Cacciata da tutti gli store digitali, la piattaforma che punta ad attirare il mondo dell’estrema destra statunitense lotta per la sopravvivenza.
- Fondato nel 2018 dal 27enne John Matze assieme a Rebekah Mercer (figlia di Robert Mercer, cofondatore di Cambridge Analytica) e Jared Thomson, Parler inizia a farsi notare nel luglio 2020, quando Facebook, Twitter decidono per la prima volta di segnalare o oscurare i post più incendiari di Donald Trump.
- Dopo la cancellazione degli account di Trump, Parler è arrivato in cima alla classifica delle app più scaricate e ha raggiunto i quattro milioni di utenti, ma adesso deve fare i conti con la decisione di Apple e Google di rimuoverlo dagli store e di Amazon di non ospitarlo sul suo cloud.
- Autodefinitosi «social network senza censura», Parler è in realtà una piattaforma che ospita contenuti razzisti, antisemiti, omofobi e tutto il peggio che la rete è in grado di produrre. Davvero Donald Trump deciderà di iscriversi (come ha già fatto Salvini)?
I sogni di gloria di Parler dovranno aspettare. Al momento, il social network che si autodefinisce “senza censura” risulta infatti inaccessibile ed è stato rimosso sia dall’App Store sia da Google Play. È il prezzo pagato per aver cavalcato il momento politico, approfittando della sospensione degli account Twitter e Facebook di Donald Trump per attirare a sé i più accesi sostenitori del presidente statunitense, gli adepti della teoria del complotto QAnon, i suprematisti bianchi e anche, perché no, lo stesso Trump.
«Non cederemo alle pressioni di aziende politicamente motivate e agli autoritari che odiano la libertà d’espressione», ha affermato l’amministratore delegato di Parler, John Matze, dopo che anche Amazon Web Services ha annunciato la decisione, poi messa in pratica, di non ospitare più il social network sul suo cloud (tagliandolo fuori da Internet). Le dichiarazioni di Matze devono però fare i conti con la realtà dei fatti: Parler è diventato un impresentabile di Internet e la decisione di Amazon mette a rischio la sua stessa sopravvivenza.
Durante le proteste
Fondato nel 2018 dal 27enne John Matze assieme a Rebekah Mercer (figlia di Robert Mercer, cofondatore di Cambridge Analytica) e Jared Thomson, Parler inizia a farsi notare nel luglio 2020, quando Facebook, Twitter e altri colossi social decidono per la prima volta – durante le proteste di Black Lives Matter – di segnalare o oscurare i post più incendiari di Donald Trump e contestualmente di cancellare in massa gli utenti e i gruppi legati all’estrema destra statunitense.
Parler coglie l’occasione per accogliere a braccia aperte gli espulsi dai social più noti, dandogli ospitalità su una piattaforma a metà strada tra Twitter e Instagram, con tanto di newsfeed, contatore dei follower, pulsante dei like e quant’altro. In breve tempo, anche parecchi volti noti della destra americana iniziano ad approdare su Parler: l’ex candidato alle primarie repubblicane Ted Cruz, il leader dei repubblicani alla Camera Kevin McCarthy, il figlio del presidente statunitense Eric Trump, il presentatore di Fox News Sean Hannity, l’attivista di estrema destra Laura Loomer e anche Brad Parscale, ex capo della comunicazione di Donald Trump che annuncia: «I giorni di Twitter sono contati».
L’occasione d’oro, irripetibile, si presenta però il 7 gennaio, quando Facebook prima e Twitter dopo (e non solo) decidono, in seguito all’assalto al Campidoglio, di sospendere a tempo indeterminato l’account di Donald Trump.
In breve tempo, Parler arriva in cima alla classifica delle app più scaricate su iPhone e Android e raggiunge i quattro milioni di utenti (contro i circa 350 milioni di Twitter e gli oltre due miliardi di Facebook). Tra i vertici della società e lo staff di Donald Trump si apre un canale di comunicazione per far approdare sul social network il presidente degli Stati Uniti e, con lui, anche parte del suo esercito di 88 milioni di follower.
Il contratto di Apple
Le ambizioni di Parler si scontrano però con l’immediata reazione dei colossi tech, che rimuovendolo dagli store digitali e privandolo dell’ospitalità di Amazon Web Services lo condannano nel giro di pochi giorni all’oblio (al momento, Parler è in cerca di un servizio alternativo ad AWS che gli permetta di tornare online). Perché una reazione così drastica? Stando a un comunicato di Apple, la ragione di rimuovere Parler dall’App Store è legata alla presenza sul social network di «contenuti nocivi e non appropriati. (...) Apple richiede alle app che ospitano contenuti generati dagli utenti un’efficace moderazione per filtrare i contenuti detestabili e potenzialmente pericolosi».
Per quanto anche Parler abbia una lasca politica di moderazione, e per quanto anche sugli altri social network (per non parlare di realtà meno visibili come Reddit) sia presente materiale estremista, è evidente come sulla piattaforma fondata da John Matze ci sia grande benevolenza nei confronti di contenuti che altrove porterebbero all’immediata sospensione o cancellazione dell’account.
Come mostrato in un report dell’organizzazione antirazzista ADL, su Parler sono diffusi profili esplicitamente nazisti e contenuti in cui vengono promosse tesi razziste, antisemite, omofobe, negazioniste. E in cui viene sostenuta senza conseguenze la necessità di uccidere gli avversari politici, come mostrano i post in cui si incita all’esecuzione di Mike Pence, vicepresidente accusato di tradimento, o alla necessità di “infilare un proiettile nella testa di Nancy Pelosi”, la leader dei democratici alla Camera.
Le altre piattaforme «senza censura»
Quello che viene promosso come un social network per la libertà d’espressione si presenta come un covo del peggio che internet è in grado di offrire. Non è certo l’unico: tra le varie piattaforme “senza censura” – quasi sempre rifugi per la destra estrema e per i fanatici delle teorie del complotto – vale la pena di citare Gab, una specie di Twitter in rapida crescita e con oltre un milione di utenti; Rumble, una sorta di YouTube del cospirazionismo, e anche Sfero, più simile a Reddit e che al momento ha dovuto disabilitare il caricamento di contenuti perché non in grado di reggere all’aumento del traffico.
Visto il successo registrato in questi giorni, è lecito chiedersi se privare Donald Trump dei suoi account non abbia l’unico risultato di regalare enorme visibilità a piattaforme più estreme, difficilmente monitorabili e quindi più pericolose.
Secondo David Kaye, docente di Diritto e relatore dell’ONU per la libertà d’espressione, il problema è però mal posto: «Le piattaforme più importanti hanno già mostrato l’enorme valore della loro portata, che si estende molto oltre i confini dei gruppi più affini ai politici che le utilizzano», ha spiegato al New York Times segnalando come personaggi un tempo seguitissimi come il teorico del complotto Alex Jones o il provocatore di estrema destra Milo Yannopoulos abbiano fatto grande fatica a conservare il loro seguito dopo essere stati cacciati da Twitter, Facebook e YouTube.
Per Donald Trump, il rischio sarebbe quindi di finire a predicare solo ai già convertiti. Secondo le più importanti personalità della destra (compreso Salvini, che ha da poco annunciato il suo sbarco su Parler), il loro approdo in massa su una piattaforma più tollerante potrebbe invece spostare gli equilibri del mondo social.
Per scoprire chi ha il coltello dalla parte del manico, Parler deve però riuscire a tornare online. E dimostrare di poter essere qualcosa di diverso da un angolo oscuro di Internet dove si riversa tutto il peggio che la rete è in grado di produrre.
© Riproduzione riservata