Con la strage dell'Italicus, verosimilmente, una frazione dell'alleanza golpista - stragista ha voluto dichiarare la propria volontà di proseguire l'originario progetto e di forzare i tempi di un colpo di stato ormai atteso da anni; e ciò nonostante lo sfaldamento dell'originaria alleanza conseguente al mutato quadro internazionale...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti
L’istruttoria per l’attentato al treno Italicus si protrasse sino al 31.7.1980 (si noti che la strage di Bologna segue di due giorni, il 2.8.80), allorquando venne disposto il rinvio a giudizio per strage e reati connessi di tre eversori di destra, Mario Tuti, Luciano Franci e Piero Malentacchi, appartenenti tutti ad una struttura che aveva operato in Toscana sotto la sigla F.N.R. (Fronte Nazionale Rivoluzionario) e che si era resa responsabile - come giudizialmente accertato - di altri attentati ferroviari (quelli di Olmo del 31.12.74, di Terontola del 6.1.75 e di Rigutino del 7.1.75).
Assieme ai tre venne rinviata a giudizio per detenzione di armi Margherita Luddi, all’epoca legata sentimentalmente al Franci. Fu infine rinviato a giudizio per calunnia tale Francesco Sgrò, che aveva inquinato le indagini prospettando - come è avvenuto in quasi tutti i processi per strage - una fantomatica "pista rossa", fatta affiorare, in questo caso, attraverso qualificati ambienti del M.S.I. e poi dissolta in una serie di ritrattazioni e di dichiarazioni contraddittorie.
"A carico dei tre imputati di strage vennero valutate le dichiarazioni di un teste, Aurelio Fianchini, compagno di detenzione (e di una successiva evasione) del Franci, cui quest’ ultimo -nel contesto di un rapporto di confidenza maturato nella comune detenzione nel carcere di Arezzo- aveva confidato di aver eseguito la strage, unitamente al Tuti, che aveva fornito l’esplosivo, e al Malentacchi che aveva predisposto l’ordigno.
Oltre alle dichiarazioni del Fianchini a carico degli imputati vi era la comprovata militanza nel F.N.R. (Fronte Nazionale Rivoluzionario), la disponibilità di armi e di esplosivi, la consumazione di altri attentati (peraltro senza vittime) e, circostanza quest’ ultima di particolare rilievo, il fatto che il Franci - carrellista presso la stazione S. M. Novella di Firenze la notte del fatto si trovava in servizio - su sua richiesta proprio in prossimità del binario dove aveva sostato il treno Italicus.
Nel corso dell’istruttoria erano state seguite, senza peraltro che ne sortisse alcuna ulteriore imputazione, numerose altre linee di indagine fra le quali si ricorda quella -rapidamente esaurita - che conduceva in direzione della loggia massonica P.2 (che ne frattempo -fra il 1974 e il 1976- era stata oggetto di importanti rapporti del Questore Santillo, capo della struttura antiterrorismo dell’epoca).
Il processo di primo grado si concluse - quanto all’imputazione di strage - con l’assoluzione per insufficienza di prove di Tuti, Franci e Malentacchi, pronunciata dalla Corte d’Assise di Bologna il 20.7.83. L’assoluzione del Malentacchi fu confermata in appello in data 18.12.86, mentre Tuti e Franci vennero condannati all’ergastolo. Quest’ultima sentenza venne annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione in data 16.12.87 ed il giudizio di rinvio si concluse infine con l’assoluzione dei due (del 4.4.91), divenuta definitiva con la sentenza di Cassazione del 22.3.92."
La sentenza-ordinanza in questione presenta molteplici spunti di interesse e ricostruisce le nuove emergenze istruttorie a venti anni dai fatti, inserendole nel quadro interpretativo che andava emergendo sul senso delle stragi politiche degli anni Settanta e della strage alla stazione di Bologna, inquadrate nell’evoluzione delle vicende eversive di quel periodo.
Acquisizioni fondamentali si leggono con riguardo ai depistaggi e alla disinformazione che caratterizzarono i servizi in quegli anni. Ampio spazio è dedicato al ruolo della P2 nei primi anni Settanta e nei successivi e dovremo tornarvi. Una massa di dati e di rilievi storico-politici sui quali occorrerà tornare, con l’ausilio del libro che il dr. Grassi ha scritto sulla sua esperienza.
Per ciò che concerne la situazione processuale al momento dell’indagine bis del giudice Grassi, le pronunce fino a quel momento sia per l’Italicus che per Brescia erano concordi nel dire che tutti gli attentati verificatisi, a partire da piazza Fontana erano caratterizzati da una comune regia, da un unico filo conduttore, erano stragi eseguite dalla destra eversiva con un duplice significato, come spiegherà Grassi nella sua sentenza-ordinanza a pag. 39:
"Nel contesto sopra ricordato le stragi hanno avuto sostanzialmente due diverse funzioni, l’una - che si potrebbe definire operativa - di attuazione del piano di destabilizzazione, premessa a una successiva restaurazione cui si è già accennato; l’altra di cruento strumento di comunicazione di messaggi all’opinione pubblica e alle diverse componenti della compagine golpista - stragista.
"La funzione che abbiamo definito operativa ha avuto un rilievo progressivamente decrescente dalla strage di Piazza Fontana a quella di Bologna del 2.8.80 ed è verosimilmente insussistente - almeno così come qui definita - nell’attentato al rapido 904 del 1984; la seconda funzione, al contrario, aumenta progressivamente di rilievo mano a mano che si va avanti nel tempo. Forse apparirà singolare che un messaggio richieda la morte di tanti innocenti, ma a parle che ciò risulta da alcune qualificate fonti processuali e da analisi svolte da soggetti interni all’area in discussione, a ben guardare ogni atto violento di intimidazione o di ricatto ha il senso appunto, di comunicare, con la durezza necessaria, il messaggio voluto.
Ed a ben riflettere, inoltre, in un’area dove poteri occulti si alleano e si contrappongono, dove lo strumento dell’attentato o dell’omicidio fa parte della prassi, l’unico messaggio veramente univoco può esser dato con azioni forti, col sangue. Il messaggio contenuto negli atti di strage consiste primariamente nell’affermazione - da parte degli autori - dell’esistenza di un potere, il potere di uccidere indiscriminatamente e impunemente, il potere di seminare terrore, il potere di indurre disordine.
"Le stragi, nella loro cruenta oggettività dicono dell’esistenza di una forza in grado di destabilizzare le fragili strutture su cui si fonda una razionale convivenza fra i consociati e di far irrompere nelle strutture sociali un potere che - apparentemente irrazionale e incomprensibile - tende lucidamente alla propria autoaffermazione. Tale messaggio primario implicito nell’atto - consistente in sintesi in una prova di potenza terroristica (o forse meglio ancora in una sorta di moderno regicidio, prova della vulnerabilità del popolo sovrano che formalmente governa in democrazia) - si coniuga sempre con un messaggio ulteriore, più specifico, legato alle contingenze e rivolto esclusivamente ad alcuni m grado di comprenderlo.
"Così, ad esempio, con la strage dell’Italicus, verosimilmente, una frazione dell’alleanza golpista - stragista ha voluto dichiarare la propria volontà di proseguire l’originario progetto e di forzare i tempi di un colpo di stato ormai atteso da anni; e ciò nonostante lo sfaldamento dell’originaria alleanza conseguente al mutato quadro internazionale, reso evidente ad es. dalla caduta - di poco anteriore - della dittatura militare greca e del regime di Salazar in Portogallo. Con la strage di Bologna dell’80, poi, si accentua ulteriormente la valenza di messaggio interno fra le diverse componenti della vecchia compagine stragista - golpista."
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