Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


Dagli elementi di convincimento raccolti emergono altri contatti tra il sen. Andreotti ed il Ciancimino, realizzatisi negli anni 1978 e 1979.

In particolare, nel 1978 si svolse un ulteriore incontro tra il sen. Andreotti ed il Ciancimino, come si evince dal contenuto delle rispettive agende dell’imputato e della sua segretaria, le cui copie sono state acquisite al fascicolo per il dibattimento (doc. n. 21). Precisamente, nell’agenda del 1978 del sen. Andreotti, alla data del 20 settembre, si rinviene l’annotazione: “12 3⁄4 CIANC.”.

Nell’agenda della sua segretaria, sempre in relazione alla data del 20 settembre 1978, si riscontra l’annotazione: “12.45 dott. Ciancimino”. A conclusione della campagna elettorale per le elezioni europee del 1979, il 7 giugno 1979 il sen. Andreotti tenne, presso il cinema Nazionale di Palermo, un discorso di sostegno alla candidatura dell’on. Lima.

Dalla documentazione fotografica acquisita e dalla deposizione resa all’udienza del 20 giugno 1996 dal teste on. Attilio Ruffini (il quale ha riconosciuto diverse persone effigiate nelle fotografie) si evince che al comizio era presente, tra gli altri, Vito Ciancimino. Il Ciancimino si trovava sul palco, vicino al sen. Andreotti, ed esprimeva il proprio consenso al discorso del Presidente del Consiglio sorridendo e plaudendo alle sue parole (v. documento n. 137). In proposito, il giornalista Antonio Calabrò, nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 21 novembre 1996, ha riferito: “la cosa che ci colpì tutti quanti non era tanto il tipo di discorsi perché poi in campagna elettorale i discorsi sono sempre quelli, ci colpì una presenza, che era quella... sul palco, alle spalle di Andreotti, (...) di Vito Ciancimino. Perché ci aveva colpito? Perché il processo di rinnovamento (...) aveva avuto come cardine l'allontanamento di Ciancimino da una serie di responsabilità e di rapporti politici e la corrente che più insistentemente aveva lavorato per la emarginazione di Ciancimino era quella dell'onorevole Lima. Con grande sorpresa, dunque, prendemmo atto che c'era Ciancimino, e leggemmo questo come una sorta di ricomposizione degli equilibri all'interno della D.C.. Volendo dirla molto più malignamente, anche una conseguenza dell'omicidio Reina. (...) Comunque quello che mi colpì moltissimo era la presenza di Ciancimino e mi ricordo che nel pezzo che scrissi questo era l'elemento politico fondamentale. La presenza di Andreotti a Palermo, in appoggio del Lima e la presenza di Ciancimino”.

Il rilevante ruolo politico acquisito dal Ciancimino nel periodo in esame non era sfuggito al Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, il quale – come si desume dalla deposizione testimoniale resa dal fratello on. Sergio Mattarella – alla fine del 1979 aveva deciso di chiedere al Segretario nazionale del partito, on. Zaccagnini, il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana, sia in quanto aveva notato che il partito perdeva i rapporti con gli ambienti migliori del suo retroterra (segnatamente, con il mondo cattolico e con il mondo professionale), sia perché aveva visto “ritornare con forte influenza Ciancimino”, sia perché era convinto che nella posizione dell’on. Lima vi fossero “rapporti con ambienti mafiosi”.

In quel periodo il Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana era dominato dall’on. Lima, il quale, pur non avendo la maggioranza assoluta, disponeva del pieno controllo del partito in virtù dell’intreccio di relazioni con gli altri gruppi. Il segretario Provinciale del partito era il Graffagnini, vicino all’on. Lima.

Piersanti Mattarella aveva potuto assumere una simile decisione in virtù sia del modo in cui aveva esercitato le sue funzioni di Presidente della Regione Siciliana, sia del suo accresciuto “peso” politico a livello nazionale. Si prevedeva che nel Congresso Nazionale del febbraio 1980 avrebbe prevalso, all’interno della Democrazia Cristiana, la Sinistra, vi sarebbe stata un’accentuazione della politica di rinnovamento, e Piersanti Mattarella avrebbe potuto divenire Vice Segretario nazionale del partito (v. la testimonianza dell’on. Sergio Mattarella).

Dalla deposizione del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino si desume, comunque, che nel periodo compreso tra il 1977 e l’inizio del 1980 all’interno del gruppo facente capo al Ciancimino si discusse in ordine alla possibilità di aderire alla corrente “Forze Nuove”, guidata dall’on. Donat Cattin. A questo scopo venne inviata a Roma, per avere un colloquio con il predetto esponente politico, una delegazione composta dal deputato regionale Francesco Paolo Mazzara e dal consigliere provinciale Francesco Abate. Questi ultimi in seguito comunicarono “che Donat Cattin sarebbe stato felice ed era pronto ad inglobare i predetti nella sua corrente purché il Ciancimino non ne facesse parte ufficialmente, perché lo riteneva compromesso, in quanto era venuto fuori il suo nome nella prima commissione indagini sui problemi della mafia”.

Mentre era in corso la discussione relativa al passaggio da una collocazione autonoma all’inserimento in una corrente con rilievo nazionale, il Pennino fu convocato dal “rappresentante” della sua “famiglia”, Giuseppe Di Maggio, il quale gli disse: “sai tu avresti niente in contrario se qualora nella riunione che terrete a casa di Ciancimino, in cui si dovrà decidere l'adesione ad una corrente di aderire alla corrente di Andreotti?”, ad aggiunse: “sarà fatta questa proposta, tu che ne pensi?”. Il Pennino rispose che era d’accordo in quanto era convinto che anche gli altri componenti del gruppo avrebbero accettato questa proposta, perché erano interessati a disporre di un referente nazionale valido e stimato, ed avevano avuto l’impressione – anche sulla base dei colloqui intercorsi in occasione del comizio tenuto dal sen. Andreotti a Palermo in occasione delle elezioni europee del 1979 – che il sen. Andreotti fosse “una persona altamente affidabile e di grande garanzia”.

Il Pennino, per recarsi alla riunione dove avrebbe dovuto essere presa la suddetta decisione, accettò il passaggio offertogli dal Ciancimino, il quale, in questa circostanza, gli disse: “guarda, io farò la proposta di aderire alla corrente Andreotti, tu hai niente in contrario?”. Il Pennino rispose di non avere nulla in contrario, ed il Ciancimino replicò: “perché sai, nel caso in cui dovessimo aderire alla corrente di Donat Cattin io non posso più operare nel partito e non mi sembra giusto, né corretto che io debba essere sempre un capro espiatorio di tutti; mentre nel caso di Andreotti io lo conosco da tanto tempo, io lo conosco perché ho avuto incontro e a suo tempo garantii le mie posizioni nell'amministrazione comunale e provinciale rispetto a LIMA, io posso dire che è una persona seria e che offre maggiori garanzie”. Il Pennino gli espresse il proprio consenso a questa proposta. Nella susseguente riunione, svoltasi all’inizio del 1980, il Ciancimino formulò la proposta di aderire alla corrente Andreottiana, che fu accolta all’unanimità. Conseguentemente, il gruppo facente capo al Ciancimino si inserì nella corrente Andreottiana.

[…] Le predette dichiarazioni del Pennino, intrinsecamente attendibili per la loro precisione e coerenza logica, trovano una puntuale conferma estrinseca per quanto attiene ai rapporti intercorsi tra il gruppo capeggiato dal Ciancimino e la corrente Andreottiana.

Infatti dalla deposizione resa dall’on. Sergio Mattarella all’udienza dell’11 luglio 1996 si evince che in occasione del Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, svoltosi a Roma dal 15 al 20 febbraio 1980, il gruppo facente capo al Ciancimino passò da una posizione di autonoma collaborazione con la corrente Andreottiana ad un formale inserimento nella stessa corrente; in particolare, il Ciancimino partecipò al congresso come delegato del gruppo che faceva riferimento all’on. Lima.

Sul punto, l’on. Sergio Mattarella ha dichiarato quanto segue:

P.M.: Lei poco fa ha fatto cenno a Ciancimino. Lei sa se Vito Ciancimino ha aderito e in caso affermativo per quale periodo alla corrente Andreottiana?

MATTARELLA S.: Ciancimino è stato a lungo fanfaniano, poi si rese autonomo, se non ricordo male questo avvenne quando... intorno alla seconda metà degli anni '70, quando Gioia passò in minoranza poi nel partito con un gruppo autonomo che aveva con quello di Lima un rapporto di collaborazione. In un primo momento io ho detto qualche volta un rapporto come federato ma era un gruppo autonomo. Si collocò formalmente con il gruppo di Lima per il Congresso Nazionale dell'80 in cui partecipò come delegato della corrente del gruppo di Lima, ma parleremo della corrente Andreottiana. L’on. Mattarella ha specificato che nel congresso del 1980 la corrente Andreottiana e la sinistra rimasero in minoranza, mentre prevalse uno schieramento formato dalle corrente dorotea, dalla corrente fanfaniana, dai centristi e dal gruppo facente capo al sen. Donat Cattin; le componenti di questo schieramento sottoscrissero il “Preambolo” che poneva una preclusione a qualsiasi rapporto con il Partito Comunista Italiano.

L’intesa del Ciancimino con la corrente Andreottiana si interruppe poco tempo dopo. In proposito, il collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino ha precisato che intorno alla fine del 1981, il Ciancimino, nel corso di una riunione organizzata presso la sua villa sita a Mondello, comunicò di avere deciso di interrompere i rapporti con la corrente Andreottiana e con l’on. Lima, e di ritornare in una posizione di autonomia.

Il Pennino espresse il proprio dissenso da questa decisione prima a Giuseppe Di Maggio e poi a Michele Greco. A seguito del colloquio con Michele Greco, il Pennino venne condotto da Vincenzo Savoca in un magazzino sito in territorio di Bagheria, dove incontrò il noto boss mafioso corleonese Bernardo Provenzano, il quale gli intimò di restare con il Ciancimino e di non fomentare alcuna ribellione all’interno del gruppo facente capo a quest’ultimo.

[…] L’avvenuto distacco del Ciancimino dalla corrente Andreottiana trova puntuale riscontro nella deposizione resa all’udienza dell’11 luglio 1996 dall’on. Sergio Mattarella, il quale ha riferito che nel Congresso Nazionale del 1982 della Democrazia Cristiana il Ciancimino appoggiò, con i propri delegati, la lista capeggiata dall’on. Mazzotta.

Questa separazione dalla corrente Andreottiana aveva fatto seguito ad un periodo di forti contrasti tra il Ciancimino e l’on. Lima, i quali, per tentare di superare i loro dissidi, si erano rivolti ad esponenti mafiosi, come si evince dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Francesco Di Carlo.

Nella Sezione II del presente capitolo si è evidenziato che, secondo quanto ha riferito il primo collaborante, nell’estate del 1980 l’on. Lima, incontrando a Roma il Buscetta, si lamentò dei problemi creati dal Ciancimino e delle eccessive pretese di costui, allo scopo di fare comprendere al suo interlocutore “che i Corleonesi gli davano molto fastidio (...), che non lo lasciavano vivere e che questo avveniva attraverso Ciancimino”. Dopo l’incontro, Antonino Salvo spiegò al Buscetta: “i Corleonesi fanno la vita impossibile a Lima, attraverso Ciancimino, perché Ciancimino è indomabile ed è appoggiato incondizionatamente dei Corleonesi”. L’on. Lima e Antonino Salvo volevano, quindi, avvalersi dell’aiuto del Buscetta nella gestione dei rapporti con i “corleonesi”.

Si è già avuto modo di osservare come il contenuto dei predetti colloqui dimostri inequivocabilmente l’inestricabile intreccio venutosi a creare nelle relazioni tra esponenti politici e mafiosi per effetto del rapporto di stabile collaborazione rispettivamente instaurato dal Ciancimino con lo schieramento “corleonese” e dal Lima con lo schieramento contrapposto.

Nella Sezione I del presente capitolo si è rilevato che – secondo le dichiarazioni del Di Carlo - in una riunione tenutasi intorno al Natale del 1979 o del 1980, Antonino Salvo, in presenza di Stefano Bontate, manifestò al Di Carlo il convincimento che sarebbe stata opportuna un’iniziativa di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano diretta a limitare l’influenza di Vito Ciancimino, evidenziò che i rapporti tra quest’ultimo e Salvo Lima erano spesso assai problematici, ed aggiunse: “Ciancimino è una palla al piede per noi, è mal visto sia in politica, nell'ambiente politico, non ha più un elettorato. Noi siamo all'altezza con strade dirette a Roma con qualsiasi corrente”, e specificò: “abbiamo le strade di arrivare a Roma di manipolare anche la politica a Roma e ancora (...) ci andiamo a tenere un piccolo assessore, un piccolo consigliere comunale, che poi era ex, e che poi è mal visto sia pubblicamente (...) come opinione pubblica e sia dentro la politica palermitana”. Il Di Carlo suggerì ad Antonino Salvo di desistere da simili propositi. Nella stessa occasione, Antonino Salvo riferì al Di Carlo che in precedenza i “corleonesi” tramite i Greco gli avevano chiesto di adoperarsi perché il Ciancimino fosse ricevuto dall’on. Andreotti così da recuperare la propria immagine e da inserirsi nella corrente Andreottiana. Antonino Salvo aveva promesso che si sarebbe recato, insieme all’on. Lima, ad incontrare l’on. Andreotti per cercare di conseguire il risultato richiesto.

In seguito il Di Carlo apprese da Stefano Bontate, da Salvatore Greco e da Antonino Salvo che l'on. Andreotti aveva rifiutato di ricevere il Ciancimino ed aveva sconsigliato un avvicinamento di quest’ultimo alla sua corrente.

Il Di Carlo ha aggiunto che in epoca successiva al 2 febbraio 1980 si recò, insieme ad Antonio Ferro e a Carmelo Colletti, presso l’abitazione di Antonino Salvo, sita a Palermo in Via Ariosto n. 12. In questa circostanza Antonino Salvo chiese nuovamente al Di Carlo di esercitare pressioni sul Provenzano e sul Riina per indurli a convincere il Ciancimino a non provocare le situazioni che venivano a crearsi costantemente nella politica palermitana.

La circostanza che il Ciancimino si avvalesse dell’intervento dei vertici dello schieramento corleonese di "Cosa Nostra" per appianare i propri contrasti con l’on. Lima è stata affermata anche da Giovanni Brusca nelle dichiarazioni rese all’udienza del 29 luglio 1997 (già menzionate nella Sezione II del presente capitolo).

Assai singolare risulta la successiva evoluzione dei rapporti tra il Ciancimino e la corrente Andreottiana.

In occasione del Congresso Regionale di Agrigento della Democrazia Cristiana, svoltosi nel 1983, il Segretario Nazionale del partito, on. De Mita, espresse chiaramente la necessità di allontanare il Ciancimino.

In proposito, il teste on. Giuseppe Campione (il quale fu eletto segretario regionale della Democrazia Cristiana proprio nel Congresso di Agrigento), escusso all’udienza del 17 luglio 1996, ha dichiarato che l’on. De Mita manifestò l’esigenza che il Ciancimino non potesse più trovare spazio all’interno del partito in Sicilia. In prossimità del Congresso di Agrigento, Sergio Mattarella pose la condizione che venissero presentate liste separate, invece di una lista unica. Questa condizione fu accettata dall’on. Gullotti. L’on. Lima, preoccupato per le pressioni che il Ciancimino avrebbe esercitato su di lui per essere inserito nella sua lista, cercò invano di ottenere un rinvio del congresso. Inoltre, l’on. Lima si adoperò perché venisse ridotto il quorum previsto per l’elezione dei rappresentanti; se ciò fosse avvenuto, il Ciancimino avrebbe potuto ottenere l’elezione di persone inserite in una lista da lui presentata.

[…] Dalle precisazioni fornite dall’on. Mattarella si desume dunque che, per effetto della regola secondo cui non potevano entrare negli organi collegiali del partito le minoranze che non raggiungessero la “soglia di sbarramento” del 10% dei voti in sede congressuale, il gruppo facente capo al Ciancimino (il quale aveva una cospicua presenza a Palermo, ma era assente nelle altre province siciliane) era destinato a restare escluso dal Comitato Regionale della Democrazia Cristiana. Neppure l’on. Lima, al quale si indirizzavano le richieste del Ciancimino, intendeva includerlo nella sua lista.

Nelle riunioni preliminari venne quindi avanzata dall’on. Gullotti, ed appoggiata dall’on. Lima, la proposta di formare una lista unitaria, nella quale sarebbero state ricomprese tutte le correnti; ciò avrebbe consentito al Ciancimino di essere rappresentato nel Comitato Regionale.

Questa operazione, però, non fu portata a termine a causa dell’opposizione dello stesso Mattarella, cui si unì poi l’on. Mannino. Ogni corrente quindi presentò una propria lista, ed il gruppo facente capo al Ciancimino, non avendo raggiunto il quorum del 10%, fu escluso dal Comitato Regionale del partito.

In questa circostanza l’on. Lima non voleva confondersi con il Ciancimino inserendolo nella propria lista, ma non voleva neppure che il Ciancimino restasse escluso dal Comitato Regionale della Democrazia Cristiana (come, invece, avvenne per effetto della decisione di non presentare una lista unitaria).

Nel congresso regionale di Agrigento il Ciancimino riuscì, comunque, a fare eleggere alcuni componenti del suo gruppo come delegati al Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana.

In proposito, l’on. D’Acquisto ha chiarito che nel congresso di Agrigento “mentre per accedere al comitato regionale occorreva un quorum e quindi gli esponenti della corrente cianciminiana furono esclusi, non era necessario il quorum per eleggere i delegati al congresso nazionale. Quindi (...) la corrente di Ciancimino aveva voti sufficienti non per eleggere (...) i componenti del comitato regionale, ma aveva voti sufficienti per potere eleggere alcuni delegati al congresso nazionale. E ne furono eletti infatti in quella occasione o due o tre (...)”.

[…] Dalle suesposte affermazioni del Pennino si desume, quindi, che nel congresso di Agrigento vennero eletti, tra i delegati al congresso nazionale, tre componenti del gruppo capeggiato dal Ciancimino, i quali, per volontà di quest’ultimo, espressero il loro voto a favore della corrente Andreottiana.

Quest’ultima indicazione è coerente con le risultanze dell’esame cui il sen. Andreotti è stato sottoposto davanti alla Corte di Assise di Perugia nel processo relativo all’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli.

Il sen. Andreotti, infatti, ha dichiarato che, in occasione del congresso di Agrigento della Democrazia Cristiana, ricevette una breve visita di alcuni dirigenti siciliani del partito, i quali gli presentarono il Ciancimino. Essendosi rivelata impossibile la formazione di una lista unica, il Ciancimino era rimasto privo del quorum che gli avrebbe consentito di ottenere una rappresentanza congressuale. L’on. Lima, l’on. D’Acquisto ed il Ciancimino, nel corso dell’incontro con il sen. Andreotti, gli comunicarono di avere pattuito una specie di “accordo tattico” per il congresso (una “specie di accordo preelettorale locale”). Il sen. Andreotti disse loro: “benissimo, auguri”.

In questa circostanza il Ciancimino, essendosi unito occasionalmente al gruppo capeggiato dall’on. Lima, aveva chiesto di poterlo comunicare personalmente anche al sen. Andreotti.

[…] Dall’esame delle dichiarazioni del sen. Andreotti si evince che il suo ricordo del suddetto incontro con il Ciancimino si riconnette ad una situazione (la mancata presentazione di una lista unica, e la conseguente impossibilità, per il Ciancimino, di raggiungere il quorum che gli avrebbe consentito di ottenere una rappresentanza congressuale) sicuramente riferibile al congresso di Agrigento della Democrazia Cristiana, svoltosi nel 1983.

Deve dunque ritenersi – nonostante la presenza di alcune incertezze mnemoniche nelle ulteriori affermazioni dell’imputato - che l’incontro menzionato dal sen. Andreotti abbia avuto ad oggetto proprio un “accordo tattico” concluso tra il Ciancimino e l’on. Lima in vista del congresso di Agrigento.

Un simile accordo - essendo intervenuto in una situazione nella quale si erano rivelati impossibili sia la presentazione di una lista unica, sia il raggiungimento, da parte del Ciancimino, del quorum occorrente per l’elezione di rappresentanti del suo gruppo – non poteva che avere ad oggetto la confluenza verso la corrente Andreottiana dei voti congressuali di cui il Ciancimino poteva disporre.

Anche in questo caso, il sen. Andreotti prestò il proprio assenso ad una intesa intervenuta tra il Ciancimino e l’on. Lima, e finalizzata ad una – sia pure episodica - collaborazione sul piano politico.

[…] Il D’Acquisto ha, dunque, errato nel sostenere che nel 1983 si sia riaperta in maniera irreversibile la frattura tra il Ciancimino e l’on. Lima, iniziata nel 1970 e ricompostasi nel 1976.

Del resto, se proprio nel Congresso di Agrigento si fosse irreversibilmente consumata la frattura con l’on. Lima, non si comprenderebbe il significato dell’incontro del Ciancimino con il sen. Andreotti, menzionato da quest’ultimo nell’esame dibattimentale davanti alla Corte di Assise di Perugia.

L’imprecisione del ricordo che l’on. D’Acquisto ha mostrato di conservare in ordine a taluni aspetti di essenziale rilievo inerenti alla valenza politica del congresso di Agrigento, conseguentemente, impone di attribuire sicura efficacia dimostrativa soltanto a quelle parti della sua deposizione che trovano conferma in specifiche dichiarazioni rese da altri soggetti che hanno serbato una puntuale memoria della vicenda (essenzialmente, il mancato raggiungimento, da parte del Ciancimino, del quorum necessario per l’elezione di componenti del Comitato Regionale; la richiesta rivolta dal Ciancimino all’on. Lima per la formazione di una lista comune; la disponibilità del Lima ad accettare la presentazione di una lista unitaria comprensiva di tutte le correnti, ma non ad inserire il gruppo del Ciancimino nella lista della corrente Andreottiana; l’esclusione del gruppo facente capo al Ciancimino dal Comitato Regionale; l’elezione di alcuni delegati vicini al Ciancimino per il Congresso Nazionale).

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