Dopo il tentativo fallito in North Dakota, l’Arizona ha approvato una proposta che vieterebbe ad Apple e Google di utilizzare solo il loro sistema di pagamento all’interno degli app store. È un passaggio di una guerra più ampia
- Dopo il tentativo fallito in North Dakota, l’Arizona ha approvato una proposta che vieterebbe ad Apple e Google di utilizzare solo il loro sistema di pagamento all’interno degli app store.
- È un passaggio di una guerra più ampia ma ha un forte valore simbolico e potrebbe portare ad altri provvedimenti per un cambiamento ancora più radicale.
- Il disegno di legge non è legge, deve prima passare entrambe le camere ed essere firmato dal governatore (e Apple ha assunto l’ex capo del personale del governatore per fare pressioni).
Due settimane fa Apple e Google sono riuscite a bloccare un’importante proposta di legge in North Dakota per forzare la concorrenza negli app store. Questa settimana la Camera dell’Arizona ha sfidato i giganti della tecnologia e ha approvato lo stesso disegno di legge. Perché sono importanti queste battaglie e perché rappresentano una chiara sconfitta di big tech?
Piccoli stati
C’è un nuovo fronte nella battaglia contro il potere di big tech: gli stati. Siamo abituati alle nazioni che affrontano questo potere attraverso indagini del Congresso, casi di antitrust da parte del governo federale o Facebook e governi, come l’Australia, che combattono su chi deve pagare per le notizie. Ora però i legislatori statali, che erano i principali anti monopolisti del diciannovesimo secolo, iniziano a mostrare di nuovo i muscoli. Pochi giorni fa la Camera dell’Arizona ha approvato un disegno di legge, con 31 voti favorevoli e 29 contrari, che vieta ai monopoli delle app store di prendere ingenti commissioni dai produttori di app.
Per gli anti monopolisti è stata una vittoria significativa ma bizzarra: i democratici sono stati l’ostacolo principale, i legislatori hanno avuto paura e la battaglia dell’Arizona è iniziata in realtà in North Dakota. La guerra però non è finita perché il disegno di legge sarà discusso nel Senato dell’Arizona e nell’ufficio del governatore e arriverà anche ad altri stati dove nel frattempo i legislatori stanno prendendo coraggio.
Cos’è successo dunque esattamente? E cosa significa?
Obiettivo monopolio
Gli app store sono mercati che permettono di accedere a una serie di applicazioni indipendenti. Dalla creazione dell’app store di Apple nel 2008, le aziende hanno costruito un intero ecosistema di programmi per device mobili che rappresentano un insieme meraviglioso di strumenti, giochi e meccanismi di narrazione per incoraggiare il commercio e la cultura. Per avere un’idea della portata di questo flusso di entrate, l’anno scorso Apple ha ricavato 64 miliardi di dollari dal suo app store. È un business enorme.
Il problema degli app store è che i due più importanti fra questi sono sotto lo stretto controllo delle due aziende, Apple e Google, che controllano i principali sistemi operativi degli smartphone. Le app dell’iPhone si possono acquistare soltanto tramite l’app store di Apple, perché Apple impedisce ai rivali di creare app store per l’iPhone. Inoltre occorre utilizzare il sistema di pagamento di Apple per acquistare le app, perché Apple esclude anche le reti di pagamento concorrenti dal suo app store. Google ha un controllo leggermente inferiore sui telefoni che si servono di Android, il suo sistema operativo, ma ha essenzialmente la stessa configurazione.
Combinati, Google e Apple detengono il 99 per cento del mercato degli smartphone. Dal momento che è praticamente impossibile vendere app per dispositivi cellulari senza passare attraverso i loro app store, entrambi possono imporre commissioni elevate (il 30 per cento dell’importo) agli sviluppatori che desiderano vendere le app sui telefoni che queste controllano. Per avere un termine di paragone: una carta di credito addebita il 2-3 per cento a un commerciante per l’accesso a una rete di pagamento. Il prezzo di Apple e Google per una funzione simile a quella delle carte di credito è dieci volte superiore.
Ancora più importante: il controllo sugli app store e, in particolare, la funzione dell’app store che consente il pagamento, è fondamentale per queste aziende per mantenere il potere di mercato. Le rivelazioni di documenti in un caso giudiziario sugli ebook hanno dimostrato che Steve Jobs ha esplicitamente progettato la politica del sistema di pagamento di Apple per scoraggiare le persone a passare a un altro device che non fosse l’iPhone.
Philip Schiller: Ho appena visto una nuova pubblicità in tv dell’app di Amazon Kindle. Inizia con una donna che ha l’iPhone e compra e legge libri con la app Kindle. Poi la donna passa a Android e può ancora leggere tutti i suoi libri. Il messaggio principale è che ci sono app per Kindle su tanti device, ma il secondo messaggio che non passa inosservato è che è semplice passare da iPhone a Android. Non è affatto divertente.
Steve Jobs: Cosa consigliate di fare? Il primo passo potrebbe essere che devono usare il nostro sistema di pagamento per tutto, compreso i libri (il via lo hanno dato i giornali e le riviste). Se ci vogliono confrontare con Android, costringiamoli a usare il nostro sistema di pagamento che è nettamente superiore. Cosa pensate?
I ricercatori più attendibili che hanno esaminato gli app store riconoscono che queste aziende hanno molto potere e controllo sugli sviluppatori. La sottocommissione antitrust della Camera ha osservato che Apple, ad esempio, «ha una posizione dominante nel mercato degli app store della telefonia e il potere di monopolio nella distribuzione di applicazioni software su dispositivi iOS». Il problema è addirittura arrivato alla Corte suprema dove i consumatori di app hanno fatto causa in un caso chiamato Apple vs Pepper.
In North Dakota
Per anni i produttori di app hanno provato rabbia e paura nei confronti di Apple e Google e del loro controllo sugli app store, e la rabbia è finalmente esplosa lo scorso anno quando il principale sviluppatore di videogiochi, Epic Games, e Apple sono entrati in una feroce controversia per l’accesso all’app store di Apple. Epic ha affermato che Apple detiene il monopolio sulle app e i pagamenti e lo utilizza secondo modalità che violano lo Sherman Antitrust Act. Anche altre aziende più piccole, Basecamp e BlueMail, hanno iniziato a litigare con Apple per il fatto che il gigante della telefonia blocca le loro applicazioni di posta elettronica su una questione simile.
A quanto pare dunque ci sono produttori di app in tutti gli Stati Uniti e le legislazioni statali possono effettivamente approvare leggi e regolamentare i propri mercati. In North Dakota un rappresentante della Coalition for App Fairness (Coalizione per la correttezza delle app), un’associazione di categoria fondata da Basecamp ed Epic, ha suggerito al senatore Kyle Davison di presentare un disegno di legge sui monopolî di app store. Davison e David Clemens, entrambi repubblicani, lo hanno fatto e hanno avanzato una proposta per proibire i monopolî di app store in North Dakota.
Nella loro proposta c’erano tre punti. Primo: Apple e Google devono permettere l’esistenza di app store rivali. Secondo: queste aziende devono permettere l’esistenza di sistemi di pagamento concorrenti all’interno dei propri app store. Terzo: non sono consentite ritorsioni contro le aziende che utilizzano app store rivali. L’obiettivo del disegno di legge era di mettere fine alla possibilità di Google e Apple di controllare gli smartphone.
Il disegno di legge ha avuto il sostegno di giornali e aziende locali, la Camera di commercio e gli esperti di tecnologia del North Dakota l’hanno sostenuto. Un produttore di app della zona ha detto al Bismarck Tribune che Apple e Google controllano «tantissimo ciò che i consumatori possono ottenere e le aziende possono fare, e questo mette davvero le aziende in una posizione difficile». Secondo un altro imprenditore del North Dakota, queste aziende «sono entrate in ogni aspetto del modello generativo di profitto di ogni azienda che gira sul loro app store, in qualsiasi transazione, ovunque in ogni fase».
Nel corso delle due settimane successive, Apple – insieme con vari gruppi di lobbying libertari, come Americans for Prosperity –, ha risposto inondando i legislatori statali di lobbisti. Apple ha mandato sei lobbisti al Campidoglio per due settimane, per otto ore al giorno, a parlare con i rappresentanti. Questo tipo di pressione non funziona sempre, ma in questo caso il senatore statale Jerry Klein della commissione per l’Industria, gli affari e il lavoro, presidente della commissione legislativa della destra, ha dato ragione ad Apple.
«I sostenitori affermano che esiste un monopolio, ma abbiamo appreso che ci sono più di venti altri app store su internet», ha detto Klein in un dibattito sul disegno di legge. Il disegno di legge è stato stralciato dalla sua commissione con un voto contrario e nel dibattito alla Camera Klein ha sostenuto che il disegno di legge era incostituzionale, immorale e disonesto. L’argomento più interessante di Klein, tuttavia, è stato che la lotta era semplicemente troppo grande per lo stato.
«I sostenitori chiedono al North Dakota di unirsi alla loro causa a spese dei nostri contribuenti», ha detto. Il North Dakota «non è il luogo per risolvere una controversia commerciale sulle commissioni degli app store».
Davison ha ristretto il disegno di legge alla sola parte relativa al pagamento, il che significa che Apple e Google sarebbero ancora stati in grado di bloccare gli app store rivali, ma avrebbero dovuto consentire altre reti di pagamento, cosa che probabilmente avrebbe ridotto i prezzi degli app store. Non è servito. Il disegno di legge è totalmente fallito, come di solito succede quando il presidente della commissione competente si oppone a un progetto di legge.
Paura di Apple
Ho chiesto al senatore Davison perché questo disegno di legge ha incontrato una simile ostilità tra i rappresentanti statali nonostante il sostegno locale. Mi ha presentato il ragionamento che fa un rappresentante di fronte a un problema di questo tipo. È una questione nuova e importante con cui la maggior parte dei politici non ha mai avuto a che fare prima. E poi che priorità ha rispetto alle altre questioni, come scuole, trasporti, Covid e altri problemi locali?
Ma soprattutto ha affermato: «Per gran parte è solo una questione di paura». Apple ha fatto capire, anche se non lo ha dichiarato ufficialmente, che avrebbe eventualmente ritirato l’app store dal North Dakota se il disegno di legge fosse stato approvato, proprio come Facebook ha punito l’Australia. Inoltre, anche prima di arrivare a una simile minaccia implicita, molti rappresentanti hanno finito per pensare che il North Dakota semplicemente non è grande abbastanza per questo scontro. «Apple ha tasche più profonde dello stato del North Dakota», mi ha detto Davison.
L’intero budget del North Dakota è inferiore a 8 miliardi di dollari all’anno, mentre Apple spende circa un miliardo di dollari all’anno solo per le spese legali. E le minacce non sono chiacchiere. Con ogni probabilità, mi ha detto Davison, «Apple ignorerà la legge fino a quando non saranno citati in giudizio». Se Apple avesse agito, i rappresentanti si sarebbero trovati a dover spendere il denaro dei contribuenti per tentare di far cambiare idea a Apple, denaro che altrimenti sarebbe stato destinato alla scuola o alle strade.
Ora, il North Dakota alla fine avrebbe vinto la guerra con big tech. Se il North Dakota approvasse il disegno di legge, proprio come è successo in Australia, Apple e Google alla fine sarebbero costrette a conformarsi. Le grandi società hanno molto potere, ma di fronte a politici che effettivamente hanno autorità legale, così come nel confronto con le altre aziende, perderanno. A ogni modo le minacce e la paura sono potenti, almeno inizialmente.
In Arizona
E questo mi porta alla fase successiva, con la battaglia che si sta svolgendo in Arizona. Lì, lo stesso disegno di legge sull’app store, ridotto alla sola parte sul pagamento, è sostenuta dalla presidente del comitato competente, la repubblicana Regina Cobb. La scorsa settimana il suo disegno di legge è passato in commissione ed è arrivato al Congresso. Poi è arrivato in aula per essere discusso e votato.
Curiosamente gli anti monopolisti hanno trovato un ostacolo imprevisto: i democratici progressisti che hanno fornito la maggior parte dei voti in opposizione al disegno di legge. Ho guardato le udienze e mi ha sorpreso sentire un democratico progressista di nome Cesar Chavez, che nella sua biografia su Twitter ha sia l’aggettivo “immigrato” sia l’acronimo “Azlgbtq” (Az sta per Arizona, ndt), incensare i lobbisti libertari del Goldwater Institute e dell’American Legislative Exchange Council (Alec), entrambi pilastri del movimento conservatore moderno.
Chavez ha messo in guardia contro l’uso del termine monopolio e ha detto che l’Arizona non dovrebbe «essere coinvolta nelle controversie tra aziende private», ripetendo uno degli argomenti principali di Apple.
Nel frattempo la conservatrice repubblicana Regina Cobb, sponsor del disegno di legge, ha lodato il rapporto della sottocommissione Antitrust della Camera dei democratici sulle piattaforme di big tech. E un repubblicano dopo l’altro si è alzato per attaccare il potere di monopolio di big tech. È stato bizzarro, come ha notato su Twitter Emily Birnbaum, giornalista di tecnologia.
Ho un’inclinazione democratico progressista e la mia organizzazione, così come una miriade di altri gruppi progressisti a livello nazionale e statale, ha inviato una lettera ai rappresentanti dell’Arizona in sostegno al disegno di legge. Eppure i democratici sono ancora divisi, probabilmente per lo stesso motivo dei rappresentanti del North Dakota.
I sostenitori del disegno di legge hanno affermato che battersi contro il potere di monopolio sugli app store porterebbe un significativo afflusso di affari in Arizona, ridurrebbe la disuguaglianza e ridimensionerebbe il mercato in modo che sia giusto. Come ha affermato il co-fondatore di Basecamp, se il disegno di legge passasse «sarebbe una cosa strabiliante» e «cambierebbe l’intero ecosistema di big tech», fungendo da «primo importante atto legislativo in tutto il mondo che affronta direttamente questo potere di monopolio, offrendo una soluzione, non soltanto schiaffeggiando big tech con una multa».
Ci sono grandi risorse di lobbying che si riversano nello stato, così come ci sono una serie di relazioni preesistenti tra grosse multinazionali e gruppi di lobbying libertari. Probabilmente però nelle menti di questi rappresentanti ci sono le stesse domande che avevano i rappresentanti del North Dakota. È davvero una valida priorità per lo stato? Davvero si vuole intraprendere una battaglia con queste multinazionali giganti? Si vogliono spendere soldi pubblici per combattere un’azienda da due trilioni di dollari?
Eppure un numero sufficiente di loro ha creduto che fosse opportuno investire in questa battaglia. Il disegno di legge è stato approvato alla Camera dell’Arizona con una stretta maggioranza, 31 a 29, rispettando le divisioni di partito. Tutti i repubblicani tranne uno hanno votato a favore e tutti i democratici tranne uno hanno votato contro. È troppo presto per dichiarare finiti i monopolî degli app store. Il disegno di legge non è legge, deve prima passare entrambe le camere ed essere firmato dal governatore (e Apple ha assunto l’ex capo del personale del governatore per fare pressioni). Ora passerà al Senato dello stato e poi potenzialmente al governatore.
Il potere della legge
A ogni modo è stata una sconfitta sorprendente per big tech e avrà conseguenze in tutta la nazione. Lo stesso tipo di disegno di legge sarà presentato alle legislature statali di tutti gli Stati Uniti. In Minnesota, il senatore repubblicano dello stato Mark Koran e il rappresentante democratico dello stato Zack Stephenson ne hanno introdotto una versione. E quattro o cinque altre leglislature statali lo stanno prendendo in considerazione.
La mia ipotesi è che questo disegno di legge diventerà legge da qualche parte, con conflitti nell’applicazione a seguire. Apple e Google tireranno calci e urleranno, ma come con Facebook e l’Australia, alla fine si piegheranno. In una democrazia la legge è importante. È solo che per tanto tempo non l’abbiamo applicata ai potenti e a volte ce ne dimentichiamo.
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