Cresce l’interesse di aziende e utenti dei social per gli influencer virtuali, personaggi digitali che si comportano in tutto e per tutto come i loro omologhi umani. Ma dietro l’industria dei virtual influencer ci sono interessi molto concreti
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Non esistono nel mondo fisico, sono solo personaggi creati e animati in grafica 3D da agenzie di marketing che vogliono lucrarci sopra. Ma in realtà è più finta l’immagine sorridente di Cristiano Ronaldo o quella dell’influencer digitale Lil Miquela?
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Possono promuovere i prodotti degli sponsor con foto elaborate in digitale o brevi filmati animati con la tecnica della motion capture, in cui un attore umano indossa una tuta con dei sensori che serve a tracciarne i movimenti, che vengono poi super imposti al personaggio virtuale.
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La totale reperibilità e disponibilità, sette giorni su sette, degli influencer virtuali e la loro invulnerabilità a qualsiasi defaillance è un punto molto reclamizzato da chi vende questo tipo di servizi. Ma le cose però sono più complesse.
Si fa presto a dire influencer virtuale, a indicare con l’aggettivo la non esistenza nel mondo reale di una celebrità Internet.
Certo, Lu do Magalu con i suoi più di 30 milioni di follower su vari social, o Lil Miquela, che ne ha tre solo su Instagram, non esistono nel mondo fisico, non le puoi incontrare per strada. Solo solo personaggi creati e animati in grafica 3D da agenzie di marketing che vogliono lucrarci sopra.
Ma, nella simulazione di pixel proiettata su Instagram e sugli altri canali, è più finta l’immagine sorridente di Cristiano Ronaldo o quella di Lil Miquela, che si autodefinisce una «musicista, una cercatrice del cambiamento e un robot che fa tendenza»?
Confine ambiguo
La risposta a questa domanda è più sfaccettata di quello che si potrebbe supporre – quasi tutto quanto fanno i Vip online (per lo meno, quelli più accorti) è costruito è gestito da società di pubbliche relazioni, così come accade per le celebrità creati a tavolino – ed è su questa ambiguità che poggia il crescente appeal di personaggi come le già citate Lu do Magalu, Lil Miquela, ma anche Knox Frost, virtual influencer maschio che ha collaborato con l’Oms per la divulgazione di misure anti-covid, la ribelle Bermuda o la modella virtuale di colore Shudu.
Aziende come Prada, Chanel, Ellesse, Calvin Klein li corteggiano - o meglio, corteggiano a suon di lauti contratti le agenzie che li hanno creati – per promuovere i loro prodotti.
Possono farlo attraverso foto elaborate in digitale, dove il personaggio virtuale appare accanto a un testimonial umano, brevi filmati animati con la tecnica della motion capture, in cui un attore umano indossa una tuta con dei sensori che serve a tracciare i movimenti, che vengono poi super imposti al personaggio virtuale, semplici istantanee in posa.
Proprio come i loro omologhi umani. E, fra una réclame e l’altra, à la Kardashian, come dei bravi e delle brave personcine dalla coscienza sociale sviluppata, anche gli influencer virtuali trovano il modo di promuovere qualche causa nobile, si tratti di Black Lives Matter o di una raccolta fondi. Con il risultato, non secondario, di accrescere il proprio numero di follower.
Economici e instancabili
Si tratta di vera gloria? Dipende da quale punto di vista si guarda la cosa. Se la si considera dal punto di vista delle agenzie di marketing che hanno dato loro vita, come la Brud di Los Angeles, la giapponese Aww o l’indonesiana Magnavem Studio, certamente sì.
Benché molto lontani dalle cifre record di un milione di dollari per post dei più famosi influencer umani come Ariana Grande, Kylie Jenner, Cristiano Ronaldo gli influencer digitali procurano cifre interessanti. Da un’analisi effettuata da alcuni ricercatori dell’Università di Padova e della Nmims University di Mumbai, per lo studio “Virtual influencers on social media”, Lu do Magalu “prende” circa diecimila dollari per post, Lil Miquela ottomila e Knox Frost tremila.
Anche dal punto di vista delle aziende che usufruiscono dei loro servigi, il gioco può valere la candela. È vero che il tasso di engagement (il livello di interazione coi follower) di questi bei tomi è inferiore a quello dei loro equivalenti umani, tuttavia costano decisamente meno e si è del tutto sicuri della loro fedeltà al copione che devono recitare.
Non potrebbero fare altrimenti: la loro vita, le battute che dicono, le loro emozioni, sono propaggini di una sceneggiatura creata da altri. Alcune agenzie proclamano che loro creature sono mosse da “intelligenza artificiale”, e che godono di un certo grado di autonomia nell’elaborazione delle loro risposte, ma ammesso che ciò sia vero (difficile verificare data la segretezza che circonda i produttori), si tratta comunque di un livello di libertà limitato.
Dietro la facciata
Non bastasse, non si imbarcano in risse con altri influencer, non fanno gaffe, non vanno in ferie, non chiedono aumenti, e non si ammalano, cosa che con la pandemia di Covid ha dato loro un deciso vantaggio sugli equivalenti umani.
La totale reperibilità e disponibilità, sette giorni su sette, degli influencer virtuali e la loro invulnerabilità a qualsiasi defaillance fisica o caratteriale tipica dei loro equivalenti di carne, è un punto molto reclamizzato da chi vende questo tipo di servizi. «Affidatevi a loro», dicono alle aziende, «non vi creeranno problemi».
Le cose però sono un filino più complesse. Dietro la facciata di algida bellezza e perfezione di questi piccoli idoli di pixel, c’è una congerie di umani. C’è lo sceneggiatore che crea il “carattere” del personaggio e la sua biografia fittizia, l’attore che presta la voce nei video e si muove con la tuta per la motion capture per simularne i movimenti, la modella reale a cui, in alcuni casi, viene sovraimposto digitalmente il volto della smagliante influencer.
Tutte persone che lavorano duramente e che, come racconta il sito Rest of the World, si possono logorare, possono commettere errori o possono avere problemi di altro tipo. E il cui apporto al personaggio virtuale è un tassello chiave per l’identificazione dei fan col loro idolo.
Quando l’attore giapponese che dà voce al personaggio di Usada Pekora, un famoso influencer digitale su YouTube, si è fatto male alle corde vocali per il troppo lavoro, anche il personaggio ha dovuto fermarsi per un paio di mesi, in attesa che guarisse. In Cina, una delle cantanti del gruppo pop virtuale A-Soul, è stata ritirata improvvisamente dalla formazione, pare perché l’attrice che la animava in motion capture si era lamentata di molestie e infortuni sul luogo di lavoro.
Effetti sulle persone
Se per le agenzie di marketing e le aziende che sponsorizzano, l’utilizzo di virtual influencer, sembra un affare, l’interazione del pubblico con un personaggio del tutto irreale, dà vita a dilemmi etici, psicologici e anche legali. Quando un personaggio come Chiara Ferragni o Cristiano Ronaldo funge da testimonial per un prodotto si crea una relazione di fiducia coi follower: Tizio o Tizia mi consigliano quel prodotto, quindi quel prodotto deve essere buono.
È chiaro che sono pagati per dire certe cose, ma nel caso di due influencer umani, almeno in teoria essi avrebbero potuto provare l’oggetto: indossare quella borsa o guidare quell’auto. Nulla di tutto ciò accade con un personaggio virtuale: nessuna emozione, nessuna sensazione associata all’acquisto. È tutto un inganno, dunque? Si dovrebbe impedire a queste creature virtuali di manipolare gli “ingenui” umani? Forse, ma si potrebbe ribattere, come fa notare il professor Ben Robinson dell’Università di Sidney, che Lil Miquela e gli altri sono molto trasparenti nell’affermare di non essere reali: l’inganno funziona solo con chi vuole crederci.
Altra cosa sarebbe se, per esempio nel Metaverso, una persona fosse convinta di stare parlando con l’avatar di un altro umano, mentre in realtà ha di fronte una creatura gestita da un’azienda. Sono casi già successi nella piattaforma di gaming Roblox.
Modelli irraggiungibili
Un’altra preoccupazione è queste creature digitali modellate su canoni di bellezza femminile e maschile irraggiungibili ai più, con uno stile di vita lussuoso, possano creare sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione nelle persone che li seguono e si confrontano a loro, soprattutto negli adolescenti. Qualcosa di simile a quanto accade normalmente sui social media, ma amplificato dal fatto di dover dialogare con un essere perfetto, perché costruito in laboratorio. D’altra parte, gli influencer virtuali proprio perché privi di pecche, possono anche porsi come paladini cause di valore e rapportarsi con loro può essere rassicurante.
Come ha detto una giovane ventottenne a Rest of the World, parlando degli influencer su YouTube, «l’attrazione c’è proprio perché non sono umani, non a dispetto di ciò. Alla gente della mia generazione gli umani non piacciono poi così tanto. Siamo connessi tutto il tempo e preferiamo interagire online, e loro ci fanno restare in questo universo di fantasia».
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