Le scorte di PlayStation 5 nei negozi online sono in via di esaurimento, i siti archeologici raffigurati nel videogioco registrano inediti picchi di visitatori, mentre milioni di giovani si ritrovano in alberghi trasformati in mega sale giochi, con camere dotate di computer con super schede grafiche e tutti gli accessori per il 3D e la realtà virtuale, al prezzo di 700 yuan al giorno. In Cina è esplosa la Black Myth: Wukong mania, ovvero quella legata all’omonimo videogame, uscito il 20 agosto, il primo “made in China” a vantare la tripla A, perché per realizzarlo c’è voluto tanto lavoro, tanto tempo e tanti soldi. Black Myth: Wukong è stato sviluppato da Game science (di proprietà di Tencent) che ha speso almeno 40 milioni di dollari lavorandoci sei anni, con un team dedicato lievitato da 13 a 140 persone. Un ottimo investimento, secondo Goldman Sachs, che alla startup di Shenzhen renderà 420 milioni di dollari soltanto attraverso la piattaforma Usa di distribuzione digitale Steam.

Finora Black Myth: Wukong ha venduto oltre dieci milioni di copie, due terzi delle quali in patria. Numeri sbalorditivi soprattutto se considerati nel contesto della Cina di Xi Jinping, che nel biennio 2021-2022 ha portato avanti una campagna governativa per ridimensionare i colossi tecnologici come Tencent e che prova a mandare a letto i minorenni con non più di tre ore complessive di videogiochi nel cervello, solo nel fine settimana. I media cinesi hanno spesso bollato i videogiochi come «oppio spirituale», ma si dice che tra le colpe di Sun Zhengcai, ex segretario del Partito della megalopoli di Chongqing condannato all'ergastolo per corruzione, ci fosse anche una dipendenza dai videogame.

E in effetti il successo di Black Myth: Wukong è legato anche al suo essere politicamente ultra-corretto, al punto che gli zelanti censori di cui tutti i prodotti culturali della Repubblica popolare cinese devono passare il vaglio hanno chiuso un occhio sui fiumi di sangue e le teste di mozzate dei monaci che scorrono sullo schermo durante le scorribande di Sun Wukong, il Re scimmia, lo Scimmiotto del celeberrimo racconto Viaggio in occidente, basato su novelle popolari della dinastia Tang (618-907) che, nato da una pietra, attraverso pratiche taoiste ha acquisito poteri soprannaturali.

Come Hollywood?

Il successo planetario dello Scimmiotto già al centro di innumerevoli film e fumetti (per non parlare degli imperdibili canali WeChat sui quali impazzano gli interpreti più strampalati) ha innescato un dibattito sul soft power cinese: i videogiochi made in China potranno contribuire a promuovere all’estero l’immagine di un paese a cui manca una fabbrica di sogni come Hollywood e che per far conoscere la sua cultura millenaria non può fare affidamento sulla sua lingua, tra le più ostiche da imparare? C’è chi sostiene che proprio grazie a prodotti simili i creativi cinesi riusciranno sia a rafforzare quella «fiducia nella cultura cinese» che rappresenta uno tra i più importanti imperativi politici di Xi Jinping, sia a veicolare propaganda “corporate”, venduta all’opinione pubblica dalle compagnie private, in maniera subdola, non aggressiva, e molto più efficace rispetto a quella veicolata dai canali statali. E in effetti il fascino dei nuovi brand globali cinesi (dalle auto elettriche di Byd, agli smartphone Xiaomi, passando per i videogame) è avanti anni luce rispetto al potere persuasivo dei tuttora sovietici comunicati ufficiali, e sta già dando a Pechino segnali più che incoraggianti.

La domanda è stata posta anche alla portavoce del ministero degli esteri, Mao Ning, che si è limitata a rispondere che il gioco diffonde «il fascino della cultura cinese». C’è chi è convinto che Black Myth: Wukong sia un riuscitissimo prodotto del cosiddetto tecno-nazionalismo, cioè dell’utilizzo della tecnologia per estendere l’influenza globale della Cina. «Questo nuovo volto del Viaggio in Occidente evidenzia livelli elevati di creatività e innovazione culturale, che sono gli aspetti tradizionalmente fortemente carenti dell’agenda del soft power cinese», sostiene Gejun Huang, docente di media e comunicazione presso la Xian Jaotong-Liverpool University.

La controversia

«La creazione di Game Science rappresenta una svolta per l’industria dei video game in Cina, in quanto è la prima volta che i cinesi sono riusciti a realizzare un prodotto simile da soli. I precedenti videogame più famosi erano americani o europei, penso ad esempio ai francesi di Assassin’s Creed», spiega a Domani Li Bo. Secondo il trentaduenne ingegnere elettronico shanghaiese che, come molti suoi connazionali, a casa ha un supercomputer per il “gaming”, «la storia, l’animazione di qualità eccellente e la musica (cinese tradizionale, ndr) sono tutte molto attraenti anche per gli stranieri».

Il direttore artistico di Game Science, Yang Qi, ha raccontato al governativo Global Times i suoi viaggi all’interno della Cina, alla scoperta delle pagode, dei templi e degli scenari riprodotti nel videogame, che ha definito un “archivio digitale”. «Certamente questo gioco attirerà l’attenzione su questi monumenti della vita reale, soprattutto da parte delle generazioni più giovani che spesso allineano le loro identità culturali con il guócháo», ha dichiarato Yang in riferimento alla cosiddetta “tendenza nazionale” che nella Cina di Xi Jinping sta promuovendo mode culturali e brand cinesi.

Alex Lo - arguto commentatore di South China Morning Post - ha sottolineato che «Quando avrai qualcosa come Black Myth: Wukong che tutti vogliono, i fan stranieri si precipiteranno a difenderti, anche quando vieni attaccato o subisci i soliti resoconti distorti dei media mainstream occidentali. E al giorno d’oggi, un coro di influencer dei social media che hanno un ampio seguito nei rispettivi segmenti culturali batte a mani basse l’impatto declinante della maggior parte dei media tradizionali». Il riferimento di Lo - che interviene spesso per difendere le politiche di Pechino - è alla controversia scoppiata in seguito alla pubblicazione di pubblicità con immagini sessiste che anticipavano l’uscita delle video avventure dello Scimmiotto. Fino all’avviso che il creatore ha inviato ad alcuni dei primi utenti, un invito a non discutere di «propaganda femminista, feticizzazione e altri contenuti che istigano discorsi negativi», nonché di non discutere di «politica, Covid-19, e delle politiche dell’industria cinese dei videogiochi».

Consumi culturali

Da un punto di vista economico le avventure dello Scimmiotto sulle console rappresentano uno dei segnali più evidenti delle potenzialità che in un paese dalla storia millenaria hanno i cosiddetti “consumi culturali”. In un’economia che continua a scommettere sulla manifattura, ma nella quale il 54,6 per cento del prodotto interno lordo nel 2023 è stato generato dai servizi, il turismo e i viaggi legati alle tradizioni stanno contribuendo in maniera sempre più rilevante a sostenere la crescita. E così il dipartimento cultura e turismo dello Shanxi - dove sono ambientati gran parte degli scenari del gioco - ha lanciato la campagna “Viaggia nello Shanxi con Wukong”: itinerari tematici, prodotti culturali ed eventi legati al videogame destinati a incrementare il turismo nell’area. Le ricerche sulle principali destinazioni della provincia settentrionale sono aumentate del 156 per cento il giorno del lancio di Black Myth: Wukong. Le console e le schede grafiche più performanti per giocarci vanno a ruba. Luckin Coffee (lo Starbucks cinese) propone una versione speciale del suo “americano” dedicata a Black Myth: Wukong. Il marchio Black Myth: Wukong è stato accostato perfino ai servizi dei popolarissimi centri benessere, alcuni dei quali hanno iniziato a offrire aree riservate ai giocatori dello Scimmiotto. Soprattutto si spera che il suo successo possa attirare maggiori investimenti nel settore dei giochi AAA in Cina, per promuovere all’estero il suo splendete volto hi-tech che faccia dimenticare il lato oscuro dell’autoritarismo cinese.

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