Era il 30 novembre del 2022 quando OpenAI lanciava ChatGpt: il sistema di intelligenza artificiale generativa in grado di scrivere testi elaborati e complessi seguendo i nostri comandi. Da allora sono passati poco più di quattro mesi: un tempo breve, ma sufficiente affinché questo strumento entrasse nella quotidianità lavorativa di un gran numero di professionisti, anche in Italia.

Più di uno su quattro

Secondo uno studio di Fishbowl, il 27 per cento dei professionisti e delle professioniste già oggi utilizza ChatGpt per svolgere o completare determinate mansioni; percentuale che sale al 35 per cento tra i lavoratori del settore tecnologico e al 37 per cento tra chi opera nei campi del marketing e della pubblicità. Ma in che modo, concretamente, i professionisti italiani sfruttano ChatGpt? E come ha impattato la decisione di OpenAI di bloccarne l’uso in Italia, in seguito ai rilievi mossi dal garante della Privacy?

«Negli ultimi tempi mi sono abituato a delegare a ChatGpt le attività a minore valore aggiunto, per esempio la scrittura di alcuni testi aziendali e la stesura di alcune mail non strategiche», spiega per esempio Filippo Lubrano, consulente di innovazione. «Se non potessi più utilizzarlo sarebbe effettivamente un impedimento, a livello di sperimentazione e immaginazione di nuove proposte di business».

«Nel mio settore lo uso soprattutto per i compiti più ripetitivi e noiosi, dalla correzione rapida dei testi promozionali alle risposte alle mail di servizio», racconta Emmanuele Pilia, editore di una casa editrice indipendente. La stesura e l’editing di testi, mail e simili è sicuramente l’utilizzo più diffuso, confermato sia da quanto emerge dalla già citata ricerca Fishbowl sia dalle testimonianze che mi sono state riportate da vari professionisti italiani, principalmente legati al settore della comunicazione.

Correzione e ispirazione

Gli utilizzi specifici però cambiano molto: se spesso ci si affida a ChatGpt per scrivere una bozza che viene poi corretta e migliorata dall’essere umano, c’è invece chi sfrutta le potenzialità di questo sistema in senso contrario: «A volte inserisco nel sistema i testi che scrivo per i siti che sviluppo e chiedo a ChatGpt di renderli in forma migliore, ovviamente poi controllando che sia tutto corretto», racconta infatti Davide Rovere, di professione web designer.

Oltre a “editing” e “correzione”, c’è un altro termine – decisamente più sorprendente – che emerge dagli studi e dai racconti: ispirazione. ChatGpt si rivela infatti uno strumento in grado di sbloccare l’impasse di comunicatori e creativi, permettendo loro di generare rapidamente degli stimoli testuali da affinare successivamente o tra i quali scegliere. In questo modo, inevitabilmente, i processi di lavoro si snelliscono e velocizzano.

Per alcuni professionisti, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in questo senso non è una novità. È il caso per esempio dei traduttori, che già da parecchi anni impiegano strumenti di traduzione basati su deep learning – come Google Translate o il più professionale DeepL – soprattutto a uno scopo: ottenere immediatamente una traduzione approssimativa, da rielaborare, del contenuto di un paragrafo particolarmente ostico.

Collaborazione uomo macchina

Il rapporto professionale che si crea tra essere umano e macchina è quindi, per molti aspetti, una vera e propria collaborazione, in grado di velocizzare il lavoro mentre contemporaneamente ne aumenta la qualità. Almeno è questo l’esito di uno studio empirico svolto da due ricercatori dell’MIT di Boston: Shakked Noy e Whitney Zhang. Nonostante la maggioranza dei 450 professionisti interpellati - nei settori del marketing, analisi dati, risorse umane e comunicazione -, fosse alla prima esperienza con ChatGpt, grazie a questo strumento sono riusciti a svolgere il loro lavoro in tempi più rapidi e ottenendo risultati di qualità superiore.

Che fossero comunicati stampa, brevi report o analisi commerciali, in media il tempo necessario a completare il lavoro è sceso, nel corso dello studio, da 27 a 17 minuti, mentre la qualità del lavoro (giudicata da una commissione ignara di cosa fosse stato prodotto con o senza ChatGpt) è salita da 3,8 a 4,5 su una scala che andava da uno a sette.

Più qualità e più rapidamente: è il sogno di ogni professionista. Restano però da risolvere incognite enormi: che ripercussioni avrà sul mondo del lavoro la possibile sostituzione degli assistenti umani con ChatGpt (per non parlare delle intelligenze artificiali in grado di generare immagini, già oggi utilizzate al posto di fotografi o illustratori)? E ancora, il tempo liberato da ChatGpt verrà sfruttato per lavorare meglio (o, perché no, lavorare meno) oppure – com’è sempre stato nel rapporto tra essere umano e tecnologia – per produrre sempre di più?

Ovviamente, solo il tempo potrà darci risposte. Quel che invece, già adesso, appare evidente è che per molti professionisti rinunciare all’utilizzo di ChatGpt significherebbe fare a meno di un collaboratore sempre più importante e utilizzato: «Io l’ho trovato uno strumento prezioso soprattutto per una cosa che mi riesce difficoltosa: ideare titoli e sottotitoli», mi racconta Silvia Kuna, comunicatrice scientifica. «Per questa ragione contavo molto sulla possibilità di continuare a usarlo in futuro».

«È impressionante quanto ChatGpt sia in grado di scrivere codice informatico seguendo solo le mie istruzioni. Però ci ho messo un po’ a capire come usarlo al meglio, anche perché bisogna sempre controllare tutto: in alcuni casi sembra quasi smarrirsi e i risultati che produce sono inutilizzabili», spiega invece Claudia Rosci, programmatrice.

La questione dell’utilizzo consapevole di uno strumento tanto potente quanto soggetto a frequenti allucinazioni (come si definiscono in gergo le situazioni in cui l’intelligenza artificiale produce con sicurezza dei resoconti completamente inventati) viene sottolineata da tutti i professionisti che ne fanno un uso frequente: «Nulla di quanto produco usando ChatGpt esce pubblicamente senza che io abbia revisionato e verificato tutto», precisa Alberto Puliafito, giornalista e consulente. «Nel mio caso, inserisco all’interno del sistema dei testi e gli chiedo di dirmi se secondo lui ci sono delle carenze. Gli faccio anche fare prove di titoli e di riassunti, gli chiedo di trasformare un articolo in un post per Linkedin o in un thread di Twitter. Fondamentalmente lo uso proprio come un assistente».

L’assistente

Un assistente a cui rifilare anche le pratiche più tediose che possano capitare in ambito lavorativo, come spiega Francesco D’Isa, artista e scrittore, a cui ChatGpt compila le candidature a bandi e concorsi: «Soprattutto in ambito anglosassone, viene spesso richiesta una dichiarazione in cui si spiega chi siamo, quali sono i nostri punti di forza e quanto siamo bravi a fare alcune cose. Sono pratiche noiosissime e sempre uguali: io segnalo a ChatGpt alcune mie scarne note biografiche e lui mi prepara un testo elaborato e tra l’altro con il “tono di voce” più adatto».È importante notare come la grande maggioranza delle persone che hanno testimoniato il loro utilizzo professionale di ChatGpt continua a utilizzarlo ancora oggi, nonostante il blocco deciso da OpenAI in seguito ai rilievi mossi dal garante della Privacy. Non solo infatti esistono strumenti alternativi (anche se nessuno, stando alle testimonianze, del livello di ChatGpt), ma è sufficiente installare una Vpn (virtual private network, un software che inganna il server facendogli credere di essere connessi da qualche altra parte del mondo) per superare tutti gli ostacoli.

Alla luce anche di ciò, le accuse al garante di aver bloccato l’innovazione e la sperimentazione digitale in Italia sono probabilmente eccessive, soprattutto quando giungono da chi, negli stessi giorni, aveva mostrato sostegno alla lettera firmata da un paio di migliaia di imprenditori (e non solo) per chiedere la sospensione dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Una misura del genere causerebbe sicuramente un freno all’innovazione, a maggior ragione se decisa sulla base di fantascientifici timori – espressi esplicitamente nella lettera – di poter dare vita a “menti digitali” in grado di sovrastare l’essere umano.

Per il momento, e ancora per il futuro a venire, questi strumenti – che fondamentalmente rielaborano su basi esclusivamente statistiche il materiale presente nei loro database – non corrono nessun rischio di diventare senzienti e prendere il controllo del pianeta. Al contrario, giorno dopo giorno stanno rivelando sempre più la loro vera natura: quella di straordinari assistenti.

© Riproduzione riservata