifugio a Sirchia Giuseppe e Gambino Francesco, fosse in contatto con costoro e, in conseguenza, con la cosca mafiosa dell'Acquasanta.
Quanto al rinvenimento, nella sua abitazione, di numerose armi da fuoco, alcune pregiate, tutte denunziate, esso é indicativo della caratteristica passione del mafioso per le armi è specialmente per le armi di buona fattura. Del resto Pietro Torretta riuscì ad ottenere, per diversi anni, il permesso di porto d'arma, dimostrando così una rara abilità nel mimetizzarsi da cittadino inoffensivo, secondo il costume classico del mafioso arrivato alla prosperità.
L'arresto di Pietro Torretta eseguito nella stessa borgata Uditore, in casa di Giordano Girolamo, dopo circa otto mesi di latitanza, é una riprova della posizione di prestigio di cui godeva l'imputato a del sinistro predominio esercitato, giacché diversamente, restando nella zona dove era ben conosciuto, non avrebbe potuto così a lungo sottrarsi alle ricerche continue e infaticabili
disposte nei suoi confronti.
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