Negli ultimi decenni, il mondo delle nuove tecnologie è stato costellato da una lunga serie di bolle speculative. Dalla storica e devastante bolla delle dot-com di inizio Duemila – quando il Nasdaq perse quasi l’80 per cento del suo valore – si arriva a quelle più recenti, che hanno avuto come protagonisti i bitcoin, il metaverso o il web3.

La fine di questi cicli di euforia speculativa ha in alcuni casi travolto delle innovazioni promettenti ma ancora troppo acerbe per soddisfare le aspettative, finendo paradossalmente per ostacolare, invece che supportare, il loro sviluppo. E se adesso, a quasi due anni dal lancio di ChatGpt, fosse la volta dell’intelligenza artificiale generativa?

I segnali che l’attuale fase di crescita impetuosa – simboleggiata dal valore di mercato di Nvidia, pari a tremila miliardi di dollari, e dal fiume di denaro che si è riversato su tutte le startup del settore – stia andando verso una brusca conclusione iniziano in effetti a moltiplicarsi.

Gli indicatori 

Prima di tutto, gli investitori sembrano aver chiuso i rubinetti, inaugurando una fase di prudenza utile a osservare l’evoluzione dello scenario. Il capitale investito nelle nuove startup di intelligenza artificiale generativa è infatti passato dai 517 milioni di dollari del terzo trimestre del 2023 ai 123 milioni del primo trimestre dell’anno in corso: un calo del 76 per cento che non è passato inosservato tra gli addetti ai lavori.

Altri numeri significativi sono relativi all’adozione di ChatGpt, che invece di proseguire inarrestabile – come ci si attenderebbe da una tecnologia ormai matura e che può assisterci in una vastissima quantità di compiti – sembra essersi arrestata. Nell’aprile 2023, il sito di ChatGpt ha ricevuto 1,8 miliardi di visite (dati Similarweb). Da allora, però, ha smesso di crescere: le visite si sono infatti attestate sulla stessa cifra anche nell’aprile di quest’anno (prima che il cambio di indirizzo web rendesse più complicate le stime).

E poi ci sono le difficoltà che stanno investendo alcune delle più promettenti startup del settore. È il caso, per esempio, di Stability AI: nel primo trimestre 2024, la società che produce il sistema di creazione immagini Stable Diffusion ha fatto segnare perdite per 30 milioni di dollari (a fronte di soli 5 milioni di ricavi). Una situazione che ha portato alle dimissioni del ceo Emad Mostaque e al licenziamento del 10 per cento dei dipendenti.

Se davvero l’intelligenza artificiale sta affrontando i vari stadi di una bolla speculativa, allora potremmo essere vicini alla conclusione della fase dell’euforia, che nella classica suddivisione teorizzata dall’economista Hyman P. Minsky precede quella della “presa di profitto”, quando i più scaltri tra gli investitori si rendono conto la crescita è ormai agli sgoccioli e passano all’incasso (l’ultima fase è quella del panico, quando tutti vendono al ribasso e gli ultimi arrivati rimangono con il cerino in mano).

Ma quella dell’intelligenza artificiale è davvero una bolla? Possiamo davvero paragonare la tecnologia più trasformativa del nostro tempo – che dovrebbe addirittura dare vita a una nuova rivoluzione industriale – alle false promesse del metaverso o a un’innovazione intrinsecamente speculativa come il Web3 basato su criptovalute?

Esperti divisi 

Sul tema, gli esperti sono divisi: in un post del marzo scorso, Jeremy Grantham (cofondatore del fondo d’investimento GMO e celebre per aver previsto sia la bolla delle dot-com sia quella immobiliare del 2008) ha descritto l’intelligenza artificiale come «una bolla all’interno di un’altra bolla». Secondo Grantham, l’avvento di ChatGpt ha infatti invertito la spirale discendente che i mercati avevano intrapreso dopo l’euforia finanziaria degli anni del Covid, dando vita per l’appunto a una «bolla dentro la bolla» che «non potrà che iniziare a sgonfiarsi».

Una posizione diametralmente opposta è quella invece espressa da Jamie Dimon, ceo di JPMorgan Chase che, parlando con la CNBC, ha affermato: «Quando abbiamo vissuto la prima bolla delle dot-com fu a causa dell’eccessivo hype generato. Ma l’intelligenza artificiale non è hype, l’intelligenza artificiale è una cosa vera».

Questa affermazione presenta però almeno due punti deboli. Prima di tutto, anche le dot-com erano reali. Eccome se lo erano. Dalle ceneri di quella bolla finanziaria sono emersi Amazon, Google e tantissimi altri colossi della Silicon Valley, mentre internet e il web (che erano al centro di quell’ondata speculativa) hanno trasformato il mondo davanti ai nostri occhi, contribuendo tra l’altro a rendere possibile la stessa intelligenza artificiale (fornendo i dati con cui questi sistemi vengono addestrati).

I punti comuni

Nonostante le sue enormi e concrete potenzialità, internet è comunque stata protagonista di un’immensa bolla speculativa, a causa delle aspettative eccessive, del terrore di non salire sul treno in corsa e di una tecnologia ancora non sufficientemente matura.

Vi ricorda qualcosa? Anche i sistemi di intelligenza artificiale generativa stanno vivendo una situazione simile. Dopo averci presentato ChatGpt e i suoi fratelli come degli onniscienti oracoli in grado di rendere obsoleta l’intera specie umana, oggi ci troviamo a fare i conti con dei chatbot che commettono un’infinità di errori e con strumenti di generazione immagini che remixano in maniera spesso grossolana le immagini contenute nel dataset con cui sono stati addestrati (a meno che a guidarli non siano professionisti o creativi particolarmente esperti). «Una volta superato l’hype iniziale e dopo aver compreso i limiti dell’intelligenza artificiale, i casi d’uso potenziali si riducono parecchio», ha scritto l’esperto di tecnologia Navneet Alang.

Per quanto possano aiutarci a scrivere email, a trasformare un articolo in un post per Linkedin, a modificare qualche immagine, a organizzare la giornata o a creare una presentazione in Powerpoint, questi sistemi sono davvero in grado di alimentare un mercato che dovrebbe raggiungere i 1.300 miliardi di dollari entro il 2030 (soprattutto considerando che, nella maggior parte dei casi, questi strumenti verranno integrati all’interno dei software che già utilizziamo quotidianamente)?

Le fondamenta economiche 

Un’altra presunta differenza tra la bolla delle dot-com e le aspettative riposte oggi nell’intelligenza artificiale generativa è che le startup dell’epoca – che avevano nomi come Pets.com, Priceline, eToys e che fallirono tutte in pochi mesi – avessero «fondamenta economiche traballanti».

A pensare che la situazione, oggi, non sia in realtà così dissimile è Matt Cohen, fondatore di Ripple Ventures che, parlando con Pitchbook, ha spiegato: «C’è un’enorme frenesia e probabilmente sono stati dati finanziamenti a tante persone che non avrebbero dovuto riceverne. Adesso, alle startup chiedo soltanto di mostrarmi che cosa le differenzia dai concorrenti e se stiano usando sistemi loro o progettati da altri. Ora come ora, il mercato è completamente saturo».

I recenti e terribili flop dello Humane AI Pin e del Rabbit R1, due dispositivi che ambivano a sfruttare l’intelligenza artificiale per sostituire gli smartphone con un assistente tuttofare, rappresentano probabilmente un altro segnale da tenere in considerazione; così come la difficoltà a generare ritorni economici significativi anche di note realtà del settore, come la già citata Stability o PerplexityAI (fa invece eccezione OpenAI, che ha già raggiunto 3,4 miliardi di dollari di fatturato nel 2024, soprattutto vendendo ad altre realtà professionali l’accesso ai suoi modelli).

Per quanto alcune aspettative possano essere esagerate, non ci sono dubbi che l’intelligenza artificiale (non solo e non soprattutto quella generativa) sia una tecnologia in grado di trasformare il mondo, e che in parte l’ha già trasformato. Come insegna la storia delle dot-com, ciò non significa che non possa attraversare una bolla speculativa. Anzi: per certi versi, questo sembra essere un rito di passaggio per molte tecnologie rivoluzionarie.

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