Gli scienziati hanno identificato più di 230 di questi rinverdimenti che si verificano circa ogni 21mila anni negli ultimi otto milioni di anni. E ora hanno scoperto anche perché
In Algeria l’altopiano del Tassili N’Ajjer è il parco nazionale più grande dell’Africa. Tra le sue vaste formazioni di arenaria si trova uno dei musei d’arte più grandi al mondo, se non il più grande. Qui sono esposti oltre 15mila incisioni e dipinti, alcuni risalenti fino a 11mila anni fa, che rappresentano un documento etnologico e climatologico unico della regione, ma anche per l’intero pianeta.
Curiosamente, tuttavia, queste immagini non raffigurano il paesaggio arido e brullo presente oggi nel Tassili N’Ajjer, ma ritraggono una viva savana abitata da elefanti, giraffe, rinoceronti e ippopotami. Questa arte rupestre è un’importante testimonianza delle condizioni ambientali del passato nel Sahara, oggi il deserto caldo più grande del mondo.
Le incisioni rupestri raffigurano un periodo compreso tra 6mila e 11mila anni fa, chiamato Sahara verde o periodo umido del Nord Africa. Esistono diffuse prove climatologiche che durante questo periodo il Sahara sostenesse ecosistemi di savana boscosa e numerosi fiumi e laghi in quelli che oggi sono Libia, Niger, Ciad e Mali.
Ma questo rinverdimento del Sahara non è avvenuto una sola volta. Utilizzando sedimenti marini e lacustri, gli scienziati hanno identificato più di 230 di questi rinverdimenti che si verificano circa ogni 21mila anni negli ultimi otto milioni di anni. Questi eventi di rinverdimento hanno anche fornito corridoi vegetati che hanno influenzato la sopravvivenza delle specie e non ultimo le migrazioni degli antichi esseri umani fuori dall’Africa.
In termini ambientali questi rinverdimenti richiedono una riorganizzazione su larga scala del sistema atmosferico per portare piogge intense nella regione oggi iper-arida. Ma la maggior parte dei modelli climatici non sono stati in grado di simulare cosa realmente sia avvenuto.
Ora un gruppo di ricercatori di modellistica del clima, tra cui Edward Armstrong dell’Università di Helsinki, hanno trovato la strada giusta per spiegare tutto ciò. Spiega il ricercatore: «Abbiamo sviluppato un modello climatico che simula in modo più accurato la circolazione atmosferica sul Sahara e gli impatti della vegetazione sulle precipitazioni. Siamo riusciti a identificare il motivo per cui il Nord Africa è diventato più verde ogni 21mila anni circa negli ultimi otto milioni di anni. È stato causato dai cambiamenti nella precessione dell’orbita terrestre, ovvero dalla leggera oscillazione del pianeta durante la rotazione. Questo ha fatto sì che l’emisfero settentrionale venisse a trovarsi più vicino al Sole durante i mesi estivi».
Questa situazione ha causato estati più calde nell’emisfero settentrionale. Poiché l’aria più calda è in grado di trattenere più umidità, il risultato è che la situazione ha intensificato la forza del sistema monsonico dell’Africa occidentale, spostando la cintura pluviale africana verso nord.
Questo aumento delle precipitazioni sahariane, con conseguente diffusione della savana e delle praterie boscose attraverso il deserto dai tropici al Mediterraneo, ha fornito più volte nel tempo un vasto habitat per piante e animali.
I misteri delle lune di Marte
Tra i tanti misteri che avvolgono Marte, c’è anche quello della provenienza delle sue due piccole lune, un argomento di grande interesse per gli astronomi. Si tratta di Phobos (circa 22 chilometri di diametro) e Deimos (circa 12 chilometri di diametro) che potrebbero essere costituite da detriti residui prodotti dallo scontro tra un asteroide e Marte o dalla cattura da parte di quest’ultimo di due asteroidi che gli si avvicinarono troppo.
Per risolvere il mistero, avremmo bisogno di materiale proveniente dalla superficie di una delle lune per analizzarlo sulla Terra in modo molto dettagliato. Se ne parla da anni e vari enti spaziali hanno proposto nel tempo varie missioni. Ora, finalmente, la Japan Aerospace Exploration Agency (Jaxa) ne lancerà una a settembre, denominata “Martian Moon eXploration” (MMx), Avrà il compito di esplorare Phobos.
La missione sarà realizzata con un razzo di nuova concezione, l’H-3, che è ancora in fase di sviluppo. Si prevede che la sonda raggiungerà l’orbita marziana nel 2025, dopodiché orbiterà attorno a Phobos e infine raccoglierà materiale dalla sua superficie per portarlo sulla Terra entro il 2029.
Questa sarà la prossima di una serie di recenti missioni, che hanno riportato sulla Terra materiale di oggetti extraterrestre, come la riuscita missione di Jaxa sull’asteroide Ryugu (con la sonda Hayabusa) e Osiris-Rex della Nasa sull’asteroide Bennu, oltre alla missione Chang’è 5 dell’agenzia spaziale cinese che ha riportato materiale dalla Luna.
Se effettivamente Phobos si originò da un impatto, ci aspetteremmo di trovare materiale molto simile a quello marziano. Va ricordato che al momento, anche se non abbiamo materiale che ci è stato restituito direttamente da Marte, siamo abbastanza fortunati da avere comunque delle rocce che vennero espulse dalla sua superficie in seguito ad impatti di asteroidi e che sono arrivate sulla Terra dopo aver peregrinato per migliaia di anni nello spazio.
Sono dei veri meteoriti marziani. Dovrebbero essere simili al materiale che verrà prelevato da Phobos, dando modo ai geologi di poter realizzare un fantastico confronto. Nel caso, invece, in cui l’origine di Phobos fosse quella di un “asteroide catturato”, è più probabile che si trovi materiale simile ad altri asteroidi del nostro Sistema solare.
In questo caso l’ipotesi prevalente vuole che le lune siano costituite dalla stessa roccia dei meteoriti chiamati “condriti carbonacee” (materiale molto antico del sistema solare). Per fortuna, abbiamo molti meteoriti e campioni di questo tipo che potremmo confrontare con il materiale di Phobos.
Una volta che si avrà il materiale in laboratorio, sarà possibile applicare ai campioni tecniche analitiche molto rigorose. Una di queste tecniche è l’analisi degli “isotopi dell’ossigeno”. Per capirlo, va però fatta una digressione. Gli isotopi sono elementi chimici, come l’ossigeno per l’appunto, i cui nuclei hanno sempre il medesimo numero di protoni (che identifica l’elemento), ma un numero di neutroni che varia.
L’ossigeno, per continuare con l’esempio, ha tre isotopi stabili, con masse atomiche di 16, 17 e 18. Ciò significa che l’ossigeno in quanto tale possiede 8 protoni, ma esistono versioni di ossigeno con 8, 9 o 10 neutroni. La somma dei rapporti isotopici di ossigeno-17/ossigeno-16 e ossigeno-18/ossigeno-16 è indicato come Δ17O e cambia a seconda del luogo di provenienza di un oggetto solare.
Ciò significa che a seconda della zona del Sistema Solare in cui si forma un corpo roccioso, nelle rocce viene acquisito e trattenuto un diverso rapporto degli isotopi dell’ossigeno. Ad esempio: le rocce della Terra hanno Δ17O pari a circa 0, mentre i meteoriti arrivati da Marte hanno Δ17O di circa 0,3. Pertanto, le rocce della Terra e i meteoriti marziani possono essere “facilmente” individuati tramite questa analisi.
Se Phobos si fosse formato nella stessa posizione o almeno in una posizione simile a quella di Marte nel Sistema solare, ci aspetteremmo che anche la composizione del materiale riportato da Mmx abbia Δ17O di circa 0,3. Come sarebbe questo rapporto se Phobos fosse invece un asteroide? Tutte le condriti carboniose conosciute studiate dagli scienziati hanno rivelato isotopi negativi Δ17O, che va da -0,5 fino a -4.
L’ossigeno dunque, può essere uno strumento estremamente potente per decifrare l’origine delle lune di Marte e dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per la missione una volta che il materiale sarà restituito alla Terra. Se Phobos rappresenta effettivamente un antico frammento di Marte, potrebbe comprendere il materiale marziano più primitivo.
Marte ha vissuto una vasta gamma di processi che hanno alterato le rocce sulla sua superficie (più o meno come la Terra), tra cui l’erosione eolica e l’alterazione dell’acqua. Quest’ultima, probabilmente, ha avuto origine da un mix di asteroidi e comete e da attività vulcanica.
Marte aveva anche una densa atmosfera, che consentiva all’acqua di essere presente come liquido sulla superficie. Phobos, invece, è rimasto un corpo senz’aria in cui non si sono verificati processi come la contaminazione da parte dell’acqua e ciò è importante perché i campioni che verranno riportati dalla luna potrebbero fornire informazioni estremamente significative sui processi avvenuti agli albori del Sistema solare. Mmx è una delle missioni pianificate più emozionanti dell’esplorazione spaziale che sia mai stata concepita.
© Riproduzione riservata