- Il 3 maggio si è aperto negli Stati Uniti, davanti a una corte californiana, un processo antitrust di rilevanza planetaria. Si affrontano Epic Games, lo sviluppatore di videogiochi che ha creato il notissimo gioco online Fortnite, e la Apple.
- A partire dall’agosto di un anno fa, Epic Games ha cercato di invogliare, con una politica di forti sconti, i giocatori di Fortnite su iPhone ad effettuare i loro acquisti in-game direttamente sul suo sito anziché nell’app store.
- Per tutta risposta Apple ha radiato Fortnite dal suo store ed Epic, ritenendo che ciò costituisse un abuso di Apple della sua posizione di dominio sul mercato, ha citato quest’ultima in giudizio.
Il 3 maggio si è aperto negli Stati Uniti, davanti a una corte californiana, un processo antitrust di rilevanza planetaria. Si affrontano Epic Games, lo sviluppatore di videogiochi che ha creato il notissimo gioco online Fortnite, e la Apple. A partire dall’agosto di un anno fa, Epic Games ha cercato di invogliare, con una politica di forti sconti, i giocatori di Fortnite su iPhone ad effettuare i loro acquisti in-game direttamente sul suo sito anziché nell’app store, il negozio digitale di Apple che trattiene il 30 per cento delle transazioni. Per tutta risposta Apple ha radiato Fortnite dal suo store ed Epic, ritenendo che ciò costituisse un abuso di Apple della sua posizione di dominio sul mercato, ha citato quest’ultima in giudizio.
In Europa
Al di qua dell’oceano, le cose non vanno meglio. Il 30 aprile la Commissione europea, concludendo un procedimento antitrust, ha determinato che Apple starebbe violando anche il diritto europeo della concorrenza, stavolta però nei confronti di Spotify. Come Epic, il noto servizio di streaming musicale si è lamentato della fetta eccessiva di incassi prelevata dalle sue transazioni avvenute tramite l’app store. In realtà, Apple non applica la stessa politica a tutti i fornitori che ospita sul suo store: Amazon, ad esempio, non paga la stessa, altissima, commissione sugli acquisti in-app per Prime Video. A seguito delle polemiche, da gennaio Apple ha abbassato al 15 per cento le commissioni per gli sviluppatori minori, quelli che fatturano meno di un milione di dollari all’anno.
Controllare il mercato
La società di Cupertino si difende da sempre dalle accuse di abuso della sua posizione di dominio sui mercati digitali. Sostiene che una commissione di un terzo delle transazioni concluse dai maggiori fornitori grazie al suo store rappresenterebbe un corrispettivo equo per le enormi somme di denaro che la stessa ha investito per gestire l’app store. E comunque, sostiene Apple, il mercato offre delle alternative, come, ad esempio, Google. Per quanto concerne, poi, le regole rigide applicate agli sviluppatori, mirerebbero a tutelare sicurezza e riservatezza degli utenti finali.
La definizione del ruolo giocato da Apple e dal suo store online sui mercati digitali dipenderà da come sarà considerato, da chi giudica, il mercato rilevante dello store. Ovvero, quale sia la fetta di mercato sul quale l’azienda detiene e, sul quale esercita, il suo potere di controllo.
E non si tratta affatto di una questione semplice o dalla soluzione scontata. Qualche tempo fa la Commissione europea, ad esempio, ha ritenuto che Messenger di Facebook e WhatsApp, due applicazioni di messaggistica, non fossero tra loro in concorrenza, dal momento che gli utenti ne fanno un uso differente. Sotto un profilo più generale, peraltro, la soluzione del caso Epic Games vs. Apple costituirà un altro tassello, importante, dell’orientamento che si vorrà dare (e che non è detto coinciderà in Europa e negli Stati Uniti) al ruolo che gli operatori privati giocano nello sviluppo e nella regolamentazione delle attività umane che hanno luogo online. Insomma, gli store di operatori commerciali, non dissimilmente da quanto avviene per i social media, sono da considerare come contesti puramente privati, in cui il titolare può ammettere o escludere a suo piacimento chi ritiene, o costituiscono, invece, dei componenti di rilevanza generale del mercato, in cui, quindi, le imprese svolgono anche funzioni “pubbliche”, e sono quindi limitate nelle loro scelte discrezionali?
Gatekeeper
L’approccio negli Stati Uniti, dove ai privati è lasciato un più ampio margine di autoregolamentazione, è differente da quello adottato nell’Unione europea, dove esiste invece la tendenza opposta ad adottare norme più stringenti di regolamentazione dei mercati digitali, specie nei confronti degli operatori di dimensioni maggiori. Quest’ultima tendenza si potrebbe rafforzare, se si considera che a dicembre la Commissione europea ha avviato la procedura per l’adozione di una serie di regolamenti di disciplina del settore digitale, tra cui quello battezzato Digital markets act (Dma). Il regolamento individua le aziende di dimensioni maggiori – quelle che in un anno fatturano, nel territorio dell’Unione europea, almeno 6,5 miliardi di euro o che hanno almeno 45 milioni di utenti tra i cittadini dell’Unione – che vengono definite “guardiane del mercato” (“gatekeeper”), in quanto titolari di una particolare posizione di dominio e che, per questo, possono costituire barriere all’ingresso di nuove aziende. Queste ultime, e solo queste ultime, saranno soggette a regole volte a impedire loro di adottare comportamenti anti-competitivi: i gatekeeper, infatti, non potranno promuovere esclusivamente i propri servizi o favorirli a discapito di quelli altrui, ciò che, invece, avviene attualmente.
Insomma, secondo il progetto della Commissione, le aziende che gestiscono gli store di app saranno obbligate a garantire la parità di trattamento ai prodotti dei concorrenti, anche consentendo l’utilizzo di sistemi di pagamento e di abbonamento diversi dai loro. Con buona pace di Apple e con grande soddisfazione dei giocatori di Fortnite.
© Riproduzione riservata