- Il mercato dei podcast è in crescita vertiginosa, ma le sue potenzialità economiche sono ancora agli inizi.
- La grande sfida lanciata da Spotify a Apple è la dimostrazione di come anche i colossi digitali non vogliono farsi sfuggire questa nuova occasione.
- Nel Vecchio Continente il mercato è ancora piccolo, ma i player decisi a conquistarlo stanno crescendo rapidamente.
Se ci si fermasse alle chiacchiere tra addetti ai lavori, quello dei podcast sembrerebbe un mercato già saturo. Da Michela Murgia a Fedez, da Selvaggia Lucarelli ad Alessandro Barbero (le cui conferenze vengono trasformate in podcast da appassionati), da Enrico Mentana all’inevitabile Marco Montemagno. Quale celebrità non si concede un podcast oggigiorno? E poi c’è tutto l’universo delle trasmissioni radio distribuite anche come podcast (tra cui spicca il successo de La Zanzara), le inchieste giornalistiche audio (l’esempio più noto è ovviamente Veleno) e la vastissima “classe media” di autori e conduttori che proprio su questo settore puntano per emergere.
Potenzialità di crescita
A prima vista, quello dei podcast sembra un settore già maturo. Le cose, in realtà, sono molto diverse. Anche il mercato più sviluppato, quello statunitense, genera numeri rispettabili ma che mostrano grandi potenzialità di crescita. Nel 2020, il 41 per cento degli statunitensi ha ascoltato almeno un podcast, eppure – secondo una ricerca Edison – su 100 minuti trascorsi ad ascoltare contenuti audio (musica, radio, ecc.) solo 6 sono stati dedicati ai podcast.
I numeri del mercato pubblicitario riflettono questa scarsa penetrazione: lo scorso anno i podcast hanno generato negli Stati Uniti investimenti in pubblicità di circa 800 milioni di dollari. Una crescita – secondo i dati eMarketer – del 38 per cento rispetto all’anno precedente, ma che rappresenta ancora meno di un decimo di quanto gli inserzionisti spendono per la radio e una frazione degli oltre 70 miliardi spesi per la pubblicità in televisione.
Se il mercato dei podcast è ancora agli inizi, il 2020 è stato però l’anno del decollo: il mercato pubblicitario è cresciuto negli Stati Uniti del 36 per cento, mentre si prevede che nell’anno in corso supererà abbondantemente quota un miliardo di dollari per poi arrivare a 1,7 miliardi nel 2022. La pandemia, da questo punto di vista, sembra avere aiutato: il tempo trascorso dagli utenti ad ascoltare podcast nei paesi di lingua inglese è cresciuto del 35 per cento rispetto al periodo precedente al primo lockdown, mentre gli ascoltatori di podcast su Spotify e sull’apposita app di Apple sono cresciuti, nel 2021, rispettivamente del 23,9 e del 23,8 per cento.
Percentuali che mostrano un mercato in rapidissima crescita e che potrebbero far temere la formazione di una piccola bolla, di grandi aspettative che – in un mercato ancora piccolo – rischiano di non essere rispettate: «Noi in realtà ci aspettiamo un mercato che avrà una crescita esponenziale nel breve periodo e poi una più moderata sul lungo termine», spiega Guido Brera, fondatore assieme a Mario Gianani e al Ceo Mario Calabresi di Chora Media, una delle principali realtà italiane del settore. «È un trend che ricorda quello iniziale di un mercato come i telefoni cellulari: se li mettiamo in parallelo, la tendenza è molto simile».
Oltre a Spotify vs Apple
Ci troviamo di fronte ai primi vagiti di un mercato pronto a esplodere? Un altro indizio che punta in questa direzione è il fatto che attorno ai podcast si sta combattendo una nuova guerra tra colossi digitali, in cui i protagonisti sono i già citati Spotify e Apple (a cui si aggiungono in parte Audible di Amazon e la svedese Storytel). È stata proprio Spotify a lanciare il guanto di sfida al rivale californiano, che fino a quel momento aveva goduto senza troppo impegno della posizione di vantaggio garantita dalla app nativa Podcast presente su tutti gli iPhone. Nei primi mesi del 2019, Spotify ha infatti improvvisamente annunciato un investimento da 500 milioni di dollari per diventare leader del settore, acquistando show, case produttrici e realtà editoriali con un forte focus sull’audio (come The Ringer).
Presa in contropiede, Apple ha dovuto cedere lo scettro: negli Stati Uniti, Spotify aveva 12,3 milioni di ascoltatori di podcast nel 2019 contro i 26,7 milioni di Apple. Nel 2021, però, la situazione è cambiata: Spotify ha raggiunto quota 28,2 milioni e superato il rivale, fermo a 28. Anche a livello globale le cose procedono nella stessa direzione: secondo un report della stessa Spotify, il 42 per cento degli ascoltatori di podcast utilizza la sua piattaforma streaming, contro il 32 per cento che usa invece l’applicazione presente esclusivamente su smartphone Apple. Una fonte poco oggettiva, certo, ma che riflette la diffusione superiore di smartphone Android nei mercati extra-Stati Uniti.
Non è solo il duello tra colossi a far scommettere sul futuro di questo format audio. Le stesse tecnologie digitali sembrano portarci sempre più a stretto contatto con i podcast: gli assistenti digitali come Alexa o Siri hanno reso il loro l’ascolto, mentre si svolgono faccende domestiche e quando si guida, semplice quanto quello della radio. E poi c’è l’aspetto più importante: oggi sempre più persone girano per la città indossando degli auricolari wireless.
È una nuova abitudine che non può che supportare la diffusione dei podcast. «È anche questo elemento che, secondo noi, porterà sempre di più le nuove generazioni verso il sonoro e l’audio», conferma Guido Brera. «La mia convinzione personale è inoltre che i più giovani abbiano un livello di attenzione infinitamente più alto quando si tratta di ascoltare rispetto a quando devono leggere o osservare. Se ci pensi, la musica, rispetto al libro, già ti predispone verso questa forma».
Ed è sicuramente per tutti questi elementi che anche in Europa c’è grande fiducia nei confronti del successo dei podcast, nonostante i numeri, fino a oggi, siano molto più ridotti rispetto a quelli statunitensi. Secondo un report Dataxis, in Europa la penetrazione dei podcast si ferma al 25 per cento rispetto al 41 per cento statunitense, ma il mercato pubblicitario è di soli 75 milioni di dollari contro circa 800 milioni. Un ascoltatore statunitense genera insomma quasi 7 volte più profitti di quanto non faccia in media uno europeo.
Contenuti nativi o no?
Come mai una differenza così spiccata? Sempre nel report, si sottolinea come la maggior parte dei podcast in Europa siano in verità registrazioni di trasmissioni radio, in cui quindi è più difficile inserire pubblicità native o sponsorizzazioni. A penalizzare il mercato europeo è però probabilmente anche l’attuale scarsa diffusione dei branded podcast: contenuti interamente finanziati da privati che hanno interesse a trattare in maniera intrigante per l’ascoltatore temi affini all’azienda. Un esempio recente è il podcast finanziato da Ford e condotto dall’esperto di auto Sonari Glinton, che negli otto episodi di Bring Back Bronco racconta nascita, successo e declino (in parallelo con quello della città di Detroit) dello storico fuoristrada statunitense, da poco rilanciato da Ford. Un esperimento radicale è invece quello di General Electric, che sponsorizza il podcast di fantascienza The Message (in cui la società non viene nemmeno menzionata).
È possibile che si espanda un mercato di questo tipo anche da noi, in cui le aziende sono storicamente ancora legate al concetto di “marchetta” e faticano ad avere una visione meno provinciale? «Più il pubblico diventa insofferente verso delle pubblicità che vive quasi come imposizioni, più i privati devono imparare a far arrivare la loro narrazione in modo diverso», racconta sempre Brera. «Noi ci stiamo scommettendo, grazie allo straordinario lavoro che il nostro ceo Mario Calabresi sta svolgendo anche in questo campo. A mio parere, è un mercato appena agli inizi e destinato a crescere molto».
Una previsione fondata anche sulla crescita degli utenti di podcast in Italia, dove secondo i dati Ipsos sono stati raggiunti 8,5 milioni di ascoltatori mensili (contro i 43 milioni della radio) e dove le società attive nel settore si stanno moltiplicando: PIano P, Storielibere, Querty, 4 Tracce, Storytel, Gli Ascoltabili, VoxNest, la già citata Chora, nuovi ingressi come la milanese Radio Raheem (con la quale collaboro) e altre ancora. C’è posto per tutti? I canali per generare introiti, come abbiamo visto, sono principalmente tre: produzioni originali per Spotify e le altre piattaforme (che puntano ad aumentare gli abbonamenti), pubblicità integrate nei podcast e infine branded content.
Le incognite sono tante e le opportunità pure. Il mercato dei podcast, per molti versi, è ancora territorio di conquista.
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