Verso la fine degli anni Sessanta il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sviluppò una rete dedicata allo sviluppo dei progetti di ricerca avanzati dell’agenzia. Andava sotto l’acronimo di Arpanet ed era il prototipo di quella tecnologia che pochi decenni dopo avrebbe conquistato l’intero globo: internet.

Oggi ci troviamo a uno stadio analogo di sviluppo dell’internet quantistica, che oltre a garantire lo scambio di dati impossibili da decriptare, un giorno potrebbe connettere tra loro diversi computer quantistici, accelerandone lo sviluppo e le applicazioni.

«È un momento emozionante per chi come me si occupa di reti di comunicazione», commenta Angela Sara Cacciapuoti, che guida il gruppo di ricerca Quantum Internet all’università Federico II di Napoli, insieme a Marcello Caleffi. Il 10 giugno i due ritireranno a Denver, negli Stati Uniti, il premio che la Ieee (Institute of Electrical and Electronic Engineers) Communication Society ha assegnato al lavoro con maggior impatto sul settore negli ultimi 15 anni.

La più importante organizzazione al mondo di ingegneria delle comunicazioni ha riconosciuto come pionieristico uno studio scientifico del 2020, di cui Cacciapuoti è prima firma, che delinea le sfide per realizzare l’internet quantistica. «Siamo partiti più di dieci anni fa, quando parlavamo di connettere in rete dispositivi quantistici. Il tempo ci ha dato ragione: oggi la stessa IBM, ma non è la sola, ritiene che l’unico modo per scalare la potenza di calcolo dei computer quantistici sia connetterli con reti di comunicazione quantistica. Si va verso un modello di calcolo distribuito, così come già facciamo con le reti di supercomputer classici, le server farm».

Architettura complessa

La strada però è ancora lunga e le incognite non mancano. Quel che è certo è l’internet quantistica non sostituirà mai l’internet classica. Le due reti conviveranno. «Anche la sua architettura sarà diversa dall’internet classica» commenta Francesco Saverio Cataliotti, fisico dell’università di Firenze e direttore dell’Istituto Nazionale di Ottica del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), tra gli autori del paper premiato dall’Ieee. «La connessione non sarà permanente, ma andrà stabilita volta per volta».

Questo perché l’ingrediente alla base di una simile infrastruttura è tanto affascinante quanto effimero: l’entanglement quantistico. Si tratta di un fenomeno non meno naturale di una mela che cade da un albero o della diffusione di onde elettromagnetiche: due particelle intrecciate quantisticamente, seppur per tempi brevissimi (minuscole frazioni di secondo), trattengono l’una informazioni sull’altra, anche quando vengono separate da distanze molto grandi. Se una cambia stato, anche l’altra immediatamente lo cambia in modo corrispondente.

Ciò che avviene a scale atomiche e subatomiche può apparire a noi esseri macroscopici alquanto bizzarro: il proverbiale gatto di Schrödinger, vivo e morto allo stesso tempo, è l’esemplificazione dell’altro fondamentale principio quantistico della sovrapposizione di stati.

Queste proprietà sono state addomesticate dagli scienziati negli ultimi decenni e ora possono venire sfruttate per generare la distribuzione quantistica di chiavi crittografiche (QKD), che rende impossibile hackerare i dati criptati, perché a livello quantistico non si può osservare un sistema senza modificarlo o addirittura distruggerlo.

L’internet quantistica però va molto al di là della sola QKD (già usata da banche e governi) e sarà retta da infrastrutture sia spaziali sia terrestri. Queste ultime sfrutteranno la fibra ottica lungo cui già corrono i dati dell’internet classica.

La fibra ottica

Lo stato di entanglement è estremamente delicato e il legame tra particelle può rompersi facilmente. Passare dall’ambiente controllato del laboratorio a quello disturbato dei cavi che corrono sotto le città non è un’impresa semplice. È proprio su questo fronte che sono stati fatti notevoli passi avanti.

Tre diversi gruppi di ricerca indipendenti sono riusciti a dimostrare di recente la fattibilità dell’entanglement in una rete di fibra ottica di alcune decine di chilometri, in tre diverse parti del mondo: nell’area di Hefei, in Cina; a Boston, negli Stati Uniti; e tra Delft e L’Aia, in Olanda, Europa. Tutti e tre gli esperimenti hanno fatto viaggiare fotoni entangled lungo la fibra ottica, mentre le memorie quantistiche che hanno immagazzinato le unità di informazioni, i qubit, erano basate su tre tecnologie diverse. Se una di queste si imporrà, o tutte e tre insieme, ancora non lo sappiamo.

Per coprire distanze più lunghe serviranno ripetitori quantistici. «Il segnale che solitamente corre lungo la fibra ottica dopo 80 km si attenua e va amplificato» spiega Cataliotti. Questa operazione genera rumore, un piccolo disturbo che viene tollerato. «Un singolo fotone entangled invece non può venire amplificato perché il rumore lo distruggerebbe». I ripetitori quantistici sono l’espediente che si pensa possa aggirare questo problema: un dispositivo che ripete lo stato quantistico senza acquisirne informazioni e garantendo l’inviolabilità del segnale. A oggi però hanno un’efficienza bassa.

C’è ancora molta ricerca da fare e proprio l’università di Delft sta portando avanti, nell’ambito della Quantum Flagship, un progetto per lo sviluppo dei ripetitori quantistici. La Commissione Europea, assieme all’Esa (Agenzia Spaziale Europea), sta anche sviluppando un’infrastruttura europea per le comunicazioni quantistiche, «che viene già usata per lo scambio di QKD», spiega Cataliotti, «e un domani, equipaggiata con i ripetitori, potrà costituire l’internet quantistica».

Anche in Italia abbiamo una dorsale quantistica che corre da Torino a Matera, una linea in fibra ottica su cui si testano strumenti di comunicazione quantistica. Presto sarà agganciata alla Francia e si progetta di fare altrettanto verso Austria, Slovenia, Croazia ed estenderla a sud, passando per la Sicilia, fino a Malta. «Sarà un’avventura scientifica interessantissima» secondo Cataliotti, e richiederà la formazione di competenze interdisciplinari di altissimo livello.

Nel 2018 le università di Napoli, Firenze e Camerino hanno attivato un corso di dottorato interuniversitario in tecnologie quantistiche, che tiene insieme scienze pure e applicate, fisica e ingegneria. «Come in tutte le grandi sfide culturali», rimarca Cacciapuoti, «c’è bisogno di parlarsi». Come a dire: prima dei dispositivi quantistici, occorre connettere le comunità che li progettano.

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