Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Il primo processo, come si è detto, si concluse con una serie di assoluzioni degli imputati Tuti, Franci e Malentacchi, appartenenti al gruppo neofascista toscano Fronte Nazionale Rivoluzionario.

Il processo si aggrovigliò intorno al nodo della testimonianza di tale Claudia Aiello, agente del SID, che da una cabina telefonica sembrava avesse preannunciato la strage qualche ora prima che avvenisse.

Il SID tentò in tutti i modi di impedire questa testimonianza e alla fine l’Aiello fu condannata per falsa testimonianza per non avere spiegato ai giudici a chi avesse telefonato e per quale motivo. Il processo poi si arenò di fronte a testimonianze mancate (D’Alessandro) e a testimonianze considerate inattendibili (Fianchini). Per i dettagli rinviamo all’accurata ricostruzione che ne ha fatto - sulla base dello stesso materiale istruttorio a disposizione di questa Corte - la sentenza Cavallini che propone alla fine un’interessante tesi sui depistaggi verificatisi nel processo al precipuo scopo di occultare la verità nella direzione della P2 e di Gelli.

Su tale responsabilità rimane scolpito il giudizio della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 che nella sua relazione (in atti) scrisse: «Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell’analisi che ci si appresta a svolgere, si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale».

Come si è già accennato, la seconda istruttoria per l’attentato al treno Italicus è stata svolta in stretto collegamento dalle a.g. di Bologna, Firenze e Brescia. Firenze procedeva per una serie di attentati avvenuti in Toscana, fra i quali la mancata strage di Vaiano. Nel 1987 furono rinviati a giudizio Augusto Cauchi, Andrea Brogi, Fabrizio Zani e Alessandro Danieletti, per quell’attentato, banda armata e per altri reati. Anche Licio Gelli fu rinviato a giudizio per il reato di banda armata nella qualità di sovventore della banda.

Per l’attentato di Silvi Marini, a seguito dello stralcio operato da Bologna, erano stati rinviati a giudizio Giuseppe Ortenzi e Valerio Viccei. Quest’ultimo da collaboratore qual era stato si trovò a doversi difendere dalle accuse della moglie, Maria Noemi Bambini e soprattutto da quella di Ivano Bongiovanni, autore di una torbida manovra di depistaggio, sventata al termine dell’indagine con il rinvio a giudizio per calunnia del medesimo.

Osserva il giudice come tutti i processi scaturiti dalle prime indagini avessero avuto un esito deludente per il depotenziamento delle dichiarazioni dei collaboratori provenienti dall’area della destra stragista (Viccei, Brogi, Affatigato, Danieletti). La stessa indagine bis risentiva dell’azione depistante del Bongiovanni. Il giudice ripercorre la vicenda scaturita dalle accuse di Bongiovanni a Viccei, a lzzo e ad altri di essere dei calunniatori e di averlo indotto a testimoniare il falso. Nella sentenza si sottolinea il ruolo di Bongiovanni nell’intorbidare le risultanze di ben quattro istruttorie, compresa quella per l’Italicus.

Scrive il magistrato che a partire dalla metà degli anni Ottanta i processi per le stragi avevano ricevuto un forte impulso per l’inizio della collaborazione con la giustizia di alcuni detenuti protagonisti delle vicende sulle quali si indagava. Ne abbiamo avuto riscontro in questo processo con la produzione di verbali ed anche a seguito di testimonianze confermative (Aleandri, Calori, Sordi, Izzo, Napoli, ecc.).

Nel carcere di Paliano ove erano detenuti un certo numero di tali collaboratori venne inserito nel giugno del 1985 tale Ivano Bongiovanni, simpatizzante per la destra e amico del Viccei che vi venne a sua volta collocato. Il Bongiovanni aveva iniziato a collaborare, rendendo dichiarazioni utili alle indagini.

Al termine delle dichiarazioni accusatorie, Bongiovanni mutò atteggiamento accusando altri collaboratori, Izzo, Furiozzi, Calore Viccei, di diversi reati e soprattutto di calunnia per averlo indotto a rendere false dichiarazioni, concordando i rispettivi contributi collaborativi. Si trattava di accuse destituite di fondamento, ma che minarono la credibilità dei collaboratori di destra nei processi, benché fossero stati poi tutti assolti dalle accuse mosse dal Bongiovanni, che a sua volta venne progressivamente a screditarsi nel corso, non sapendo indicare a sua volta fonti attendibili e racconti coerenti del suo agire.

Bongiovanni rese dichiarazioni inquinanti sia a Brescia che a Bologna e altrove.

L’ipotesi che fosse manovrato era plausibile, ma non si trovarono conferme. Incriminato per calunnia, ammise di avere accusato falsamente Viccei e gli altri e confermò la verità delle prime dichiarazioni. Tardi, evidentemente.

Le ragioni del suo agire, legate ai rapporti con i compagni di prigionia da cui si era sentito abbandonato, non convinsero i magistrati che dovettero prendere atto del ruolo di depistatore.

Fu un intervento devastante in una fase delicatissima dei processi per strage, in un momento in cui i collaboratori di destra avevano offerto un contributo preziosissimo alla ricostruzione dell’intera strategia stragista. Logico ritenere che sia stato preordinatamente gestito proprio a questo scopo. È un dato di fatto che era stato in contatto, per ragioni di natura criminale, con la Banda della Magliana, ne aveva frequentato i capi.

Secondo la sentenza il collegamento fra Bongiovanni e la Banda della Magliana era di estrema importanza, per comprendere le reali motivazioni della sua attività, tesa a screditare le indagini, in quanto la Banda era stata il serbatoio degli uomini impiegati per alcune fra le più torbide attività di depistaggio. Bongiovanni veniva quindi rinviato a giudizio per calunnia.

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