Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza della Corte d’appello sulla condanna dell’ex senatore Tonino D’Alì, ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa


D’altronde, che il D’Alì avesse stretti rapporti con Cosa Nostra e che in Cosa Nostra egli fosse notoriamente considerato politico a disposizione della mafia trapanese trova conferma nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Campanella Tommaso (certamente attendibile e credibile sia per il suo inserimento in Cosa Nostra, sia per i suoi stretti rapporti con Mandalà Nicola – capomafia di Villabate, alle porte di Palermo – sia per la continenza delle sue dichiarazioni – laddove ha riferito di aver chiesto un favore al D’Alì precisando però che verosimilmente costui non sapeva del suo, sempre del Campanella, ruolo in Cosa Nostra), il quale ha sostenuto di aver saputo dall’appena citato Mandala – nel 2000 – che l’odierno imputato era “il politico di riferimento della famiglia mafiosa di Trapani” e soggetto “molto vicino a Messina Denaro Matteo ed a Virga di Trapani” (cioè Virga Vincenzo, al vertice della famiglia mafiosa di Trapani fino al suo arresto).

Peraltro, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia fin qui evidenziate, tra le quali pure quelle del Birrittella, circa un collegamento tra i Virga (Vincenzo e suo figlio, Francesco) ed il D’Alì sono corroborate pure dal telegramma ricevuto dall’imputato, ed inviatogli da Virga Francesco, nel dicembre 1998, cui ha fatto cenno Aula Maria Antonietta nel parlare con la giornalista Amurri Sandra.

L’importanza di tale vicenda è stata sottolineata anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio, in quanto contestualmente: corrobora l’attendibilità della Aula e del Treppiedi, dimostra la stretta relazione tra il D’Alì e Virga Francesco (tant’è che quest’ultimo manifestava con l’imputato una confidenza tale da permettersi di inviargli un telegramma a casa, in periodo natalizio, per “ricordargli” gli impegni presi nei suoi confronti) e, soprattutto, dimostra che l’appoggio elettorale di Cosa Nostra in favore del D’Alì non era né “gratuito” né disinteressato bensì era un aspetto del rapporto “sinallagmatico” che prevedeva come “corrispettivo” la disponibilità dell’imputato a soddisfare le richieste dei sodali ed a tutelare i loro interessi (“Si pensi - sono le parole della Corte di Cassazione contenute nella sentenza di annullamento con rinvio in questa sede alla questione del telegramma del figlio di Virga inviato tra il Natale ed il Capodanno 1998, su cui hanno riferito Maria Antonietta Aula (prima moglie dell’imputato) e Treppiedi, dimostrativa di una notevole vicinanza tra i due e di una recriminazione del soggetto incarcerato («Tu sei là che ti diverti...ed io qua rinchiuso»), rispetto a chi aveva la colpa di essere rimasto in libertà, cui la sentenza non ha fornito una spiegazione logica ad onta dell’affermazione - che si legge nella motivazione censurata - che lo «specifico episodio occorso in epoca successiva al 1994» era «comprovante la sussistenza e la persistenza di rapporti tra il predetto ed esponenti di spicco dell’associazione mafiosa»”).

In particolare, sebbene la Aula abbia cercato, nel corso della sua deposizione dibattimentale, in modo assolutamente inverosimile ed in un disperato tentativo di "difendere" il padre dei propri figli, di rendere “opachi" i termini della vicenda (sostenendo di non ricordare il contenuto del telegramma, sostenendo di non ricordare quale ne fosse stata la sorte, adducendo che poteva anche trattarsi di un telegramma di auguri di un appaltatore che il D’Alì conosceva) il chiaro tenore della dichiarazioni della stessa Aula registrate dalla Amurri (ed acquisite agli atti) svelano impietosamente l’atteggiamento omertoso tenuto dalla ex moglie dell’imputato nel corso della propria deposizione ed altrettanto chiaramente rivelano che il telegramma in questione era stato inviato al D’Alì da Virga Francesco, figlio di Virga Vincenzo e poi era stato conservato dalla Aula nel cassetto di un comò, tra dei maglioni di cashmere, finché poi non l’aveva restituito al D’Alì il quale non l’aveva neppure ringraziata, nonostante si trattasse di un “dono” prezioso (quello che stava facendo l’Aula all’imputato), poiché quel telegramma era una “bomba”, in quanto palesava gli stretti rapporti tra l’imputato ed i Virga e che tra costoro era intercorso un “patto” in forza del quale l’imputato medesimo doveva impegnarsi per tutelare gli stessi Virga, tant’è che il citato Virga Francesco aveva inviato tale telegramma proprio per rammentare al Senatore i termini di quell’accordo e di attenersi a quanto pattuito: “Quando uno ti da - è la Aula che parla, riferendosi a lei che restituiva il telegramma al D’Alì – un telegramma del figlio di Virga è come se gli dai un telegramma scritto dal Papa – assai verosimilmente la donna, tramite quest’accostamento quasi “blasfemo”, intendeva sottolineare che, nel restituire all’ex marito quel documento, gli stava consegnando un bene preziosissimo, quantomeno in ragione delle conseguenze politiche e giudiziarie che la diffusione del medesimo telegramma avrebbe potuto avere – ... neanche hai la cosa di dire: “Guarda, io ti ringrazio che me lo stai ridando” – in sostanza la donna si lamentava del fatto che il D’Alì non l’avesse neppure ringraziata per quel "dono” per lui stesso così “prezioso”, quando lui -il "figlio di Virga”- ha mandato il telegramma noi eravamo ancora sposati, perché stavamo partendo tra Natale e Capodanno per Sharm el Sheikh quando è arrivato il telegramma io l’ho guardato e lui – il D’Alì – mi ha detto: “Mettilo in mezzo ai pullover”; ... Amurri: “Gli farà piacere a Virga se vede che l’ha messo tra i golf di cashmere”; …

Aula: “Lui -il D’Alì- se n’è andato il 4 Aprile della Pasqua del ’99”; Amurri: “E non si è ricordato del telegramma tra i golf di cachemire?”; Aula: “No... Poi un giorno, a che è venuto a prendere i vestiti e cose varie, io con una stronza gli ho dato il telegramma ... perché a me tipo che mi faceva schifo va.... Sai quando tu ci hai una cosa che non vuoi avere a casa ... ma lui non ha avuto neanche il dubbio che io mi ero fatta una fotocopia cosa che non ho fatto purtroppo – all’evidenza, lo “schifo” è connesso ad un giudizio morale sul “figlio di Virga” che aveva inviato quel telegramma, per cui è evidente che la Aula si riferisse al mafioso Virga Francesco e non ad un “innocuo” messaggio di auguri inviato da un innocente “appaltatore” (come già evidenziato, nel corso della sua deposizione in sede di rinvio, la donna ha sostenuto di non ricordare chi avesse inviato quel telegramma, ritenendo plausibile pure che si trattasse di un telegramma di auguri inviato da un Virga che faceva l’imprenditore edile) ... perché uno che ha un dubbio non si comporta in questo modo – cioè uno che ha un dubbio, sul fatto che la Aula si fosse fotocopiata quel telegramma – dice: “Maria, questa c’ha una bomba in mano” – ed in effetti alla luce del tenore del telegramma subito dopo rivelato dalla Aula, trattavasi di una vera e proprio “bomba”, cioè di un’arma di ricatto potentissima contro il D’Alì, qualora fosse caduto nelle mani “sbagliate”; circostanza che vieppiù conferma come il medesimo telegramma provenisse dal mafioso Virga Francesco e non da un innocuo imprenditore edile”.

Infatti, subito dopo la Aula rivelava che il telegramma non era affatto un messaggio di auguri bensì aveva il seguente inquietante contenuto: “Tu sei là che ti diverti ed io qua rinchiuso – ed in effetti allora Virga Francesco era detenuto; ulteriore elemento che conferma che fosse proprio lui il soggetto che aveva inviato il telegramma;

peraltro trattavasi evidentemente di un telegramma inviato da un detenuto per cui è ovvio che la Aula abbia mentito o quantomeno abbia avuto un cattivo ricordo, nel corso del giudizio. quando ha sostenuto che poteva anche trattarsi di un messaggio di auguri inviato da un innocente imprenditore edile – Io qua che ci faccio? – era sempre il Virga a rivolgere tale domanda al D’Alì – Tu mi avevi detto che io non ci sarei andato a finire e invece tu te ne vai per i fatti tuoi” – trattasi di un vero e proprio richiamo all’ordine ed al rispetto degli accordi di reciproco ausilio intercorsi tra il politico e Cosa Nostra;

in sostanza, il Virga sollecitava il D’Alì a darsi da fare per aiutarlo a risolvere i suoi (sempre del Virga) problemi giudiziari, in quanto aveva promesso (questa volta il D’Alì) che lo stesso Virga in galera non ci sarebbe “finito”.

Il contenuto di detto telegramma, potenzialmente devastante per il D’Alì, è poi indirettamente ma inequivocamente confermato dal Treppiedi, che ha raccontato la reazione dell’imputato alla diffusione (a mezzo stampa) della notizia relativa al medesimo telegramma: “Il D’Alì ritenne ... di convocare immediatamente a Trapani il figlio Giulio, che viveva e lavorava a Londra.

Ricordo che, dopo la telefonata del padre, anch’io dovetti chiamarlo per fargli capire la gravità della situazione determinata dall’intervista rilasciata dalla madre e la necessità che rientrasse immediatamente a Trapani. Giulio, che aveva un ottimo rapporto con la madre e normalmente soggiornava da lei, in quell’occasione andò a soggiornare a casa del D’Alì.

Quest’ultimo spiegò al figlio che le dichiarazioni della madre erano gravissime sotto il profilo morale e giuridico: morale perché la madre rivelava fatti veri ma che non dovevano essere divulgati perché appresi durante il matrimonio; giuridico perché egli riteneva che queste dichiarazioni potessero fargli danno in relazione alla sua posizione di indagato per mafia. Ricordo che il colloquio ebbe toni abbastanza drammatici e ad un certo punto il D’Alì gridò: “Quella mi vuole mandare in galera!”, chiedendo al figlio di intervenire sulla madre perché desistesse da qualsiasi ulteriore dichiarazione.

D’Alì poi chiese esplicitamente al figlio di verificare presso la madre se la stessa possedesse ancora il telegramma inviatogli dal carcere, di cui è l’intervista, ovvero una copia e, nel caso, farsela consegnare. Ricordo che in un primo momento disse: “Se ha una copia del telegramma strappala subito”, poi si corresse dicendo: “Anzi no, meglio che te la fai consegnare, la porti qui e poi la strappiamo” (deposizione del 6 agosto 2013 ma anche le successive dichiarazioni sul punto appaiono del tutto conformi) – si noti che il D’Alì si riferiva ad un’eventuale copia nella disponibilità della Aula e ciò conferma le dichiarazioni della medesima donna circa il fatto che l’originale era stato tempo prima consegnato all’imputato.

Anche in tal caso, all’evidenza, va sottolineato che una reazione tanto allarmata non poteva che connettersi ad un telegramma effettivamente inviato al D’Alì da un mafioso (e non di certo da un innocuo imprenditore edile), al fine di “ricordare” al medesimo D’Alì che doveva rispettare il patto di reciproco ausilio stretto in precedenza.

La vicenda, in definitiva, conferma che ancora alla fine del 1998 era sussistente un accordo tra Cosa Nostra e l’imputato in base al quale quest’ultimo doveva impegnarsi nell’interesse dei sodali come “corrispettivo” – evidentemente per l’appoggio elettorale ricevuto in passato e per quello che si sarebbe ottenuto in caso di ulteriori candidature.

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