Avrebbe dovuto abilitare le operazioni chirurgiche a distanza, le auto autonome, la realtà estesa e moltissimo altro ancora, ma la cosa più probabile è che gli utenti non si siano nemmeno accorti dell’avvento della nuova generazione di trasmissione dati. Che cos’è andato storto?
Nel 2019, dopo aver suscitato per anni enormi aspettative, iniziava a diffondersi il 5G: la quinta generazione di comunicazione dati mobile. La sua altissima velocità e bassissima latenza (ovvero il tempo impiegato per il trasferimento dei dati) avrebbero dovuto consentire straordinari progressi tecnologici: sarebbero finalmente diventate realtà le operazioni chirurgiche compiute da remoto tramite robot, la internet of things sarebbe esplosa al punto da connettere alla rete ogni singolo oggetto (la cosiddetta “internet of everything”), le auto autonome avrebbero iniziato a circolare nelle futuristiche smart city e avremmo infine potuto sfruttare la realtà mista (virtuale e aumentata) anche al di fuori delle nostre abitazioni.
Tutti connessi (o quasi)
Da allora sono passati quattro anni e, in effetti, il 5G è ormai entrato a far parte delle nostre vite. Secondo i dati forniti dagli operatori, la nuova generazione delle telecomunicazioni è infatti ampiamente disponibile nelle principali metropoli italiane, in moltissime località turistiche e inizia a diffondersi anche in città di dimensioni inferiori, come Alessandria, Messina, Salerno, Udine e altre ancora. Nel complesso, il segnale 5G raggiungerebbe – secondo le stime Ernst&Young – circa il 95 per cento della popolazione (anche se lo usa una percentuale molto inferiore, attorno al 20 per cento), coprendo però meno del 10 per cento del territorio.
Nel mondo, si calcola che il numero di connessioni 5G abbia superato il miliardo e sia destinato a raddoppiare nel giro di un paio d’anni, anche grazie alla rapida adozione che si sta verificando in grandi nazioni come Brasile e India, che si aggiungono alle teste d’ariete cinesi, statunitensi ed europee.
Utenti in fuga
Insomma, il 5G è ormai diventato realtà. Ve ne eravate per caso accorti? Molto probabilmente, no. Al contrario: nonostante le fantascientifiche innovazioni promesse, nella maggior parte dei casi gli utenti che hanno a disposizione il 5G interagiscono con esso solo per disabilitarlo, ed evitare così che prosciughi troppo rapidamente la batteria dello smartphone (il consumo aumenta infatti almeno del 10/15 per cento).
Anche concentrandoci solo sulle promesse applicazioni commerciali (e lasciando quindi perdere per il momento quelle industriali), è abbastanza evidente come l’ennesima innovazione che avrebbe dovuto “cambiare la nostra vita” (come da innumerevoli titoli comparsi sui giornali) si stia per il momento rivelando una grossa delusione, soprattutto se la confrontiamo con quanto avvenuto con le precedenti generazioni di trasmissione dati.
Il 3G, che è stato introdotto nei primi anni Duemila, è ciò che ha reso possibile l’utilizzo di internet e del web in mobilità, consentendo agli smartphone di esprimere al massimo le loro potenzialità. Da allora, possiamo tranquillamente dire che la nostra vita non è più stata la stessa.
Anche il 4G, introdotto attorno al 2010 e che aveva una velocità anche dieci volte superiore rispetto alla versione precedente (arrivando potenzialmente fino a 400 megabit per secondo), ha permesso al nostro mondo digitale di fare un notevole salto avanti. È grazie al 4G se oggi possiamo fare videochiamate o riunioni di lavoro da remoto anche mentre ci troviamo al parco, se possiamo vedere le serie tv di Netflix dallo smartphone, se possiamo in ogni momento ascoltare audio in alta qualità, inviare file di grandi dimensioni e sfruttare al meglio tutti i servizi che sono stati nel frattempo resi possibili dalle app presenti sul nostro smartphone.
Cercasi killer app
In confronto agli enormi progressi resi possibili dai suoi predecessori, il 5G ancora oggi non sembra aver trovato la sua “killer app”: la funzionalità nuova e di massa in grado di garantire il successo di questa tecnologia. Qual è la ragione? La prima è che le trasformative innovazioni che avrebbero dovuto essere supportate dal 5G, nella stragrande maggioranza dei casi, non si sono ancora realizzate.
A che cosa serve che l’ultima generazione di trasmissione dati renda possibile una comunicazione talmente efficace tra le auto autonome da ridurre al minimo il rischio di incidenti, quando le auto autonome ancora praticamente non esistono? Chi ha bisogno della realtà aumentata o virtuale in mobilità quando perfino l’utilizzo casalingo di queste tecnologie è estremamente ridotto? Lo stesso discorso vale per applicazioni ancora sperimentali, com’è il caso delle operazioni chirurgiche a distanza.
La seconda ragione, strettamente collegata alla prima, è che il 5G che oggi abbiamo a disposizione non è dotato delle prestazioni che ci sono state promesse (la velocità dovrebbe per esempio arrivare a un massimo teorico di 20 gbps).
Le prestazioni sono infatti limitate dall’infrastruttura di rete utilizzata, che sfrutta quasi sempre le stesse antenne del 4G invece di quelle “stand alone”, cioè esclusivamente dedicate al 5G e che, soprattutto in Italia, sono ancora praticamente inesistenti. Una coabitazione temporanea (anche se i tempi non sono destinati a essere brevi), che limita le performance del 5G e quindi le sue potenzialità.
«Un trucchetto del marketing»
Nel momento in cui scrivo (ma i risultati sono molto variabili), usando il 4G il mio smartphone raggiunge al massimo i 40 mbps, mentre passando al 5G arriva fino a 200 mbps: un’accelerazione significativa ma di fatto inutile, visto che, per tutti gli usi che faccio dello smartphone, il 4G è comunque più che sufficiente.
Insomma, in attesa che le auto autonome, le smart city e tutto il resto diventino realtà (dando così una vera ragion d’essere al 5G), la sensazione è che la nuova generazione di trasmissione dati abbia ampiamente deluso le aspettative, al punto che Bloomberg è arrivato a definirlo «un trucchetto del marketing».
Arriva il 6G
Perfino un grosso operatore telefonico come SK Telecom (il più importante della Corea del Sud) ha dichiarato che il 5G è stato «eccessivamente promosso e ha avuto risultati insufficienti».
Che le cose non stiano andando nella direzione auspicata è dimostrato anche da un altro aspetto: mentre ancora aspettiamo che le promesse del 5G si concretizzino (permettendo agli operatori di recuperare i 600 miliardi che, secondo la società di consulenza McKinsey, sarebbero stati investiti in totale nel mondo), sono già iniziati i lavori per la prossima generazione di trasmissione dati: il 6G, che dovrebbe vedere la luce attorno al 2030.
Questa nuove tecnologia è già in fase di studio o di sperimentazione in Cina, Stati Uniti e anche Europa, grazie a progetti riccamente finanziati come Hexa-X, capitanato dalla finlandese Nokia e dalla svedese Ericsson. Il 6G promette di raggiungere una velocità massima anche di 1 terabit al secondo.
Quale futuro
Che cosa ce ne faremo di tutta questa velocità? Secondo quanto riportato sul sito del consorzio statunitense Next G Alliance, le applicazioni e i casi d’uso del 6G comprendono la possibilità di abilitare network di robot industriali, vari tipi di sistemi autonomi (tra cui ovviamente le auto autonome), intrattenimento immersivo e anche la realtà mista e virtuale.
A questo punto è inevitabile notare come i promessi casi d’uso del 6G siano più o meno gli stessi che avrebbero dovuto essere abilitati dal 5G, che quindi sembrano essere stati posticipati all’avvento della nuovissima – e ancora distante nel tempo – generazione di trasmissione dati. E così, la storia si ripete. Riusciremo almeno questa volta a ottenere il futuro che ci è stato promesso?
© Riproduzione riservata