Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci di queste della sentenza della Corte d’appello sulla condanna del senatore Tonino D'Alì 'ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.


II 23 settembre 2016 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato dal Giudice dell'udienza preliminare presso il locale Tribunale nei confronti di D'Alì Antonio, imputato del reato di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso contestato come commesso «in Trapani ed altre località del territorio nazionale sino alla data odierna».

La pronunzia di primo grado aveva statuito non doversi procedere per prescrizione per le condotte ante e immediatamente successive al 10 gennaio 1994 e l'assoluzione ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste quanto al segmento di condotta successivo.
La sentenza del Giudice dell'udienza preliminare era stata impugnata sia dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Palermo che dal Procuratore Generale di questa Corte.
L'accusa a carico del D'Alì era quella di avere contribuito al sostegno di Cosa Nostra mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato presso il Ministero dell'interno, avendo ottenuto sostegno elettorale dai primi anni '90 ed avendo intrattenuto, a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con esponenti di spicco dell'associazione, tra i quali Messina Denaro Matteo, Virga Vincenzo, Pace Francesco, Birrittella Antonino e Coppola Tommaso.
Le motivazioni della sentenza di primo grado e quelle della sentenza della Corte d'Appello che l'ha sostanzialmente confermata si fondano su un percorso parzialmente divergente circa la valutazione della prova (la Corte d'Appello ha, ad esempio, ritenuto attendibili le dichiarazioni del Birrittella e della Aula, la prima moglie dell'imputato) ma convergente nel suddividere in due segmenti temporali la condotta contestata come permanente: un primo segmento che termina in epoca immediatamente successiva al 10 gennaio 1994 (quando ci fu il pagamento dell'ultima rata del prezzo del fondo di contrada Zangara), un secondo che riguarda il periodo successivo.

Quanto al primo periodo, così come ha evidenziato Cass. n. 12356/18, che ha annullato la sentenza della Corte d'Appello del 23 settembre 2016, “le due sentenze sono concordi nel ritenere che vi siano elementi sufficienti per sostenere che D'Alì sia stato un concorrente esterno di Cosa Nostra, essendosi prestato all'intestazione fittizia di un terreno ad un prestanome di soggetti mafiosi ed alla restituzione in contanti del prezzo ufficialmente pagato con assegni e, così, avendo fornito un contributo fattivo agli interessi della cosca, che lo aveva poi sostenuto nella competizione elettorale politica del 1994.

Circa il periodo successivo, quantunque fossero emersi il sostegno elettorale nelle elezioni del 2001 e diversi episodi in cui il medesimo è stato contattato per ottenere aiuto da soggetti mafiosi, secondo i giudici dei due gradi di merito, non vi era la prova, di contro, che D'Ali si fosse attivato nell'interesse del sodalizio o che a quest'ultimo avesse giovato, con la conseguente impossibilità di configurare il reato di cui agli artt. 110, 416-bis cod. pen., che presuppone non solo l'attivazione del concorrente esterno nell'interesse del sodalizio, ma anche l'efficienza causale del medesimo intervento rispetto agli interessi della cosca.

In altri termini, poiché il "ritorno" per l'associazione poteva dirsi accertato solo fino al 1994, la permanenza del reato doveva ritenersi cessata a quella data, con conseguente declaratoria di prescrizione. Sul restante periodo si è imposta, nel conforme giudizio dei giudici di merito, l'assoluzione ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste”.

La citata sentenza della Corte d'Appello del 23 settembre 2016 è stata impugnata dalla Pubblica Accusa e la Corte di Cassazione ha ritenuto:
• "manifestamente illogica" la mancata escussione del teste Ingrasciotta e dei testi di polizia giudiziaria sulle attività a riscontro delle dichiarazioni del collaboratore appena citato, in quanto non si era considerato "che le condotte ante e quelle post 1994, nell'ipotesi di accusa portata avanti dalla parte pubblica, costituiscono un tutt'uno, il che impedisce di ritenere irrilevante, per l'invocato overturning, un approfondimento che arricchisca il quadro di cointeressenze illecite, rapporti personali e scambio di favori che ha caratterizzato i rapporti più risalenti di D'Ali con Cosa Nostra, in particolare con riferimento a soggetti ulteriori rispetto a quelli con cui le sentenze di merito hanno dato per accertato che egli avesse interagito. Detto altrimenti, non può escludersi a priori... che l'emersione di rapporti tra D'Alì e personaggi mafiosi diversi da quelli già accertati per la fase ante 1994 possa implicare una revisione circa la natura del rapporto dell'imputato con Cosa Nostra anche nel periodo successivo, evidenziandone una solidità incompatibile con l'interruzione del flusso di utilità verso la cosca, che può costituire un tassello naturalmente non l'unico nella verifica dell'ipotesi accusatoria";
• assolutamente generiche le argomentazioni a sostegno della mancata rinnovazione della prova sulla vicenda della società confiscata a Cosa Nostra, "Calcestruzzi Ericina", mentre "alcuni dati convergenti avrebbero imposto gli approfondimenti istruttori invocati dalla parte pubblica e negati dalla Corte di appello" ("le dichiarazioni di Antonino Birrittella - imputato in procedimento connesso ritenuto credibile dalla Corte di appello - circa gli interessi del boss Francesco Pace nel mercato del calcestruzzo, nonché a proposito della volontà mafiosa di far acquistare la "Calcestruzzi Ericina" a Vincenzo Mannina e dei contatti, a tal scopo, con il geometra Nasca, il funzionario dell'Agenzia del Demanio di Trapani che si occupava delle aziende sequestrate, oltre che le informazioni del dichiarante riguardo l'ostilità che Cosa Nostra nutriva per Sodano, "reo" di proteggere l'impresa confiscata, e delle manovre della cosca per farlo trasferire. In secondo luogo, si richiamano le dichiarazioni del Prefetto Sodano, che ha raccontato del rimprovero ricevuto dal D'Alì circa la predetta protezione, dell'ira manifestata dal Senatore per non essere stato invitato ad una riunione relativa alle aziende sequestrate alla quale non aveva titolo per partecipare e della prospettazione a Sodano di poter decidere di trasferimenti di prefetti e questori. In terzo luogo, vanno ricordate le dichiarazioni, pure ritenute affidabili dalla Corte di appello nonostante talune incongruenze, degli amministratori giudiziari della "Calcestruzzi Ericina" Luigi Miserendino e Carmelo Castelli, circa le informazioni ricevute dal geometra Nasca a proposito dell'intervento di D'Alì rispetto alla "Calcestruzzi Ericina");
• carente la motivazione sul perché non fosse assolutamente necessaria un'attività istruttoria che chiarisse i rapporti con l'associazione mafiosa diBilleci Tommaso gestore della "Loria-Spedalieri”, società che ad un certo punto aveva cessato di rifornirsi dalla "Calcestruzzi Ericina"-"ed un'acquisizione documentale che smentisse per tabulas l'estraneità della "Calcestruzzi Italcementi group" - preferita (dalBilleci) alla "Calcestruzzi Ericina" - al contesto mafioso”, dato che proprio da tale estraneità la Corte di Appello di merito aveva desunto un elemento di conferma alla tesi della matrice solo economica del cambio di fornitore.
Per quanto riguarda il merito, la Corte di Cassazione, con la sentenza di annullamento con rinvio in questa sede, ha innanzitutto operato una premessa in diritto al fine di precisare l'attuale stato della giurisprudenza in materia di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso e di rilevanza del sostegno elettorale della cosca al politico di riferimento. […].

Operato questo inquadramento generale, la Corte di Cassazione ha osservato che la sentenza della Corte di appello presenta delle cadute logiche "fin dalla suddivisione netta in due periodi; vizio che è emerso sia con riferimento alla valutazione probatoria dei molteplici accadimenti addotti dalla pubblica accusa quali indici di attività rilevante ex arit. 110, 416-bis cod. pen. collocata dopo il 10 gennaio 1994 ... sia quanto alla proiezione logica dell'accertamento di concorsualità mafiosa prima di questa data sugli accadimenti successivi"; in particolare, i Giudici di legittimità hanno criticato la
sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui non aveva tenuto in alcuna considerazione nella valutazione delle vicende successive al 10 gennaio 1994, quanto si era accertato per il periodo precedente, laddove i Giudici di entrambi i gradi di merito avevano ritenuto assodato "che D'Alì fosse stato un concorrente esterno di Cosa Nostra vicino a Matteo Messina Denaro e che avesse svolto attività a beneficio del massimo esponente di Cosa Nostra del tempo, Salvatore Riina, nel contempo godendo della fiducia della consorteria. Tale attività - come già precisato - era consistita nell'intestazione fittizia di un terreno in realtà trasferito molto tempo prima ad un esponente di primo piano di Cosa Nostra (Alfonso Passanante), che non poteva figurare quale intestatario per timore di confische; il D'Ali si era prestato, prima, a mantenere la titolarità formale del cespite nonostante l'avvenuto trasferimento a Passanante e l'incasso sotto banco del prezzo e, poi, anni dopo rispetto al trasferimento di fatto, alla formalizzazione della compravendita nei riguardi di un prestanome, ricevendo il pagamento ufficiale di parte del prezzo (£ 200.000.000, risultando quietanzata la prima tranche da £ 100.000.000) in assegni e restituendolo in contanti, con un'utilità della co. sa anche in termini di riciclaggio di una cospicua somma di denaro”. Ebbene, continua a Corte di Cassazione. “rispetto alla gravità di tali condotte, non appare logico operare una cesura netta tra i due periodi e non attribuire alcun rilievo postumo alla vicinanza a personaggi di primissimo piano nel panorama mafioso ed all'asservimento ad operazioni immobiliari ed economiche funzionali agli interessi della cosca che possono dirsi accertati, sterilizzando tali dati quanto all'interpretazione di una serie di vicende successive, pure di per se eloquenti, e peraltro leggendo probatoriamente queste ultime in maniera separata le une dalle altre”.
Sempre secondo la Corte di Cassazione, altro grave vulnus logico della sentenza annullata era costituito dalla "immotivata svalutazione" del "sostegno elettorale di Cosa Nostra a D'Alì", laddove "non prende una posizione netta sulla rilevanza al supporto elettorale fornito da Cosa Nostra al D'Ali non solo nel 1994, quando la vicenda di contrada Zangara era molto vicina nel tempo, ma anche a quello ricevuto nel 2001. La Corte non ha spiegato, infatti, se ed in che termini il rinnovato appoggio del 2001 sia stato ritenuto dimostrato e le ragioni per cui esso non avesse un significato contra reo sia quale concretizzazione di un accordo politico mafioso a matrice utilitaristica rilevante ex se (sulla scorta della giurisprudenza sopra citata, che attribuisce una rilevanza intrinseca all'accordo elettorale ed agli impegni reciprocamente assunti- quale comportamento rilevante ex artt. 110, 416-bis, cod. pen.), sia in termini di dimostrazione della persistente vicinanza dell'imputato alla cosca -a dispetto degli anni trascorsi dall'ultimo sostegno- e dell'utilità di quest'ultima ad appoggiarlo nuovamente”. Infatti, la Corte di Cassazione ha rimarcato come, quanto al 1994, era stata la stessa sentenza annullata a sottolineare che le concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia avevano confermato che era stata «la piena disponibilità di D'Ali nei confronti dei massimi esponenti di Cosa Nostra trapanese, che gli consentì, peraltro, di ottenere dagli stessi l'appoggio elettorale in occasione della consultazioni del 1994, allorquando lo stesso venne eletto Senatore della Repubblica» e come MESSINA Francesco avesse parlato a PROVENZANO Bernardo del D'Alì quale «soggetto di massima fiducia», mentre invece nella sentenza della Corte d'Appello non vi era alcuna argomentazione che valutasse “i ripetuti momenti di vicinanza del D'Alì ad esponenti di Cosa Nostra nella fase successiva al 1994 collocandoli nell'ottica della continuità testimoniata dal rinnovato appoggio elettorale del 2001, non solo per le elezioni politiche, ma anche per quelle regionali che vedevano appoggiato dai mafiosi il candidato dell'imputato, onorevole Giuseppe Maurici; sostegno elettorale tanto sentito come utile per Cosa Nostra da spendersi per una mediazione tra D'Ali e Nino Croce - a capo di due componenti di Forza Italia tra le quali si era creat una frattura - nel timore che un contrasto avrebbe potuto danneggiare gli interessi dell'associazione mafiosa”.
In definitiva, secondo la Corte di Cassazione, “und considerazione unitaria ed organica della posizione dell'imputato rispetto alla contestazione mossagli avrebbe reso necessario che ciascuno degli episodi emersi fosse interpretato contestualizzandolo in un periodo in cui D'Alì stava godendo dei risultati del supporto elettorale di Cosa Nostra del 1994 e - almeno secondo le dichiarazioni di Birrittella, non specificamente svalutate sul punto, cui gli altri eventi avrebbero potuto fungere da riscontro si stava "guadagnando" il successivo, poi ottenuto perché egli «garantiva un diretto appoggio nelle attività di loro interesse»".
In altri termini, secondo i giudici di legittimità l'errore metodologico in cui sono incorsi i Giudici di appello consiste nel fatto che, "ritenuti accertati diversi episodi eloquenti di una vicinanza alla cosca”, gli episodi medesimi sono stati “ad uno ad uno neutralizzati quali indicatori di concorso eventuale nel reato associativo, isolandoli gli uni dagli altri e privandoli di una lettura d'insieme potenzialmente rilevante ex art. 192, commi 2 e 3, cod. proc. pen.".
Indicativa in tal senso è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione la questione "del telegramma del figlio di Virga inviato tra il Natale ed il Capodanno 1998, su cui hanno riferito Maria Antonietta Aula (prima moglie dell'imputato) e Treppiedi, dimostrativa di una notevole vicinanza tra i due e di una recriminazione del soggetto incarcerato («Tu sei là che ti diverti...ed io qua rinchiuso»), rispetto a chi aveva la colpa di essere rimasto in libertà, cui la sentenza non ha fornito una spiegazione logica ad onta dell'affermazione - che si legge nella motivazione censurata - che lo «specifico episodio occorso in epoca successiva al 1994» era «comprovante la sussistenza di rapporti tra il predetto ed esponenti di spicco dell'associazione mafiosa»".

Sempre in tale prospettiva, la Corte di Cassazione ha colto "due crepe insuperabili” nel costrutto argomentativo della sentenza impugnata, dopo che la stessa, con un'accurata operazione critica, aveva preso le distanze dalla pronunzia di primo grado che aveva svalutato il contributo del chiamante in correità Birrittella Antonino, "pienamente riabilitato dalla Corte di appello palermitana sulla scorta di un ragionamento particolarmente dettagliato":
la prima “crepa” concerne il rimprovero del D'Alì “al Prefetto Fulvio Sodano soggetto inviso ai mafiosi, come emerge dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di Birrittella, e accusatore di D'Ali - di fiorire la società confiscata a Virga, che la Corte di appello attribuisce, sia pure esprimendosi in termini di dubbio, alla possibilità che l'imputato avesse a cuore la libera concorrenza. Si tratta di un'affermazione di cui non si coglie la logica, tenuto conto che non rientra nei compiti di un Sottosegretario garantire la parità tra le imprese del territorio, che ciò veniva fatto a discapito di un'impresa che lo Stato avrebbe dovuto avere tutto l'interesse a proteggere, impresa che, contemporaneamente, veniva boicottata da chi vi si forniva e che era oggetto di interessi della mafia, concretamente interessata al suo riacquisto. Come sopra anticipato, il giudizio di illogicità è confortato dalla circostanza, affermata dalla stessa sentenza impugnata, che D'Ali aveva un passato, reputato certo, da concorrente esterno e che era stato indicato come soggetto politico di riferimento di Cosa Nostra, il che contribuisce a rendere scarsamente razionale l'opzione interpretativa del
comportamento dell'imputato individuata dalla Corte territoriale";
la seconda "crepa" - o meglio, addirittura "un sostanziale vuoto motivazionale” - (“che pure si ripercuote sulla tenuta logica della decisione, quanto alla neutralizzazione di plurimi dati, offerti dalla pubblica accusa circa i rapporti D'Alì-Cosa Nostra-Sodano-"Calcestruzzi Ericina"") riguarda la "vicenda Sodano”. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, la sentenza annullata aveva accertato che: il D'Alì aveva rivolto al Sodano un monito circa la sua capacità di influenzare anche il trasferimento di un Prefetto; l'imputato aveva rimproverato il Sodano per il suo sostegno alla "Calcestruzzi Ericina" a discapito delle altre aziende del territorio: il Pace ed il Birrittella consideravano il Sodano un ostacolo alla loro azione criminale, auspicando il trasferimento del Prefetto; il Birrittella aveva saputo dal Pace che lo spostamento di Sodano ad Agrigento era stato manovrato dal mafioso attraverso un personaggio in grado di determinarlo.
Ebbene, la combinazione di queste acquisizioni probatorie appare, sempre secondo la Corte di Cassazione, “in astratto dotata di un'oggettiva valenza contra reo, evidenziando un atteggiamento non solo di per sé incompatibile con l'osservanza dei doveri istituzionali di un Senatore e Sottosegretario, ma altresì sintonico con la vicinanza ed il "debito" che gravava sull'imputato nei confronti della consorteria che l'aveva sostenuto”.
Orbene, in relazione ad entrambe le suddette "crepe", "l'approccio settoriale prescelto dalla Corte territoriale non ha permesso di sceverare adeguatamente e logicamente nel suo complesso” la reale portata degli accadimenti.
Infine, poco logico è stato ritenuto - sempre dalla Corte di Cassazione - il vaglio degli elementi concernenti l'iter burocratico del trasferimento del Prefetto Sodano da Trapani ad Agrigento: Tale valutazione, infatti, parte con lo sminuire grandemente l'informazione fornita da Salvatore Cuffaro a Sodano e rievocata da quest'ultimo (sulla cui attendibilità né il Giudice di primo grado né la Corte di appello palermitana hanno manifestato riserve) circa la riconducibilità a D'Ali dell'amotio, per poi valorizzare la smentita di Cuffaro, non chiarendo le ragioni per cui quest'ultima sia ritenuta affidabile nonostante la richiamata condanna del dichiarante per favoreggiamento aggravato ex art. 7 L. 203/91 ed il carattere della narrazione, ritenuta in sentenza «evasiva e poco convincente». Ugualmente carente è poi la struttura logica della motivazione quanto alle dichiarazioni del Ministro dell'interno dell'epoca Giuseppe Pisanu, rispetto alle quali la Corte territoriale ha ammesso che la parziale ma significativa contraddizione del predetto con il capo di Gabinetto Mosca circa la matrice del trasferimento (politica o amministrativa) di Sodano non fosse stata superata, nel contempo però omettendo di valutare criticamente l'attendibilità del dichiarante che, oltre ad essere stato contraddetto dal Mosca, era in una posizione tale per cui, riferendo circa le ingerenze del suo sottosegretario D'Ali, avrebbe ammesso di essersi prestato ad un trasferimento strumentale agli interessi di un politico accusato di concorso esterno in associazione mafiosa".
Il complesso delle suddette considerazioni in fatto ed in diritto ha imposto l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio, "nel quale si terrà conto di quanto sopra esposto ed a cui è rimessa, nell'eventualità di nuova delimitazione temporale della condotta (contestata «fino alla data odierna»), la valutazione delle possibili conseguenze in tema di prescrizione".
Nel corso del giudizio di rinvio, proprio alla luce del percorso argomentativo della Corte di Cassazione, è stata svolta l'attività istruttoria che la sentenza di rinvio prospettava come necessaria (audizione del Nasca, approfondimento della vicenda relativa alla "Calcestruzzi Ericina”, con escussione degli amministratori giudiziari e di altri soggetti informati sulle vicende della Calcestruzzi Italcementi e dei rapporti tra quest'ultima società e Cosa Nostra), sono stati -inoltre escussi i protagonisti della "vicenda Sodano" (il Ministro Pisanu, il dott. Mosca, Cuffaro Salvatore e la vedova dello stesso Prefetto Sodano; non è stato possibile escutere quest'ultimo in quanto nelle more deceduto), alcuni soggetti la cui attendibilità è stata esclusa dalla sentenza di primo grado (il collaboratore di giustizia Birrittella Antonino, Aula Maria Antonietta, Treppiedi Antonino il collaboratore di giustizia Campanella Francesco), il Tenente Colonnello Arcidiacono, gli Ufficiali di P.G. Antonio Merola e Giovanni Basile (su un recente incontro tra il D'Alì e Scandariato Girolamo, già destinatario di una sentenza di "patteggiamento" in relazione al reato di cui all'art. 416 bis c.p., e sulla figura di Agate Mariano), nonché i testi indicati dalla Difesa dell'imputato a prova contraria. È stata altresì disposta perizia per procedere alla trascrizione di alcune conversazioni pertinenti al suddetto incontro tra il D'Alì e Scandariato Girolamo, nonché è stata acquisita documentazione offerta dalle parti ed un provvedimento emesso in sede di misure di prevenzione dal Tribunale di Trapani, il 24 giugno 1997. [...].

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