Il timore per le novità tecnologiche rischia di farci perdere di vista il fatto che siamo già abituati ad affidare il nostro destino a creature artificiali, come le imprese o gli stati. Ecco perché dovremmo riprendere il controllo della nostra vita, secondo David Runciman, professore di scienze politiche a Cambridge
Quando immaginiamo un’intelligenza artificiale quali sono gli indici o marcatori che ci riconducono a una categoria di mimesi della realtà o, al contrario, di artificio? Cosa significa affidarsi, delegare a entità artificiali parte delle operazioni che erroneamente pensiamo debbano essere svolte unicamente da un essere umano? È un processo nuovo o è solo la reiterazione di codici preesistenti?
Nel libro Affidarsi. Come abbiamo ceduto il controllo della nostra vita a imprese, Stati e intelligenze artificiali (Einaudi), David Runciman, professore di scienze politiche all’Università di Cambridge, ex capo dipartimento di scienze politiche e studi internazionali scrive che le «creazioni artificiali sono ovunque intorno a noi». Lo sono da sempre. Delegare parte dei nostri poteri o decisioni a organismi non umani, «versioni artificiali di noi stessi», non è nulla di nuovo.
L’intelligenza artificiale, per Runciman, rappresenta solo un passo come altri verso ciò che è avvenuto tanto tempo fa, fin da quando Hobbes aveva iniziato a parlare del Leviatano alla creazione di cooperazioni e stati. Sono più di uno i punti contigui tra macchine e strutture sociali complesse, strutture che superano i confini della vita biologica, non soggette al deterioramento o all’età. Ogni struttura collettiva mette in discussione il potere del singolo.
È una regola antichissima, non una nuova questione in mano agli algoritmi. «Non prendiamoci in giro con l’idea che l’era dell’intelligenza artificiale – con le preoccupanti sfide rappresentate dalle decisioni prese dalla scatola chiusa e dalle procedure algoritmiche i cui risultati sono un mistero anche per i loro creatori – rappresenti una provocazione unica per l’intelligenza umana», scrive Runciman.
Perché temiamo l’intelligenza artificiale? Non è la prima volta che affidiamo parte dei nostri poteri a qualcosa di innaturale, delegando compiti e responsabilità…
Vero. Abbiamo già delegato parte delle nostre decisioni a organi cooperativi. Al contrario di quanto avviene con l’intelligenza artificiale, però, tutto ciò non ci preoccupa. È un processo già in corso. Le aziende sono macchine, sono macchine decisionali, dunque artificiali. Uno dei motivi per cui permettiamo loro di controllare le nostre vite è che crediamo erroneamente siano umane. Ovviamente tutti sappiamo che non è così. Non dobbiamo pensare che in futuro lasceremo che siano le macchine a gestire le nostre vite. È già accaduto, tempo fa. Siamo abituati a pensare alle corporation e alle grandi aziende come assemblaggi di persone ma non è così. Sono artificiali, come ChatGpt, sono solo macchine.
«Da centinaia di anni ormai costruiamo versioni artificiali di noi stessi dotandole di poteri superumani e progettandole per salvarci dai nostri limiti fin troppo umani», scrive. Perché secondo lei la dicotomia reale/artificiale è riduttiva e imprecisa?
Sbagliamo se crediamo che, grazie all’intelligenza artificiale, definiamo i contorni di un mondo innaturale. Non è così. Il mondo è artificiale già da tanto tempo. Alcuni esseri umani hanno vissuto o vivono un’esistenza maggiormente legata a ciò che, nell’immaginario comune, identifichiamo come naturale ma sono solo etichette. Tutto ciò che abbiamo intorno, in fondo, è artificiale. Trovo assurda la ricerca di un ideale di pura naturalezza.
Cosa rende affine il funzionamento di macchine a strutture corporative complesse? E la politica che ruolo ha?
I politici sono esseri umani. Ciò che odiamo in loro sono qualità umane che ai nostri occhi ci appaiono stupide, ridicole. I politici commettono errori, mentono. Potremmo erroneamente pensare: è meglio se avessimo uno Stato in mano a una macchina che non mente, che non commette errori, una macchina che non ha qualità umane? Non so, non credo. Noi esseri umani amiamo, ci preoccupiamo, proviamo compassione, vergogna, ci sentiamo in colpa. Anche i politici si vergognano, si sentono in colpa. Anche i politici in qualche modo amano gli esseri umani. Anche Donald Trump è un essere umano che, almeno in potenza, è capace di amare. Non è un robot. E una delle domande che mi pongo nel libro: volete macchine o esseri umani fallibili? È una scelta reale, perché avere esseri umani al potere comporta lati negativi. Alcuni esseri umani sono terribili e finiscono per governare gli stati in cui viviamo.
Ha paragonato lo stato a una macchina. Perché?
L’ispirazione è Il Leviatano di Hobbes. Per Hobbes lo stato è un automa, una macchina artificiale che controlla le nostre vite. Ho pensato che, se prendessimo sul serio Hobbes, significherebbe che da centinaia di anni ormai conviviamo con robot che controllano le nostre vite. Hobbes paragona lo stato a un robot, ha alcuni lati assimilabili all’essere umano ma non è un essere umano.
«Proprio perché sono così potenti, non possiamo essere sicuri che tali dispositivi rimangano sotto il nostro controllo», scrive. Il riferimento non è a creazioni algoritmiche…
Lo stato è un corpo artificiale dotato di poteri mentre l’Ia non ha sostanza. Gli algoritmi non hanno un corpo, esistono. ChatGpt è solo un dispositivo di pensiero. Sono due cose ben diverse. Una delle domande che mi pongo nel libro è: cosa succederebbe se lo stato iniziasse a pensare come un’intelligenza artificiale? Lo stato, con una macchina pensante come alleato, sarebbe più efficiente dello stato gestito da un politico umano.
Nel dibattito onnipresente e, talvolta, vacuo sull’intelligenza artificiale cosa perdiamo di vista?
Quando immaginiamo un’intelligenza artificiale pensiamo a un robot super intelligente, super potente. Ci chiediamo sarà grandioso o temibile? Sarà un’utopia o una distopia? Mentre ci poniamo queste domande a cosa diamo valore? A cosa non diamo valore? Diamo valore all’efficienza? O agli errori umani? Ci chiediamo, spesso, quale sia il potere della tecnologia e cosa comporti ma io credo che il vero potere sia ancora nelle mani delle persone che controllano la tecnologia, radicato nelle big tech che ne detengono il dominio, non altrove.
Affidarsi. Come abbiamo ceduto il controllo della nostra vita a imprese, Stati e intelligenze artificiali (Einaudi 2024, pp. 320, euro 19) è un libro David Runciman
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