Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Il colonnello Massimo Giraudo lavora dal 1987 sulla strage del 2 agosto; è stato uno dei protagonisti delle indagini per la strage di Brescia, sulla quale è tuttora impegnato; incarna la memoria di quasi quaranta anni di indagini sulla strategia della tensione e l’eversione neofascista e filoatlantica nel nostro Paese, nel fatidico ventennio tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli ottanta.

È uno speCialista delle indagini sulle stragi e interpreta un sapiente metodo investigativo che fece la sua comparsa nei primi anni Ottanta: il coordinamento investigativo e l’incrocio dei dati e delle informazioni, avendo cura di considerare tutti gli elementi di collegamento tra episodi apparentemente diversi, sulla base della capacità di cogliere snodi e punti di contatto.

Per questo la sua deposizione va considerata nel suo insieme e sarebbe un errore, un classico errore, non avere la pazienza di trovare le connessioni e di studiare le radici occulte e comuni di fenomeni ed eventi apparentemente distanti.

Giraudo è oggi uno dei maggiori esperti del terrorismo di estrema destra, ha saputo comprendere l’ambiente, i legami che questo terrorismo ha avuto con le deviazioni istituzionali e con i poteri occulti. Operando secondo il paradigma del doppio Stato, incarna la capacità dello Stato di conoscere e reprimere le deviazioni dei suoi stessi uomini, un’attività affidata a uomini fedeli che hanno il compito di smascherare gli infedeli per i quali e con i quali l’eversione nera ha lavorato.

Lavorando inizialmente sulla strage del 2 agosto e su quella dell’Italicus diventa il principale collaboratore delle procure e degli uffici giudiziari italiani che lavorano sulle stragi. I nuovi processi per piazza Fontana e per BresCia traggono alimento dalla sua capacità investigatIva.

Il suo nome è legato alla collaborazione di Carlo Digilio, una collaborazione importante, determinante, da parte di uno dei coautori, reo confesso, delle stragi di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a BresCia.

L’esame del colonnello Giraudo serve a ricordare quale fosse il panorama politico-militare, entro cui si colloca anche la strage di Bologna, costituito dalla rete militare e di intelligence degli Stati Uniti con la quale Digilio aveva collaborato fino al 1978 insieme a Marcello Soffiati e Sergio Minetto, personaggi che compaiono nella nostra ricostruzione storica.

Con realismo Giraudo spiega che gli agenti dell’intelligence americana in Italia non agIvano da soli; godevano dell’appoggio degli apparati istituzionali, forze di polizia che ritenevano di operare, fino a un certo momento e sia pure anche per connivenza ideologica, nell’interesse del Paese, minacCiato nella divisione del mondo dal Patto di Varsavia. Non si credevano delinquenti, ma pensavano di agire con spirito patriottico. Il che non aiuta le investigazioni di chi deve far emergere il delitto e il tradimento, al di là delle convinzioni soggettive, che tuttavia sono talmente radicate da imporre, quasi come dovere di fedeltà, il silenzio, l’omertà, la bugia a chi è poi chiamato a deporre. Come è accaduto fino a oggi anche nel nostro processo, fino all’ultimo.

E Giraudo spiega bene questa cultura dell’omertà e della connivenza nell’ambito di chi ha lavorato o si è impegNato negli ideali di principio dei servizi segreti, impermeabili a qualsiasi rielaborazione, in forza di un vincolo che appare nettamente più forte della stessa omertà tradizionale. "Hanno subito un addestramento" efficace in questo senso, spiega Giraudo con opportuni esempi, tratti dalle regole della famigerata Aginter press. Digilio apparteneva a questa scuola e la sua testimonianza è andata in parte, più o meno grande, dispersa, dall’influenza esercitata sulla sua psiche dal tipo di addestramento ricevuto nel rispondere ad un interrogatorio e quindi dalle sue fluttuanti scelte su cosa dire e cosa non dire, che lo hanno reso inattendibile agli occhi di chi non ha avuto la pazienza di discernere e comprendere questa condizione, conseguenza del rigoroso addestramento al silenzio ricevuto.

Digilio aveva avuto contatti con la rete dell’ intelligence Nato come Joseph Luongo, Leo Pagnotta, David Carret e poi Teddy Richard dal 1974, nonostante pensasse si trattasse di agenti Cia, erano uomini dell’intelligence militare camuffati da agenti civili.

La storia dei rapporti della nostra intelligence con quella degli americani in Italia è interessante, ma non può essere ri-esposta in dettaglio. La diamo per nota rimandando alla prima parte della deposizione. Così come il racconto di come Digilio divenne un informatore dei servizi di intelligence americani dislocati nel Veneto e nelle basi Nato e la struttura stessa dell’apparato spionistico in Italia, diffusamente illustrata anche con riferimento al modo in cui erano state acquisite da parte nostra le informazioni sul modo di operare degli americani.

Dal che si comprende la duplicità del ruolo svolto negli anni dal colonnello Giraudo: investigatore per l’autorità giudiziaria e al contempo agente del nostro controspionaggio, a conferma che c’è stato un momento in cui il nostro Paese ha rivendicato ed attuato in certe sue strutture una sua autonoma politica di controinformazione.

È singolare come l’azione dell’autorità giudiziaria abbia finito con l’essere controinformazione, stimolando una rinnovata indipendenza di taluni nostri servizi a garanzia della sovranità. D’altra parte, racconta Giraudo, un simile approccio divideva anche al suo interno le posizioni della destra, tra chi si muoveva in senso radicalmente filoamericano nella temperie politica internazionale e chi rivendicava posizioni di autonomia nazionalistica (certe correnti dell’area dell’estrema destra con interessate convergenze con l’estrema sinistra).

Trascuriamo il racconto da cui si apprende come gli americani stessi finiscano col comunicare al SISMI che già dagli anni ’50 Joseph Peter Luongo, è uno degli agenti del servizio. In questo contesto Luongo, come gli altri, si occupa in modo particolare del reclutamento delle fonti di informazioni interne. In questa illustrazione Giraudo giunge a una prima sorprendente informazione.

Tra i collaboratori del colonnello Hass, l’uffiCiale delle SS corresponsabile dell’eccidio delle forze Ardeatine e arruolato nel dopoguerra nel servizio segreto americano, responsabile per l’Austria e l’Italia, vi era un giornalista, Mario Tedeschi, che lavorava quindi indirettamente, tramite un personaggio del calibro di Hass, reclutatore di spie per gli americani tra gli uomini dei servizi segreti tedeschi e italiani, con il servizio di intelligence americano.

La rete di Hass era ovviamente ampia e formata da italiani e tedeschi, ma il nome di Tedeschi all’interno di questa rete, qualifica il personaggio come al centro delle operazioni più oscure del periodo e lo rende del tutto idoneo a svolgere azioni della massima segretezza.

La formazione della rete informatIva americana costituita da ex fascisti ed ex nazisti era particolarmente facilitata dall’assoluta mancanza in Italia di qualsiasi politica di resa dei conti con gli esponenti del vecchio regime, tutti in qualche modo riciclati.

Giraudo riferisce di come si giunse all’identificazione della rete informatIva americana che si avvaleva dell’apporto di ordinovisti veneti, dell’arresto (casuale, un "fuor d’opera", si è detto) di Soffiati, Besutti, Massagrande, Morin, per traffico e detenzione di armi ed esplosivi forniti dagli stessi carabinieri, della liberazione di Soffiati e degli altri dopo essere stato trovato con armi che lo stesso disse essergli state date dai carabinieri.

Ridescrive il quadro, noto in base alle sentenze sull’eversione nera sostenuta dai servizi italiano e americani. Questa volta otteniamo da un teste qualificato la certezza dell’esistenza di quest’universo occulto, di trame golpiste ed eversive: direttamente da un uffiCiale dell’arma stessa dei carabinieri.

Non è compito della Corte formulare giudizi, ma stare ai fatti. E i fatti dicono che questa era la situazione negli anni Settanta, intorno alla metà degli anni Settanta, nel momento in cui dal controllo diretto dell’ intelligence americana sui nostri servizi e sulle organizzazioni eversive di destra si passa a quello di Licio Gelli, i cui progetti e il cui strumentario d’azione non era affatto diverso: alla base operatIva provvedeva la manovalanza eversIva, al vertice un organismo filoatlantico. E Gelli non era certamente estraneo all’intelligence atlantica.

Sull’azione di Digilio si riferì che l’esito era stato agevolato da Richard, colui che aveva contribuito a procurare le armi. Gli episodi da riferire sono a detta del testimone moltissimi; ne vengono fatti esempi sparsi, sempre più allarmanti come la presenza nei depositi delle caserme di esplosivo israeliano gelatinizzato, non inventariato, con le risposte negative alle domande dell’investigatore dai vertici militari: "Attenzione, io feci poi, molti anni dopo, la richiesta alle nostre forze armate, altro Stato Maggiore, a quello che aveva sostituito il SIOS, quindi chiedendo, Ufficio Generale di Sicurezza, chiedendo se l’Italia aveva mai avuto a disposizione esplosivo gelatinizzante israeliano, ottenendo risposta negatIva. La cosa che lascia sconcertati, Presidente, è che anche chi non fa l’investigatore capisce che su quell’esplosivo bisognava lavorare, è un esplosivo talmente particolare che il fatto che non si sia svolta un’attività di inchiesta estremamente approfondita lascia veramente esterrefatti" (pag. 20, trascrizione).

In questa vicenda spariscono pure i verbali di sequestro, in qualche modo recuperati dall’autorità giudiziaria, anni dopo. Conferma pratica del contesto in cui si è trovato chi ha voluto sapere e dei muri che sono stati opposti. Riportare questa storia in una sentenza è un modo per sgretolarli e ridurli in ruderi.

Il colonnello Giraudo richiama quindi la testimonianza del generale Borsi Di Parma, negli anni Settanta comandante della Guardia di Finanza, dopo essere stato un comandante dell’esercito; l’interlocutore è il giudice veneziano Mastelloni. In questa testimonianza abbiamo la più plastica rappresentazione del doppio Stato e del ruolo svolto da Ordine Nuovo come gruppo di cellule eversive, al servizio delle "trame atlantiche".

Si legge nel documento agli atti, richiamato da Giraudo:

"Un autorevole riscontro della gestione della struttura Ordine Nuovo da parte dei Servizi di Sicurezza Militare americani - spesso in competizione con quelli civili facenti invece riferimento all’AmbasCiata americana - proviene da alcune dichiarazioni rese dal generale di Corpo d’Armata Vittorio Emanuele Borsi Di Parma il giorno prima della fine dell’istruttoria (cfr. dep. 30.12.1997,f 16920):

"Quando ero Capo di Stato Maggiore della III" Armata con sede a Padova, retta dal Generale Bizzarri Ugo, che aveva alle dipendenze il VA e il Iva Corpo di Armata del Triveneto, noi sapevamo - siamo dal novembre 1961 al settembre 1965 dal SIFAR della esistenza di una organizzazione paramilitare di estrema destra, probabilmente chiamato "Ordine Nuovo", sorretta dai servizi di sicurezza della Nato e che aveva compiti di Guerriglia e di Informazione in caso di invasione: si trattava di civili e di militari che, all’emergenza, doveva comunicare alla nostra Armata i movimenti del nemico. Si trattava di una Organizzazione tipicamente americana munita di armamento e attrezzature radio. Sapevamo noi della IIJA Armata dell’esistenza di questa organizzazione ma noi non avevamo rapporti con la stessa. In realtà gli Appunti ci pervenIvano dallo SME, SIOS, che li riceveva dal SIFAR. Ritengo che l’addestramento fosse fatto alla struttura predetta dagli americani e credo che essa dipendesse dal Comando FT ASE (Nato) con sede a Verona".

È un dato di straordinaria importanza. Attesta una realtà che non finisce nel 1974 ma che, riconvertendosi, confluisce in piani aggiornati al cui vertice stanno i servizi segreti e i comandi militari, coordinati da Gelli.

A questa realtà operativa si associa, come detto, la rete informativa costituita da ex fascisti che Karl Hass aveva inizialmente reclutato per mettere in piedi una rete di resistenza nazista dopo l’occupazione americana e che gli americani in seguito annettono al proprio servizio.

Tra questa rete e Ordine Nuovo si sviluppa un’osmosi che i servizi americani pongono sotto (relativo) controllo. Per massima chiarezza riportiamo un passaggio di questa fondamentale testimonianza:

Presidente – E com’è che questa rete diventa Ordine Nuovo? C’è un passaggio di questa rete che diventa Ordine Nuovo? Mi pareva di aver capito così.

Testimone Giraudo – Allora, no. No, no.

Presidente – Non è così?

Testimone Giraudo – No, no, ha capito bene. E noi non abbiamo atti che documentano la decisione di avvalersi di Ordine Nuovo, noi abbiamo un’evoluzione delle strutture di estrema destra, per cui i Fasci di Azione Rivoluzionaria che lasciano il campo a Ordine Nuovo.

Tenga presente che lei potrà dirmi: "Sì, ma esisteva anche un’altra struttura che era Avanguardia Nazionale", certo, però nell’ottica americana Avanguardia Nazionale, gli avanguardisti sono gli sfonda porte; gli ordinovisti sono le persone di cultura, di intelligenza, quelle che sono sfruttabili. Quando lei pensa alla Stay-behind, purtroppo è mancata nelle indagini l’ottica militare, la Stay-behind viene tradotta in "organizzazione Gladio", non è un’organizzazione, quei 622 non avrebbero fatto paura neanche all’Esercito delle Maldive, e non erano combattenti, la Stay-behind è una operazione che serve a coprire la struttura reale.

E la struttura reale è quella che Borsi Di Parma ci dice dipende dalla Ftase a Verona, è Ordine Nuovo, perché quelli erano i combattenti, erano persone che … tanto è vero che, ad esempio, il Digilio ci dice che il Maggi cercò di entrare nella rete, ma gli venne impedito, gli venne impedito perché ormai era un soggetto noto, e la sua ... il suo ... non era il problema, non faceva paura l’ideologia, faceva paura il fatto che la sua ideologia, i suoi comportamenti fossero noti alla Forze di Polizia e ovviamente una rete operativa di quel genere deve rimanere nell1ombra, quindi un personaggio così di spicco avrebbe ...

Presidente – Quindi abbiamo due livelli. Un livello riservato, occulto, questo Ordine Nuovo che lavora con gli americani, e un livello poi esteriore, politico, che è quello di Maggi e tutti gli altri?

Testimone Giraudo – Esatto, esatto, esatto. Una delle affermazioni forse poco note di Digilio è che le riunioni con Carret, e alcune riunioni con Carret avvenivano al secondo piano della palazzina Ftase di via Roma, un piano il cui accesso era consentito solo agli americani. Queste affermazioni noi all’epoca non abbiamo potuto riscontrarle, perché è la Ftase, quindi non abbiamo potuto effettuare una ispezione di luoghi, portare il soggetto sul posto e individuare da quale porta salisse ed effettuare gli accertamenti conseguenti.

Perché la Ftase godeva di extraterritorialità. Abbiamo tentato con il Dottor Sa/vini di fare un accesso alle basi Ftase, alle basi americane, ovviamente siamo stati fermati all’ingresso e al corpo di guardia, e là siamo rimasti. Quindi non abbiamo potuto verificare".

Si tratta di informazioni di estrema importanza.

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