Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


pm: L'ultima domanda, signor Calderone. Che rapporti vi erano tra Gaetano Badalamenti e i cugini Salvo?

Calderone: Intimissimi, intimissimi, intimissimi. I cugini Salvo lo avevano incaricato di potere avere le ossa del suocero, perché i cugini Salvo avevano un problema con eredità e cose, e se non si trovava il morto, c'erano problemi. Ma a parte questo, volevano, volevano, volevano le ossa di Corleo. Ed era incaricato Gaetano Badalamenti.

(...)

Avv. Bongiorno: Signor Calderone, lei ha già parlato dell'episodio relativo al Vice questore Cipolla durante l'esame del Pubblico Ministero. Ora io voglio sapere questo: lei ha parlato anche del fatto che i Salvo riferirono poi a suo fratello, dettero una risposta a suo fratello. Io voglio una precisazione sul punto. I Salvo che cosa riferirono a suo fratello? Che Lima aveva fatto un tentativo e che questo tentativo non era riuscito?

Calderone: No. Riferirono che Lima si era informato, aveva detto … e loro gli risposero, siccome la moglie è una maestra e ha chiesto il trasferimento, facciamo passare le cose in sordina. Anche lui si trasferirà. Questa è la risposta.

Avv. Bongiorno: Senta Calderone, io le contesto che lei invece precedentemente, processo verbale di interrogatorio 27 luglio 1987 innanzi al Tribunale penale di Marsiglia, ha detto così:

io le leggo le sue dichiarazioni:-"Successivamente, mio fratello Giuseppe fu informato dai Salvo che l'Onorevole Lima aveva tentato di fare trasferire Cipolla, ma che non c'era riuscito". Quindi lei in queste dichiarazioni parla di un tentativo non riuscito. Lei conferma queste dichiarazioni?

Calderone: Non le confermo. Può darsi che è un tentativo no non riuscito! Un tentativo che gli dissero che la moglie doveva essere trasferita, e allora meglio lasciare le cose così. No non riuscito.

Presidente: Avvocato, però continui, perché non mi sembra esatta la contestazione.

Avv. Bongiorno: Sì, perché lui dice:-"Per dei motivi che ricordo confusamente". Poi dice:- (...) "Sembra comunque che il Ministro competente dell'epoca avesse detto a Lima di pazientare un po', perché il Dottore Cipolla di lì a poco sarebbe andato via spontaneamente. Forse per dei motivi inerenti il lavoro di sua moglie". (...) È quello che ha detto stamattina. Io quello che voglio sapere è questo. Quale è secondo me la difformità? Che qui lui parla come se avesse parlato con questo Ministro competente e non avesse fatto nessun tentativo perché gli hanno detto:- “Guardi, di qui a poco tanto va via". Invece nel verbale sembra quasi che Lima tenta, non ci riesce e poi si rivolge al Ministro competente. Io voglio sapere se a monte c'è un tentativo. E comunque lui ce lo può chiarire adesso. (...) Allora Calderone, Salvo le riferì di un tentativo non riuscito? Oppure direttamente le disse questa notizia:- "Io nemmeno tento, perché tanto deve essere trasferito"? (...).

Calderone: No, ha detto ... "Mi hanno detto che la moglie che è maestra, deve fare ... ha fatto una domanda di trasferimento. Perciò automaticamente si trasferisce pure lui".

(...)

Avv. Bongiorno: E allora, queste assicurazioni chi le aveva date a Lima? Il Ministro competente così come io le ho letto nel verbale? Questo me lo conferma o no?

Calderone: Glielo aveva dato chi di dovere, non lo so se era il Ministro competente, chi era ... Lui ci disse che doveva parlare con qualcuno. Se era il Ministro, se era ... non lo so.

(...)

avv. Sbacchi: Senta, lei ha detto di avere conosciuto i Salvo, ma non ha detto quando. Ce lo può dire?

Calderone: Mah, intorno ... nel 1975.

avv. Sbacchi: Attorno al 1975 dove?

Calderone: A Cinisi, in casa di Gaetano Badalamenti.

In ordine alla credibilità soggettiva di Antonino Calderone, risultano pienamente condivisibili le valutazioni espresse nella sentenza n.91/90 emessa il 10 dicembre 1990 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo, che di seguito si riportano:

Nella primavera del 1987, nelle more della celebrazione del dibattimento di primo grado, veniva arrestato in Francia Antonino Calderone, il quale aveva successivamente iniziato la sua collaborazione, rivelando tutti i segreti di "cosa nostra" da lui conosciuti. Costui era in realtà fratello di Giuseppe Calderone, il quale era stato capo della "famiglia" di Catania e grosso esponente dell'associazione, tanto da rivestire il ruolo di rappresentante nell'organo regionale (o "interprovinciale", secondo la definizione di Buscetta) di raccordo tra le varie aggregazioni mafiose. Lo stesso era stato ucciso nel 1978 e il suo posto sarebbe stato preso poi da Benedetto Santapaola.

Il collaboratore ha raccontato come fosse stato informato da suo fratello, con il quale spesso era solito recarsi ad incontri tra gli associati, dei vari segreti di "cosa nostra", ottenendo spiegazione dei fatti che si svolgevano dinanzi alla sua attenzione. Dopo la morte del fratello, le informazioni gli erano state prevalentemente fornite dal cugino Salvatore Marchese, che era ottimo amico del Santapaola, ma lui stesso ha precisato che in realtà aveva potuto notare che l'originaria fiducia e simpatia della quale era circondato al tempo in cui era in vita, e al comando, suo fratello, era venuta gradatamente scemando fino a trasformarsi in una specie di diffidenza (significativo il racconto del Calderone sui progressivi approcci che gli altri, fra cui Santapaola, facevano per comprendere il suo livello di affidabilità a seguito della eliminazione del fratello, ovviamente caduto nel quadro della faida locale di "successione").

La corte, che ha acquisito le rivelazioni di questo collaboratore ed ha proceduto, in sede di rinnovazione del dibattimento, alla sua audizione, ha tratto il convincimento della notevole attendibilità delle informazioni fornite. Il Calderone, infatti, non ha in nessun caso mostrato risentimenti di alcun genere contro nessuno; ha raccontato fatti che, in notevole misura, hanno trovato conferma nelle altre risultanze processuali (in alcuni casi ha perfino scoperto alcune delle reticenze di Buscetta, costringendo costui, a contestazione del giudice, a farne ammissione...); non ha quasi mai espresso apprezzamenti soggettivi, se non precisando se e come un certo fatto dipendesse da sue valutazioni personali (...); soprattutto, ha dimostrato una concreta resipiscenza non cercando di sottrarsi alle proprie responsabilità; non ha mai acceduto a retoriche affermazioni di principio cercando di accreditare, come avevano fatto Buscetta e Contorno (tentazione alla quale non aveva resistito Di Cristina, nel suo programma di "lotta" ai "corleonesi" anche tramite i carabinieri), un'immagine di "mafia buona" in contrapposizione alla denunziata crudeltà degli avversari; nè ha cercato di selezionare dati e persone in relazione alla maggiore o minore vicinanza alla sua stessa persona o a quelle che più gli erano state alleate.

Sotto i profili della precisione, della coerenza, della spontaneità e della genuinità, può formularsi un giudizio sicuramente positivo in ordine alle suesposte dichiarazioni di Antonino Calderone, che si fondano su una diretta conoscenza dei fatti ovvero su informazioni comunicategli da persone a lui strettamente legate (come il fratello Giuseppe).

Va altresì rilevata l’esattezza delle indicazioni di luoghi compiute da Antonino Calderone. In particolare, l’on. Attilio Ruffini ha riferito che la sua abitazione e quella di Antonino Salvo erano ubicate nello stesso stabile. Inoltre, l’ing. Francesco Maniglia, nella sua deposizione testimoniale, ha specificato di avere aperto nel 1974 un ufficio a Roma nello stesso stabile (sito in Via Campania n. 31) in cui si trovava lo studio dell’on. Lima, ha evidenziato che entrambi gli appartamenti erano collocati nel primo piano dell’edificio, ha chiarito di avere concesso ai cugini Salvo la possibilità di utilizzare il predetto ufficio per ricevere altre persone senza che costoro dovessero rendergliene nota l’identità, ed ha aggiunto che, quando veniva avvisato preventivamente dai Salvo, assicurava la presenza di un proprio collaboratore nell’appartamento per consentire loro di accedervi.

Si trattava, dunque, di una situazione assolutamente peculiare, che rendeva possibile all’on. Lima di recarsi immediatamente nell’ufficio del Maniglia nei casi in cui fosse richiesta la sua presenza, ed ai Salvo di organizzarvi riunioni il cui oggetto ed i cui partecipanti non venivano portati a conoscenza del titolare dell’appartamento.

Deve pertanto osservarsi che la descrizione delle modalità dell’incontro presso gli uffici del Maniglia (con la precisazione che l’on. Lima era giunto immediatamente dopo l’arrivo dei fratelli Calderone malgrado non fosse stato fissato l’orario dell’appuntamento) presuppone una puntuale conoscenza dei luoghi, e conferma logicamente la partecipazione del collaboratore di giustizia all’episodio da lui menzionato.

La credibilità delle dichiarazioni di Antonino Calderone non è sminuita dalla circostanza che l’ing. Maniglia abbia negato di essere stato presente in occasione dell’incontro svoltosi presso il suo ufficio tra i fratelli Calderone e l’on. Lima. Sul punto, va infatti rilevato che il collaboratore di giustizia non ha affermato con certezza che l’ing. Maniglia si trovasse all’interno dell’appartamento, ed ha prospettato, in alternativa, la possibilità che sia stato Antonino Salvo ad accoglierlo all’ingresso dell’ufficio.

In ordine all’incontro tra Giuseppe Calderone, Antonino Salvo e Carmelo Costanzo, un significativo riscontro alle dichiarazioni del Calderone si trae dalla deposizione del teste Gaetano Chinnici, il quale all’udienza del 24 settembre 1996 – pur negando di avere conosciuto i cugini Salvo - ha riferito di avere accompagnato, su incarico di Carmelo Costanzo, Antonino Calderone all’aeroporto di Catania, dove venne prelevato un individuo. Il teste ha sostenuto di non avere visto quest’ultimo soggetto, aggiungendo però che il medesimo si collocò, insieme ad Antonino Calderone, nel sedile posteriore dell’autovettura guidata dallo stesso Chinnici, fu condotto presso gli uffici del Costanzo, e successivamente fu accompagnato di nuovo all’aeroporto.

Relativamente ai restanti episodi menzionati dal collaboratore di giustizia, non sono stati acquisiti specifici riscontri estrinseci.

La credibilità di Antonino Calderone non può comunque essere sminuita per il fatto che il teste Vittorio De Martino, nella sua deposizione, abbia affermato di non ricordare l’incontro tenutosi, secondo le indicazioni del collaborante, presso l’Hotel Zagarella. Si trattava, infatti, di un episodio non suscettibile di attirare particolarmente l’attenzione del teste, il quale, peraltro, nelle risposte inizialmente fornite all’autorità giudiziaria, ha mostrato vistose carenze mnemoniche su vicende ben più rilevanti, riuscendo a focalizzare solo in seguito i propri ricordi.

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