Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Gelli puntava molto ad avere della propria parte stampa televisione politici e militari. Nel primo anno dopo la fuga di Gelli riceveva continue minacce per telefono. Abbiamo ritenuto di riportare questi lunghi stralci delle dichiarazioni di Nara Lazzerini perché esse nella nuova prospettiva accusatoria, integrate con le prove emerse nell'indagine della Procura generale, assumono un valore e un peso ben diverso rispetto a una precedente considerazione come mere notizie sul Gelli al vertice della P2, organizzazione che si annida nelle istituzioni dello Stato con i metodi descritti dalla donna e tematizzati dalla Relazione della Commissione.

Se Gelli fosse stato imputato della strage a tempo debito e con gli elementi di prova tempestivamente messi in campo, queste dichiarazioni sarebbero state raccolte, lette e analizzate in una luce diversa, propedeutiche ad altri mirati accertamenti, oltre che indizianti di una condizione che rende plausibile una ricostruzione storica sul suo ruolo nella strage come quella proposta sullo sfondo dell'attuale processo.

Se abbiamo ben chiaro per un insieme di indizi convergenti come una certa catena di comando nelle vicende connesse alla strage potesse risalire fino al vertice della P2 anche nel processo nel quale Gelli era solo imputato di calunnia e associazione sovversiva, dall'altro lato va dato il giusto rilievo a quel paragrafo della sentenza della Corte di assise di Bologna del 1988 nella quale si descrive la matrice ideologica della strage legata all'eversione della destra, tesi supportata dall'analisi della documentazione proveniente dai nuclei dell'eversione di destra, detenuti e in libertà, nella quale si proclama apertamente la necessità di ricorrere ad attentati e stragi per i più vari scopi politici, connessi ai programmi dei terroristi.

La sentenza richiama il documento denominato "da Mario Tuti a Mario Guido Naldi", non a caso trovato a Bologna proprio il 31 agosto 1980, con la famosa definizione del terrorismo come "aereo da bombardamento del popolo" e l'istigazione all'esecuzione di atti di terrorismo indiscriminato come mezzo per mettere in crisi le istituzioni.

Il documento "Linea Politica" sequestrato a tale Carlo Battaglia, nel quale si afferma la necessità di rendere insicuri i mezzi di trasporto, i treni in primo luogo, per "ripristinare il terrore", paralizzare la circolazione, provocare la disintegrazione del sistema con "un'esplosione da cui non escano che fantasmi"; la lettera di Carluccio Ferraresi a Roberto Frigato del 28 febbraio 1980, sequestrata a quest'ultimo, in cui si esalta la "guerra civile"; un documento sequestrato a Edgardo Bonazzi (attribuito ad Angelo Izzo) proprio il 2 agosto 1980 nel quale si inneggia al terrorismo indiscriminato, il memoriale di Eliodoro Pomar "la disintegrazione del sistema", i Fogli d'Ordine e così via.

Un'esemplificazione di una massa di documenti cui i giudici della sentenza chiedono di prestare attenzione per comprendere quale fossero gli umori, le determinazioni, le idee compatte che circolavano nell'ambiente in quelle settimane, una progettualità nella quale la strage è considerata inevitabile e neppure troppo deprecabile, comunque un problema minore, un costo accettabile rispetto agli obiettivi. Idee, costantemente accompagnate da azioni coerenti.

Un humus ben noto che non poteva essere ignorato dai servizi con i loro infiltrati e le loro fonti informative e di cui era certamente al corrente Gelli, dati i suoi legami con i vertici dell'ex Ordine Nuovo, tramite la rete delle persone che lo circondavano e lo informavano oltre ad assumere da lui direttive e suggestioni.

Ciò che questo processo ha dimostrato è che la distanza tra i vertici piduisti e il terrorismo eversivo di questa destra era davvero minimo; i due mondi si conoscevano, erano in diretto contatto e potevano parlarsi ed accordarsi con poche mediazioni, avendo ovviamente riguardo ai contesti strategici nei quali i tempi, i modi, le contingenze e le opportunità erano decisi dalle istanze al vertice e oltre.

Ovviamente gli scopi ultimi non erano le velleità antistituzionali dei terroristi dei gruppetti della destra; costoro erano pedine manovrate e alimentate dai veleni stupefacenti dell'ideologia, sapientemente inoculata per mantenere alta la disponibilità all'azione.

Su Gelli la sentenza della Corte di Assise di Bologna del 1988 ha scritto pagine ancora attuali, con riferimento alle imputazioni del tempo. I fatti su cui la Corte basa il suo ragionamento sono ben scanditi dalla pag. 1394, in avanti: […]. Sono conclusioni che non hanno perso validità nel tempo e hanno

ottenuto ampia conferma nella reiterazione dell'istruttoria dibattimentale. I passi sottolineati della sentenza "Albiani" introducono un concetto di "interesse dell'imputato" e di altri interessi "comuni" a diversi soggetti, che rivelano come l'orizzonte dei giudici del tempo era necessariamente ridotto dall'impensabilità di un diverso ruolo di Gelli nella strage. […] Nondimeno già nel 1988 era emerso, quanto meno nell'ipotesi dell'accusa, un ruolo del Gelli ben più ampio di quello limitato di un'accusa per calunnia sia riferita al pur gigantesco depistaggio dell'operazione "terrore sui treni".

La Corte d'assise dà puntualmente conto in sentenza degli elementi a sostegno della prospettazione accusatoria che indicavano Gelli al centro di un'alleanza di militari e civili, «volta al condizionamento degli equilibri politici del Paese ed al consolidamento di forze ostili alla democrazia, anche attraverso la gestione della violenza armata neofascista». Di questa alleanza Gelli era il fulcro e il contitolare della strategia politica di fondo.

Con lo strumento della Loggia di cui era dominatore incontrastato, avrebbe coordinato, da dietro le quinte, il processo di progressiva infiltrazione nei gangli vitali delle Istituzioni e attraverso quei pezzi di apparati di cui si era appropriato poteva porsi in collegamento, con esponenti di quegli ambienti terroristici la cui azione armata riusciva strumentale agli obiettivi politici dell'organizzazione.

La Corte d'assise aveva quindi colto già in quel momento il rapporto di strumentalità con l'eversione nera che abbiamo a lungo esaminato e costituiva uno dei mezzi cui si poteva ricorrere per attuare la complessa azione.

I programmi politici di Gelli sono dunque nel 1980 quelli che si desumono dal Piano di Rinascita democratica e nell'allegato Memorandum politico ritrovato nella borsa da viaggio della figlia a Fiumicino. Essi saranno enunciati nell'intervista al Corriere della sera del 5 ottobre 1980, nella quale Gelli preannuncia un espresso e diretto attacco alla Costituzione, proponendosi per una revisione dall'alto integrale e sostanzialmente eversiva del vigente regime repubblicano.

Qual fosse il potere di Gelli a livello di penetrazione negli apparati istituzionali è descritto nella Relazione della Commissione parlamentare. Certo sorprende sempre un passo come quello che si trova a p. 1492 della sentenza in cui si legge:

«La qualità delle relazioni intessute dal Gelli - che hanno in gran parte attinto la notorietà- è di per sé inequivocamente eloquente in ordine al livello di potere reale raggiunto da questo personaggio. Non è questa la sede, per ripercorrere, analiticamente, il vivace spaccato offerto nel 6° capitolo, 3° paragrafo, della requisitoria del pubblico ministero. Basterà, emblematicamente, ricordare come, alla corte dello "Hotel Excelsior" di Roma, ove il prevenuto dimorava e "dava udienza", il terrorista "nero" Paolo Aleandri, quando veniva ricevuto dall'imputato, abbia avuto occasione di trovarsi a fianco di personaggi del calibro del Gen. Miceli e di Umberto Ortolani a loro volta ammessi a colloquio con il Gelli nonché di vedere un ministro della Repubblica far anticamera, in attesa di essere ricevuto dal Venerabile, per sottoporgli le bozze di un decreto economico».

II livello di penetrazione della P2 negli apparati dello Stato con le centinaia di ufficiali dell'esercito, della marina, dell'aeronautica, dei carabinieri e della Guardia di Finanza, tutti di grado elevato, che il Gelli aveva reclutato insieme a tutti gli altri, lo rendevano per molti versi invulnerabile, anche se, come abbiamo visto, non mancava chi all'interno della Loggia con supporto internazionale tramava contro Gelli, essendo la P2 luogo di compensazione delle tensione esistenti in quegli ambiti di potere cui fa riferimento la metafora della piramide rovesciata.

La sentenza del 1988 porta elementi a sostegno del controllo che Gelli esercitò sui servizi di sicurezza nel corso degli anni Settanta fino ad averne il pieno controllo dal 1977 in avanti. La tesi della Corte d'assise è parzialmente diversa da quella Commissione parlamentare P2 che ha affrontato il tema della ricattabilità di Gelli in forza dell'informativa Cominform. Secondo la sentenza il controllo che Gelli finì con l'avere sui servizi e sul SISMI gli consentiva di tenere il dominio su quella sua debolezza, ma si trattava comunque di un punto debole che fu oggettivamente risolto con l'omicidio di Pecorelli. Un "dettaglio" da non trascurare nel complesso gioco in cui gli attori sono molteplici e non tutti noti o non

nominabili sulla base di mere ipotesi.

La sentenza affronta il tema del controllo degli apparati dal lato della protezione che avrebbero offerto agli autori della strage. Si tratta di un dato ineludibile. Ma l'approfondimento investigativo dell'ultima indagine ci porta a dire che il controllo poteva realizzarsi anche per sostenere, agevolare, finanziare, istigare, indurre le "autonome" determinazioni degli stragisti, specie se riforniti di importanti risorse finanziarie. […] Dopo avere dimostrato come anche il Sisde abbia profondamente alterato e omesso

indagini sulla strage, in relazione alla dipendenza di Grassini e Cioppa dalle indicazioni e dagli appunti tutti finalizzati ad allontanare le indagini da piste interne, circostanza che assume a questo punto un diverso significato visto che in tesi d'accusa si trattava in realtà di allontanare le indagini dall'intervento che rispetto al fatto avevano avuto Geli i e le altre figure richiamate nel capo d'imputazione e quindi dalle occulte causali che l'avevano determinata, la sentenza conclude mettendo in evidenza l'ampiezza delle disponibilità sulle quali poteva contare Gelli nell'ambito dei servizi di sicurezza. Si dice, infatti, che Gelli non fosse persona semplicemente legata in qualche modo agli apparati di sicurezza; non era una modesta fonte informativa; neppure una "persona influente ed utile al Servizio", come ebbe a definirlo nel '74 il gen. Maletti. Gelli aveva plasmato la composizione dei servizi, vi si era infiltrato,

agendo perché ai vertici fossero nominati uomini in sintonia con i suoi programmi, aggregandovi personaggi sensibili alle lusinghe del potere occulto e delle trame costruite all'interno dei servizi stessi, come Federico Umberto D'Amato.

La conclusione delle sentenza è perentoria: "Non soltanto Gelli è colui sul quale all'interno del Servizio, fin da anni lontani, era tabù indagare; egli comandava attraverso i suoi affiliati; ne condizionava le carriere; indicava l'oggetto delle indagini e le piste da seguire; si serviva di suoi uomini di fiducia, all'interno degli apparati, utilizzandoli come un'agenzia privata: ciò fino ad ispirare, a spezzoni deviati dell'apparato, quella mostruosa macchinazione che è stata il depistaggio delle indagini relative alla strage di Bologna".

Resta pienamente confermata l'assunto accusatorio secondo cui il Gelli era il vero "dominus" occulto dei servizi segreti.

Ma un tale potere non poteva limitarsi al depistaggio e alla protezione dei terroristi neri, il cui agire non sfuggiva e non era ignorato da Gelli, che aveva occhi e orecchie in quel mondo, come abbiamo visto in altri luoghi della motivazione. E ciò sia con riferimento ai personaggi formalmente iscritti alla P2 (Franco Salomone, Mario Tilgher, Filippo De Iorio), sia con riguardo a quell'universo di relazioni che intratteneva con esponenti di quel mondo, risalenti al tempo del golpe Borghese e dei finanziamenti in favore della cellula eversiva toscana attraverso Augusto Cauchi, successivamente coinvolta nella strage Italicus con pregnanti elementi di prova a carico e con indicazioni incidentali sulla strumentalizzazione dell'azione di quella cellula da parte della massoneria Gelliana, di cui dà atto la stessa Commissione parlamentare.

Ricorda la Corte come nella sentenza del 15/12/1987 della Corte d'Assise di Firenze "i rapporti di finanziamento da parte del Gelli in favore del terrorista neofascista Augusto Cauchi costituivano uno specifico 'thema decidendum', essendo stato il Gelli in quella sede imputato del delitto di cui all'art. 306 ultimo comma del Codice penale, quale sovventore della banda armata che al Cauchi e ad altri faceva capo".

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