Licenziato dal consiglio di amministrazione di OpenAI e poco dopo graziato da Satya Nadella, che gli affida una divisione di Microsoft. Dietro le sorti di Altman c’è la polarizzazione che attraversa l’intelligenza artificiale: catastrofisti o tecno-ottimisti? Intanto Microsoft ci guadagna...
I giorni più caotici della storia recente della Silicon Valley non si sono conclusi nemmeno dopo l’ennesimo colpo di scena: l’annuncio, da parte del ceo di Microsoft Satya Nadella, dell’approdo di Sam Altman e Greg Brockman (cofondatori e, rispettivamente, ex ceo ed ex presidente di OpenAI) direttamente alla corte del colosso fondato da Bill Gates.
Dopo essere stato improvvisamente licenziato nella giornata di venerdì 17 novembre, e dopo il fallimento dei primi negoziati per il suo immediato ritorno (in seguito al quale è stato invece scelto Emmett Shear, in uscita da Twitch), Altman ha ottenuto da Microsoft l’incarico di guidare una nuova divisione dedicata alla ricerca avanzata sull’intelligenza artificiale, accompagnato da Brockman e dai tanti talenti che, stando alle indiscrezioni, sarebbero pronti a fare le valigie e ad abbandonare OpenAI.
Una soluzione praticamente obbligata per Satya Nadella, che sarebbe stato colto di sorpresa come tutti gli altri dal licenziamento di Altman, nonostante sia proprio Microsoft – tramite i 13 miliardi di dollari investiti – ad aver permesso a OpenAI di trasformarsi da promettente startup a realtà leader del settore dell’intelligenza artificiale generativa.
L’approdo di Altman e Brockman a Microsoft, però, non è ancora certo: dopo la rivolta della stragrande maggioranza dei dipendenti di OpenAI, che minacciano di lasciare in massa la società a meno che i fondatori non vengano riammessi, si sono fatte più insistenti le voci secondo le quali il loro ritorno sarebbe ancora possibile.
Lo stesso Nadella, durante un’intervista alla Cnbc, ha fatto sapere che la conclusione di questa storia «dipende dalle scelte del consiglio di amministrazione, del management e dei dipendenti di OpenAI». E che comunque, per il futuro, «saranno necessari dei cambi di governance», perché «il fatto che avvengano cambiamenti senza nemmeno essere parte della discussione non va affatto bene».
La posizione di Microsoft
A questo proposito, com’è possibile che Satya Nadella – che ha comunque fatto sapere di voler rispettare i suoi impegni nei confronti di OpenAI – si sia trovato in questa posizione? Se non era favorevole a quello che è stato definito «un colpo di stato», come ha fatto il consiglio d’amministrazione di una società che dipende finanziariamente da Microsoft a farne fuori i cofondatori e figure chiave?
Tutto dipende dalla particolare struttura di OpenAI (retaggio delle sue origini, poi largamente modificate, di società no profit), che prevede che i membri del consiglio d’amministrazione non abbiano interessi economici nell’azienda stessa e debbano invece assicurarsi, per statuto, che OpenAI sviluppi un’intelligenza artificiale sicura e di cui l’intera società possa beneficiare, senza badare alle questioni economiche.
Di conseguenza, Microsoft non siede al tavolo del consiglio d’amministrazione e Altman è stato cacciato dalla sua stessa società senza che Nadella nemmeno ne fosse a conoscenza, adducendo – come da stringato comunicato di OpenAI – ragioni legate a mancanza di trasparenza nelle comunicazioni e incapacità di esercitare le sue responsabilità.
A cosa fa riferimento il consiglio d’amministrazione? A infastidire il board potrebbero essere state le altre avventure imprenditoriali di Altman (tra cui Worldcoin, una criptovaluta che dovrebbe consentire il reddito universale a livello globale) e soprattutto l’atteggiamento spregiudicato nei confronti dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, che sarebbe in palese contrasto con la missione di OpenAI.
Visto lo statuto di OpenAI, è quindi possibile che le azioni di Altman – aver ottenuto enormi finanziamenti da Microsoft tramite un escamotage societario e aver lanciato prodotti senza particolari cautele – lo abbiano messo in contrapposizione con il consiglio d’amministrazione e in particolare con il chief scientist Ilya Sutskever.
Un sospetto suffragato dal fatto che i quattro membri del cda che hanno eliminato Altman e Brockman sono tutti vicini al movimento dell’Altruismo Efficace e del Lungotermismo: due scuole di pensiero molto controverse e che hanno in cima alle loro preoccupazioni il cosiddetto “rischio esistenziale”, il pericolo cioè che l’intelligenza artificiale sfugga al controllo dell’essere umano e si ribelli.
Rischi
Preoccupazioni fantascientifiche e che rischiano di far passare in secondo piano i rischi concreti causati dall’intelligenza artificiale (disinformazione, deep fake, impatto sul mondo del lavoro, discriminazioni, ecc.), ma che, in ogni caso, non sono condivise da Altman – che ritiene che l’Ia sia un’innovazione complessivamente positiva – e che sicuramente non interessano a Satya Nadella, preoccupato invece di massimizzare i ritorni del suo investimento in OpenAI.
Questa tesi è al momento la più accreditata. Ed è stata anche indirettamente confermata dalle parole del responsabile operativo Brad Lightcap, secondo il quale il licenziamento di Altman «non ha nulla a che fare con questioni finanziarie o di affari». E non ci sarebbero state nemmeno infrazioni delle norme di condotta aziendali o qualche scandalo.
A contraddire però parzialmente le parole di Lightcap sono le dichiarazioni del nuovo ceo Emmett Shear, secondo cui «il consiglio di amministrazione non ha rimosso Altman per dei disaccordi relativi alla sicurezza» (senza però specificare quali fossero invece le ragioni), e anche la incredibile marcia indietro del chief scientist Ilya Sutskever.
Accusato, come detto, di essere la mente dietro questo colpo di mano, il 20 novembre ha invece scritto su X di essere «profondamente pentito del suo ruolo nelle azioni del board», firmando poi anche la lettera con cui i dipendenti chiedono la riassunzione di Altman. La confusione, insomma, non accenna a diminuire. In ogni caso, se la tesi della contrapposizione sull’opportunità di sviluppare a un tale ritmo l’intelligenza artificiale venisse confermata, non ci sarebbe poi troppo di cui stupirsi.
Quanto avvenuto tra OpenAI e Microsoft ricalcherebbe infatti lo scontro in atto da tempo tra le due fazioni dell’intelligenza artificiale: da una parte i cosiddetti “doomers”, i catastrofisti convinti che questa tecnologia, come detto, sia incredibilmente pericolosa e vada quindi trattata con cautela, dall’altra i tecno-ottimisti, contrari a qualsiasi regolamentazione e sicuri che sia necessario procedere senza remore nello sviluppo di questa innovazione.
Da una parte Elon Musk, il board di OpenAI o think tank come il Future of Life Institute (che aveva lanciato l’appello per sospendere lo sviluppo dell’intelligenza artificiale), dall’altra personalità come il potentissimo investitore Marc Andreessen-Horowitz, fondatore della società di venture capital A16Z convinto – come ha scritto in un recente blogpost – che «l’intelligenza artificiale salverà il mondo» (una posizione non del tutto disinteressata, vista la sua partecipazione a molteplici startup che sarebbero sicuramente penalizzate da una ferrea regolamentazione).
Uno scontro che assume spesso toni millenaristi e che sta pericolosamente polarizzando il dibattito sull’intelligenza artificiale. Sam Altman ha rischiato di essere la prima prestigiosa vittima di questo scontro, prima di venir salvato in extremis da Satya Nadella. Che così potrebbe portarsi a casa i principali fautori del successo di OpenAI, mantenendo comunque il diritto di poter usare tutti i prodotti della startup creatrice di ChatGPT e Dall-E. Tra i due litiganti, il terzo gode: se le cose andassero a finire così, raramente questo proverbio si sarebbe rivelato più indovinato.
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