Il dottor Gentile, divenuto giudice titolare dell'indagine, effettuò un viaggio in Libano, affiancato dall'ufficiale del Sismi, Stefano Giovannone, il quale gli indicò la presenza di campi di addestramento di terroristi italiani in Libano e fece sì che si aprisse un nuovo ed improduttivo tema di indagine
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti
Dunque, Sisti all’epoca dichiarò di avere assunto delle iniziative dopo avere parlato con il dottor Floridia, quando aveva già lasciato la Procura di Bologna; il teste ha negato detta circostanza, chiarendo poi che probabilmente parlò con Sisti della necessità di attivarsi in ogni modo per accertare la verità, ma certamente prima che egli se ne andasse da Bologna.
Poi Sisti venne nominato dal Governo in data 26 settembre 1980 quale Direttore generale degli istituti di Prevenzione di Roma (è stato prodotto all’udienza del 23 luglio 2021 la delibera di nomina del Governo Cossiga – che sarebbe caduto pochi giorni dopo – e l’atto di immissione in possesso). Prima della nomina, Sisti trascorse anche un periodo di malattia a partire del 11 agosto 1980 (...).
Il testimone ha ribadito che non ebbe più rapporti con Sisti dopo che questi se ne andò da Bologna, anche perché, d’altra parte, egli si limitava ad affiancare il dottor Gentile; oltretutto, dopo che Sisti aveva lasciato la Procura bolognese, non aveva più alcun titolo o ragione per occuparsi dell’indagine.
Il testimone è poi passato a spiegare i motivi per cui il dottor Velia non assunse l’incarico di Giudice istruttore nel procedimento relativo alla strage. Ha narrato che Velia effettuò una visita la stessa mattina del 2 agosto 1980 presso la Stazione di Bologna e, probabilmente nel frangente, davanti a Giornalisti intervenuti, rilasciò delle dichiarazioni aventi un certo tenore: “Io saprei dove mettere le mani”.
Il magistrato intendeva fare riferimento agli ambienti della destra eversiva. Infatti, il dottor Velia aveva svolto le funzioni di giudice istruttore nel procedimento denominato Italicus e stava proprio in quel periodo terminando di redigere l’ordinanza sentenza.
Il senso della predetta osservazione – come lo stesso dottor Velia ebbe poi a spiegare in seguito (cfr. la nota da questi redatta e confluita nel procedimento disciplinare svoltosi davanti al Csm) – era connessa all’esperienza che egli si era formato nel pregresso procedimento, in cui erano imputati soggetti appartenenti alla destra eversiva.
Il teste ha proseguito affermando che, proprio per avere pronunciato quella frase incauta, in seguito Velia decise di astenersi, probabilmente consigliato da qualcuno ed assegnò così l’incarico al dottor Gentile. Tuttavia, non si trattò di una decisione spontanea, ma sicuramente provocata.
Il Procuratore Sisti prese spunto proprio dalla predetta dichiarazione del Giudice, per assumere un’iniziativa affatto singolare. In data 5 settembre 1980 inviò una lettera riservata personale al consigliere istruttore Velia, con la quale manifestò la necessità di escuterlo formalmente come testimone in relazione alla frase che egli aveva pronunciato. Appare opportuno riportare i contenuti della lettera:
“In relazione ad un preciso riferimento testimoniale, acquisito durante le indagini concernenti l’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione centrale di Bologna, si manifesta la necessità per questo ufficio del pm – nel corso della sommaria istruzione – di assumere la testimonianza di V.S., in particolare sul seguente punto:
“Se, durante l’istruzione formale del procedimento concernente l’attentato del 4 agosto1974 al treno Italicus, ed in particolare di recente, tra il deposito finale degli atti e il deposito della ordinanza-sentenza conclusiva, mediante scritti o messaggi di altra natura, ignoti abbiano diretto alla Sua persona o al Suo Ufficio, minacce, avvisi o inviti a ritardare le deliberazioni di competenza, con l’ammonimento che, ove non fossero stati ampiamente ritardati i termini di deposito della decisione finale, sarebbero stati compiuti atti di ritorsione in Bologna". Mi riservo di assumere personalmente la deposizione di V.S. nella data che potremo direttamente concordare. Ringrazio e invio cordiali saluti”.
Floridia ha osservato che la richiesta del Procuratore al Capo dell’ufficio istruzione di essere sentito come testimone fosse una cosa anomala. Non vi è chi non veda, infatti, la pretestuosità del rilievo del Procuratore, che approfittava della leggerezza del dottor Velia.
Tale iniziativa ebbe notevole eco sulla stampa locale e provocò ripercussioni negative nei rapporti tra gli uffici giudiziari, come emerge anche dalla sentenza della corte di assise di Bologna del 1988 (sentenza c.d. Albiani del 1988).
Risulta prodotto agli atti anche il documento relativo alla richiesta di formale istruzione, firmato dal sostituto procuratore Riccardo Rossi; in calce alla richiesta vi è una postilla, scritta a penna dal Procuratore Sisti in data 21 settembre 1980, che fa richiamo alla richiesta del 5 settembre 1980, diretta al dottor Velia che così recita: “Aggiungendo: per quanto concerne la richiesta in data 05 agosto 1980 (rectius 05 settembre 1980), diretta al Consigliere Istruttore, Vostra Signoria vorrà in prosieguo provvedere e acquisire le notizie nella forma che riterrà più opportune”.
In altre parole, il Procuratore capo integrò la richiesta di istruttoria formale, avanzata da un altro sostituto delegato all’indagine, con una postilla nella quale raccomandava in sostanza di sentire come teste il Consigliere Istruttore Velia subito, oppure di ottenere da questi la redazione di un rapporto su quanto richiesto nella lettera del 5 settembre 1980.
Fu tale iniziativa del dottor Sisti a provocare, secondo l’accusa, l’eliminazione dal processo del giudice Velia, il quale, onde evitare di ingenerare ulteriori turbamenti, il 20 settembre 1980 andò in ferie, così che il processo venne assegnato automaticamente all’aggiunto dottor Gentile.
Infatti, in quel preciso momento l’istruttoria stava per essere formalizzata e sarebbe risultato titolare del procedimento il dirigente dell’ufficio, ma la sua indicazione quale possibile testimone costituiva uno specifico motivo di incompatibilità atto ad impedire di assumere l’incarico da parte del magistrato.
Rispondendo alle domande della Corte, incentrate sullo specifico contenuto della missiva del dottor Sisti (ovvero se vi fossero state “minacce, avvisi, o inviti a ritardare le deliberazione di competenza con l’ammonimento che ove non fossero stati ampiamente ritardati i termini di deposito della decisione finali, sarebbero stati compiuti atti di ritorsione in Bologna”), il teste ha risposto che nulla di ciò gli risultava essere avvenuto.
Ha confermato poi che, nonostante la missiva del procuratore manifestasse la necessità di assumere la testimonianza del dottor Velia nel corso della sommaria istruzione, per contro, questi non venne mai interrogato in seguito, perché la circostanza non venne ritenuta di alcun interesse investigativo.
Tale semplice constatazione, a parere della Corte, dimostra quanto detta iniziativa fosse priva di fondamento e fosse invece strumentale a screditare l’operato dell’Ufficio che doveva occuparsi dell’istruzione formale o quanto meno ad assicurare l’assenza di un giudice istruttore “sgradito”.
Il teste ha poi confermato quanto accadde dopo, ovvero che il dottor Gentile, divenuto Giudice titolare dell’indagine, effettuò un viaggio in Libano, affiancato dall’ufficiale del Sismi, Stefano Giovannone, il quale gli indicò la presenza di campi di addestramento di terroristi italiani in Libano e fece sì che si aprisse un nuovo ed improduttivo tema di indagine.
Ha anche confermato che tempo dopo il viaggio suddetto, presso l’ufficio istruzione di Bologna si presentarono il gen. Musumeci e il tenente colonnello Belmonte per fornire collaborazione, a dimostrazione di come tali soggetti fossero stati “presenti” nell’indagine sulla strage.
Le circostanze di cui si è detto sopra sono approfonditamente trattate nella sentenza della Corte di Assise di Bologna sopra citata (sul depistaggio della pista internazionale libanese messo in atto da Giovannone in concorso con Santovito e Pazienza, si vedano in particolare le pagg. 304 -1360).
Anche dopo cessate le funzioni di procuratore della Repubblica di Bologna, però, Ugo Sisti assunse delle iniziative volte in qualche modo ad orientare le indagini in un determinato modo.
Nella sentenza Albiani si legge, infatti, che egli si recò alla fine del mese di ottobre 1980 dal gen. Santovito per chiedere collaborazione nelle indagini relative alla strage della stazione. Santovito sollecitò Musumeci e Belmonte ad attivare una falsa fonte informativa, che fornisse elementi utili per rispondere alle richieste del dottor Sisti.
Si trattava del maresciallo Sanapò, il quale nel procedimento relativo al c.d. Supersismi venne interrogato in data 1 novembre 1984 e confessò di essere stato indotto da Belmonte a riferire falsamente che l’operazione “terrore sui treni” gli era stata indicata da una “fonte” deceduta e ciò al fine di coprire i veri autori del depistaggio. In seguito, il dottor Sisti consegnò a Musumeci un elenco di domande, scritto di pugno, da sottoporre alla sua fonte (cfr. la cit. sentenza, pag. 499 e segg.).
Orbene, tale sostanziale “investitura” a svolgere indagini conferita dal dottor Sisti al col. Musumeci appare sui generis, non solo perché gli appartenenti ai Servizi non erano soggetti deputati a svolgere indagini di polizia giudiziaria, non essendo loro attribuita dall’ordinamento la qualifica di ufficiali di pg (ex art. 9 della legge 801/77), ma soprattutto perché Sisti non aveva più la potestà di svolgere le indagini sulla strage di Bologna, posto che nel momento in cui aveva incontrato il gen. Santovito, aveva già cessato le proprie funzioni di procuratore della Repubblica di Bologna, essendo stato nominato direttore generale del Dap (in precedenza Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena) in data 26 settembre 1980.
Dunque, quando Sisti incontrò Musumeci aveva già assunto il nuovo incarico. Egli si spinse oltre le prerogative del suo ruolo, evidentemente perché aveva a cuore che i Servizi indirizzassero le indagini in un determinato modo. Si osservi che, poche settimane dopo, venne realizzata la nota da cui prendeva origine l’operazione poi denominata “terrore sui treni”.
Appare indubbio come la scansione temporale degli eventi sopra descritti tradisca un comportamento di collaborazione del Procuratore di Bologna con i vertici del Sismi, orientato a ostacolare la ricerca della verità, in contrasto con il giuramento prestato dal magistrato di essere fedele alla Repubblica italiana e di adempiere con coscienza i doveri inerenti alle sue funzioni.
Egli, in prossimità della formalizzazione dell’istruttoria, che tra l’altro ritardò fino al termine massimo consentito (all’epoca il termine era di 40 giorni), si prodigò per ufficializzare la presenza dei servizi segreti nell’ambito delle indagini sulla strage del 2 agosto e, addirittura, conferì ad essi nell’ottobre del 1980 una sorta di investitura a svolgere le indagini assolutamente extra ordinem e ciò fece quando ormai era stato trasferito ad un altro incarico.
Tutto ciò, dopo avere intrattenuto relazioni improprie con un ex paracadutista in contatto con ambienti dello spionaggio militare e padre di un estremista di destra, già condannato per il delitto di tentato omicidio, che Sisti concorse a proteggere, pur conoscendone l’identità ed i trascorsi, facendolo trasferire da un carcere ad un altro in modo da rendere più difficile accertare la sua reale identità.
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