La linea giustificativa del Ros, che fa leva sull’autonomia operativa e su un doveroso riserbo investigativo cozza irrimediabilmente con l’opposta scelta di mettere al corrente dei contatti intrapresi con una potenziale fonte confidenziale, e addirittura prima ancora che l’ipotesi di una collaborazione con gli inquirenti si concretizzasse, esponenti politici e istituzionali che nessun titolo avevano per interloquire in quell’operazione o anche solo per esserne messi al corrente, se si fosse trattato solo di un’operazione investigativa
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.
Detto questo, in teoria l’eco di “divergenze” e di “spaccature” interne alla procura di Palermo (ancorché per ragioni che poco o nulla avevano a che vedere con l’indagine mafia e appalti), divenute di dominio pubblico dopo il clamore suscitato dai documenti di protesta e di solidarietà sottoscritti da oltre la metà dei magistrati in servizio presso quell’ufficio giudiziario, avrebbero potuto costituire un ostacolo o una fonte di remore per gli ufficiali del Ros ad informare la stessa autorità giudiziaria dei contatti intrapresi con Vito Ciancimino (che nel frattempo erano proseguiti, dando corpo al progetto di instaurare un rapporto collaborativo con lo stesso) e degli ulteriori sviluppi che potevano derivarne dopo che aveva manifestato la disponibilità a cooperare con i Carabinieri.
Ma occorrerebbe, prima, dare per certo che questi ultimi avessero mai avuto l’intenzione di raccordarsi con l’A.g. nello sviluppare la loro iniziativa. E di ciò è più che lecito dubitare, tenuto conto del silenzio serbato nei riguardi del dott. Borsellino, prima; e del nuovo procuratore di Palermo, poi, come tra breve si vedrà.
Sarebbe nondimeno plausibile che una simile linea di condotta rispecchiasse un preciso modus operandi, alieno dal condividere con altri, che fossero organi di polizia o autorità giudiziarie, le proprie informazioni e le relative fonti, come peraltro emerge dal raffronto con la descrizione che il vice questore Savina del diverso modo di operare della Polizia di stato e della Squadra Mobile in particolare (ma anche dello Sco), contrassegnato da un rapporto di stretta collaborazione e coordinamento con i magistrati di riferimento nello svolgimento delle varie indagini.
E non diversamente del resto ebbe ad operare la Dia nella gestione di un’importante fonte confidenziale quale fu Luigi Ilardo, assassinato il 10 maggio 1996, pochi giorni prima che formalizzasse la sua decisione di collaborare con la giustizia (ma che da tre anni aveva instaurato un rapporto “confidenziale” con la Dia. prima che il Col. Riccio rientrasse nei ranghi dell’Arma e venisse aggregato al Ros portando in dote la fonte “Oriente” che per anni aveva gestito per conto della Dia).
Senza dimenticare poi la copertura normativa offerta dall’art. 203, comma i bis c.p.p., espressamente invocato del resto dal Generale Mori, anche in sue esternazioni extragiudiziali (come attesta l’on. Violante), senza curarsi, peraltro, dello stridente contrasto con la diversa giustificazione addotta per non averne riferito al dott. Borsellino (nel senso che gliene avrebbero parlato certamente, se i contatti con Ciancimino avessero registrato progressi significativi).
Ma questa linea giustificativa, che fa leva sull’autonomia operativa e su un doveroso riserbo investigativo — per blindare la segretezza delle indagini più delicate, ma anche a maggior tutela delle proprie fonti — cozza irrimediabilmente con l’opposta scelta di mettere al corrente dei contatti intrapresi con una potenziale fonte confidenziale, e addirittura prima ancora che l’ipotesi di una collaborazione con gli inquirenti si concretizzasse, esponenti politici e istituzionali che nessun titolo avevano per interloquire in quell’operazione o anche solo per esserne messi al corrente, se si fosse trattato solo di un’operazione investigativa.
Né, per la verità, s’era mai registrato anche un solo precedente di un personaggio accreditato di avere un ruolo e uno spessore mafioso di primo ordine che fosse stato avvicinato dai carabinieri per indurlo a collaborare con gli inquirenti, sostanzialmente tradendo i suoi (ex) sodali, ma al quale, per raggiungere tale scopo, fosse stata rivolta, almeno in una fase iniziale, una proposta del tipo di quella che fu rivolta, inizialmente, a Ciancimino (e cioè di fare da intermediario presso i vertici di Cosa nostra per sondarne la disponibilità ad allacciare un Dialogo con gli stessi carabinieri in quanto emissari di soggetti più titolati di loro a imbastire una vera e propria trattativa con l’obbiettivo dichiarato di far tacere le anni).
Giammanco lascia la procura
In ogni caso a partire dal 28 luglio ‘92, Giammanco lascia la procura di Palermo. Ma la difesa insinua che continuavano ad operare e a ricoprire ruoli importanti in quell’ufficio alcuni dei sostituti che erano stati più vicini al procuratore uscente, e ne avevano condiviso la gestione. ù
Sennonché, a fugare qualsiasi sospetto di continuità di un presunto indirizzo teso a sminuire l’importanza dell’indagine mafia e appalti o a svalutare la consistenza delle risultanze compendiate nel rapporto originario, basti considerare che dei sostituti predetti uno (il dott. Pignatone) non si occupava più dell’indagine in questione fin dal novembre 1991 (come pure accertato dal gip di Caltanissetta e come è emerso anche nel corso delle citate audizioni dinanzi al Csm).
Tra i titolari del procedimento figurava invece il dott. Scarpinato, ossia uno dei sostituti che era stato non solo firmatario ma addirittura estensore del clamoRoso documento di protesta che aveva innescato o rafforzato la decisione di Giammanco di chiedere il trasferimento immediato ad altro ufficio. Ed era rimasto, degli originari titolari, il dott. Lo Forte, che però figurava come firmatario della corposa delega di indagine sulla vicenda degli appalti Sirap e dello stralcio dei relativi atti dall’originario proc. nr. 2789/90, disposto proprio per approfondire quel filone di indagine.
Se poi ci si riferisce alle propalazioni oggettivamente calunniose di Siino nei riguardi tra gli altri anche del dott. Lo Forte, queste ultime saranno raccolte dal capitano De Donno — e dal colonnello Mori — solo a partire dai primi mesi del 1983. Né può credersi che le (generiche) propalazioni accusatorie del sedicente neo collaboratore di giustizia Li Pera, raccolte dal solo De Donno nel corso di colloqui investigativi o dell’atto assunto su delega del sostituto procuratore dott. Lima (il 20 luglio) potessero incrinare la fiducia e il rapporto di doveRrosa e leale cooperazione con la procura di Palermo: e ciò prima ancora di avere intrapreso la ricerca di riscontri a propalazioni chiaramente dettate dall’intento di minimizzare le proprie responsabilità attribuendo ai magistrati palermitani titolari dell’indagine mafia e appalti il proposito di enfatizzarlo a beneficio dei veri responsabili; ed avendo peraltro contezza del mendacio con cui lo stesso Li Pera aveva tentato di giustificare la sua iniziale reticenza, asserendo che erano stati i magistrati della procura palermitana a non volerlo sentire.
Per non parlare dell’opacità e discontinuità delle dichiarazioni rese nel tempo dallo stesso De Donno sulla genesi di quella collaborazione e sul modo in cui ne sarebbe venuto a conoscenza il dott. Borsellino, per le quali si rinvia alla puntuale ricostruzione che ne ha fatto il gip del Tribunale di Caltanissetta, alle pagg. 200-203 della cit. ordinanza di archiviazione del 15 marzo 2000, che evidenzia le risultanze che smentiscono la versione — o, più esattamente, le diverse narrazioni — dell’allora capitano De Donno.
Detto questo, potevano nondimeno residuare valutazioni diverse circa la necessità o l’opportunità di talune scelte processuali che sembravano frustrare o non soddisfare le aspettative dei carabinieri del Ros, artefici delle indagini in oggetto.
Ma tali divergenze non giustificavano affatto che in altri filoni investigativi o su altri temi di indagine la collaborazione del Ros con la procura palermitana dovesse e potesse dispiegarsi entro binari di assoluta correttezza e lealtà, e nella più scrupolosa osservanza dei rispettivi doveri e delle rispettive competenze.
E infatti la pretestuosità dell’argomento difensivo, che indugia nell’imputare ai contrasti insorti in relazione alla sorte dell’indagine mafia e appalti le remore degli ex ufficiali odierni imputati a informare l’A.g. dell’operazione Ciancimino, emerge in tutta evidenza sol che si consideri il fervore di attività investigative e l’impegno correlati agli stralci che diedero luogo a separati procedimenti per i fatti meritevoli di ulteriori approfondimenti, ma rispetto ai quali era arduo ravvisare profili di connessione in senso stretto con l’oggetto specifico dell’originario procedimento n.2789/90355.
E soprattutto, come s’è visto, proprio in corrispondenza temporale dell’avvio dei contatti con Vito Ciancimino e poi dello sviluppo della prima fase della “trattativa” (i due primi incontri con Mori risalirebbero ad agosto 1992) era in pieno svolgimento una proficua attività investigativa riguardante uno dei filoni scaturiti dall’indagine mafia e appalti, ovvero la vicenda degli appalti della Sirap.
Tale attività traeva impulso da una corposa delega d’indagine conferita ai carabinieri del Ros dalla procura di Palermo e le relative risultanze saranno compendiate nell’informativa depositata il 5 settembre 1992: proprio quell’informativa cui sono allegati, tra gli altri, i verbali di trascrizione delle intercettazioni che contengono gli elementi più compromettenti per gli esponenti politici che non risultavano chiamati in causa nell’originario rapporto mafia e appalti (e relativi allegati), e che avrebbe dato la stura alla tesi di una doppia versione di quel rapporto.
I presunti imbarazzi di De Donno
Si può poi concedere che il capitano De Donno potesse avere serio imbarazzo ad interfacciarsi con un Ufficio da cui erano partite delle segnalazioni di abusi e irregolarità a lui ascritte e ne era seguito uno scambio di pesanti accuse che non avrebbe favorito un rapporto di franca e leale collaborazione. Ma ancora una volta è necessario contestualizzare la vicenda, a partire da una corretta collocazione temporale, per non dare luogo a fraintendimenti.
Era accaduto, secondo quanto accertato nella sua istruttoria dal gip di Caltanissetta, che, a seguito della trasmissione in data 28 ottobre 1992 degli atti relativi al proc. a carico dei 22 indagati, scaturito dalle dichiarazioni accusatorie del sedicente collaborante Li Pera Giuseppe che erano state raccolte dal P.M. di Catania, dott. Felice Lima (presente il capitano De Donno), la procura di Palermo aveva presentato un esposto per presunte irregolarità e abusi ascritti al capitano De Donno.
Da tale esposto si erano originati due procedimenti a carico dello stesso De Donno: un procedimento disciplinare, preceduto da un’ispezione ministeriale presso gli uffici della procura di Palermo e presso gli uffici della procura di Palermo, che sfocerà (in data 26 marzo 1994) in un provvedimento di preliminare archiviazione da parte del P.g. presso la Corte di Cassazione, “non apparendo ravvisabili elementi e circostanze di rilievo, tali da provocare particolari iniziative”; e un procedimento penale istruito dalla procura di Roma per varie ipotesi di reato (falso e abuso d’ufficio), che sfocerà a sua volta in una richiesta di archiviazione accolta con decreto del gip del Tribunale di Roma.
Le contestazioni per falso e abuso d’ufficio erano state mosse in relazione alla condotta tenuta dal capitano De Donno nella gestione dell’inchiesta catanese, ed in particolare per avere, nell’informativa trasmessa al P.M. di Catania in data 1° ottobre 1992 fornito una lettura della nota a firma del colonnello Mori del 30 ottobre 1991, che ne stravolgeva il contenuto e il senso. Con tale Nota, l’allora colonnello Mori, in evasione di una delega d’indagine scaturita da un esposto anonimo che ventilava il possibile coinvolgimento di Angelo Siino, di Filippo Salamone e dell’onorevole Mannino nell’illecita spartizione degli appalti, aveva rappresentato alla competente A.g. che non erano emersi elementi di reità a carico degli stessi, fatta eccezione per il Siino.
Invece, nell’informativa “Caronte”, trasmessa al pm di Catania il 1° ottobre 1992, il capitano De Donno aveva stravolto la precedente Nota a firma del suo Comandante, asserendo che, alla medesima data, erano emersi indizi di reità a carico (anche) del Salamone.
La competente autorità giudiziaria romana, pur dando atto della difformità tra il tenore della Nota che era stata trasmessa dall’allora colonnello Mori il 30 ottobre 1991 ad evasione dell’indagine delegatagli e la rappresentazione che il capitano De Donno ne aveva dato nell’inforrnativa Caronte, dispose l’archiviazione del procedimento penale, motivando tale decisione «sulla base degli esaurienti chiarimenti offerti dal De Donno nel corso del suo interrogatorio innanzi al pm di Roma (...). dai quali era emerso che la contestata condotta non era certamente stata il frutto di maliziosa interpretazione e volontà».
Ebbene, si tratta di una scia di dissapori e contrasti e motivi di risentimento o di reciproca diffidenza che, insieme alle polemiche sulla c.d. “doppia refertazione” prenderanno corpo, a tutto concedere, a partire dalla fine di ottobre 1992, ovvero non prima che la procura di Palermo si ricevesse per competenza gli atti del procedimento iniziato dalla procura di Catania sulla base delle rivelazioni del Li Pera, e quindi venisse a conoscenza dell’informativa Caronte e dei relativi allegati. Ma a quella data, la trattativa con Ciancimino era già in una fase più che avanzata, anzi c’era già stata quella brusca rottura cui avrebbe fatto seguito la decisione dello stesso Ciancimino di collaborare senza riserve con i carabinieri per aiutarli a catturare Riina.
Inoltre, era alle viste l’insediamento del nuovo procuratore a Palermo, nella persona del dott. Giancarlo Caselli che infatti già a novembre del ‘92 avrebbe dovuto prendere possesso del nuovo ufficio, ma dovete differirlo perché impegnato nella definizione di un grosso procedimento in materia di criminalità organizzato pendente dinanzi alla Corte d’Assise di Torino (come lo stesso dott. Caselli ha confermato deponendo dinanzi a questa Corte).
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