Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Dopo la condanna in primo grado degli ordinovisti e del generale Maletti, la Corte d’appello di Milano assolverà tutti gli imputati. È però opportuno osservare come la decisione della Corte milanese sarà fortemente censurata e di conseguenza annullata dalla Suprema Corte l’11 luglio 2003. Dalla sentenza della Suprema Corte si avrà conferma definitiva di quanto segue:

1. Anzitutto le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra a varie autorità giudiziarie, sempre ritenuto attendibile, sulla proposta ricevuta da Carlo Maria Maggi e da Delfo Zorzi nel 1971, poi reiterata nel febbraio 1972, di compiere un attentato ai danni dell’onorevole Mariano Rumor; il progetto destabilizzante prevedeva l’eliminazione di vari uomini politici di primo piano; che non ci sarebbero state difficoltà ad entrare nella villa di Rumor, poiché la scorta avrebbe collaborato con gli attentatori.

Le dichiarazioni del Vinciguerra risultano riscontrate da quelle, del tutto autonome, rese da Roberto Cavallaro, il quale aveva specificato che gli ideatori dell’attentato a Rumor avevano prescelto la residenza di quest’ultimo in Veneto per colpirlo.

2. Le dichiarazioni di Dario Persich dalle quali si evinceva che nell’ambiente di Ordine Nuovo si nutriva profondo risentimento nei confronti di Rumor "perché era stato lui uno dei principali artefici dello scioglimento di ON, chiedendo l’applicazione della legge Scelba nei confronti di tale organizzazione". Mariano Rum or aveva dichiarato al Giudice Istruttore di Venezia di non essere stupito di progetti omicidiari nei suoi confronti negli ambienti della destra eversiva, poiché per primo aveva chiesto, ancor prima del decreto di scioglimento del novembre 1973, alla magistratura l’applicazione della legge Scelba nei confronti di ON.

3. In un rapporto della Questura di Venezia in data 25 giugno 1986, avente ad oggetto l’attività di Ordine Nuovo, era stata tracciata la storia di detta organizzazione nel Veneto, a partire dall’aprile 1957. Dal suddetto rapporto venivano dal primo giudice tratte notizie utili per l’inquadramento dei fatti di causa. Nel 1958 alla direzione del Centro studi Ordine Nuovo era subentrato Carlo Maria Maggi, il quale nel marzo 1961, aveva costituito in Verona un’altra sezione del Centro. Nel 1963 era stato costituito a Padova una sezione del Centro Studi Ordine Nuovo, facente capo a Franco Freda Nel 1964 Marcello Soffiati era stato nominato responsabile a Verona del locale Centro.

Nell’aprile 1966 - a seguito di dichiarazioni rese da Besutti Roberto, Massagrande Elio e Soffiati Marcello, nei confronti dei quali erano state eseguite perquisizioni domiciliari che avevano portato al sequestro di numerose armi e munizioni - veniva rinvenuto in un appartamento di Rovere Veronese (preso in affitto dal Besutti sotto falso nome) un ingente quantitativo di armi e munizioni, tra cui quindici mitra, quattro fucili mitragliatori, quindicimila cartucce e quattordici chilogrammi di tritolo.

4. In data 16 novembre 1968 personale della Questura di Padova aveva arrestato Mariga Giampietro, residente a Mestre, perché trovato in possesso di armi da guerra. Il Mariga risultava strettamente collegato a Zorzi Delfo, aderente al Centro Studi Ordine Nuovo di Venezia. Il giorno successivo era stata perquisita in Marghera l’abitazione dello Zorzi, dove venivano sequestrati due sacchetti contenenti esplosivo (minipotassa) e tre pistole. Nel febbraio 1971 Martino Siciliano era stato indiziato quale autore di un attentato all’edificio dell’Università di Milano, dove era stato fatto esplodere un ordigno che aveva causato danni alle strutture.

5. Nell’aprile 1971 il Giudice Istruttore di Treviso aveva emesso mandati di cattura nei confronti di Ventura Giovanni, Freda Franco e Trinco Aldo perché imputati di associazione sovversiva, anche in relazione ad attentati dinamitardi avvenuti su treni nel 1969. Nell’estate 1973 la Segreteria del Msi di Venezia aveva espulso Siciliano Martino e Mariga Giampietro; sospeso a tempo indeterminato Carlo Maria Maggi, Pietro Andreatta, Carlo Maria Pasetto, Delfo Zorzi, Gian Gastone Romani, Giampietro Carlet, Mario Centanni e Paolo Molin.

6. Dalle notizie raccolte dalla Digos era emerso che gli stessi uomini che avevano gestito i Centri Studi di Ordine Nuovo avevano anche tirato le fila dell’attività eversiva di Ordine Nuovo, come peraltro era risultato anche dalle deposizioni di Dario Persich al Giudice Istruttore.

Il Persich, simpatizzante dell’estrema destra e in contatto con esponenti di Ordine Nuovo nel Veneto, aveva dichiarato di essere stato amico di Marcello Soffiati dagli inizi del l 968; tramite questi aveva conosciuto Carlo Maria Maggi, Carlo Digilio, Sergio Minetto e altri, frequentandoli fino al 1981-1982; Soffiati l’aveva descritto come la figura di spicco di Ordine Nuovo veronese; a Venezia la figura di rilievo era Maggi, secondo per prestigio al solo Sergio Minetto, che però non poteva essere considerato un membro organico del gruppo; il Maggi era sempre in compagnia del Digilio, quando frequentava il ristorante del Soffiati; questi spesso si recava nell’abitazione di Amos Spiazzi e il Persich aveva avuto modo di vedere quest’ultimo – tre o quattro volte – nel ristorante del Soffiati; al matrimonio del Soffiati (28 aprile l 973) i testimoni erano stati Persich e Digilio e alla festa avevano partecipato anche Maggi e Minetto. Persich era stato ammesso a riunioni che si svolgevano a casa del padre di Marcello Soffiati (Bruno); aveva conosciuto anche un amico di Maggi e Soffiati che faceva l’istruttore di arti marziali (Delfo Zorzi).

Il Persich aveva poi dichiarato che il Soffiati era solito tenere nell’appartamento di Via Stella un gran numero di armi e grosse quantità di esplosivo; aveva in particolare ricordato un mitra MP40, due silenziatori, una pistola cecoslovacca calibro 9 e bombe a mano di quelle in uso all’esercito italiano; era Digilio – secondo quanto riferitogli dal Soffiati – a procurare le anni e gli esplosivi; aveva visto queste anni in Via Stella dal 1972 al 1974, anche quando con il Soffiati era venuta ad abitare la moglie; le armi erano tenute sul pavimento, in una rientranza del corridoio, sotto le mensole predisposte da Digilio.

Persich aveva anche riferito di una riunione a casa sua, avvenuta nel 1970-1971, nel corso della quale il Maggi era stato presentato al Minetto; alla riunione avevano partecipato anche Digilio, Soffiati ed un uomo che faceva il croupier al Casinò di Venezia; durante questa riunione si era parlato di una certa imminente rivoluzione che sarebbe avvenuta a breve con l’appoggio degli americani.

7. Maggi aveva svolto un ruolo di primo piano nella strategia della tensione. Pietro Battiston aveva dichiarato che il Maggi, nel periodo successivo al dicembre 1973, sosteneva la necessità di utilizzare lo strumento degli attentati e delle stragi per costituire il terreno sul quale potesse attecchire una vera e propria rivoluzione di destra. Marzio Dedemo aveva dichiarato che Maggi, in riunioni precedenti alla prima metà del 1973 a Milano, alle quali avevano partecipato anche vecchi repubblichini, aveva proposto di attuare una strategia di attentati dimostrativi la cui responsabilità si doveva far ricadere sulla sinistra.

8. Nell’aprile del 1957 il Maggi aveva costituito a Venezia la prima sezione del "Centro Studi Ordine Nuovo"; nel 1964 era entrato a far parte del direttivo nazionale di Ordine Nuovo ed era stato nominato ispettore per il Triveneto; aveva diretto il gruppo di ON di Venezia e Mestre negli anni 1969-1973, mantenendo i contatti in particolare con i gruppi di Verona (Soffiati) e Trieste (Neami). Il coinvolgimento di Maggi nell’attentato a Rumor era emerso con le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra. Probatoriamente rilevante la lettera in data 17 dicembre 1979, spedita da Maggi all’amico e camerata Miriello, nella quale, riferendosi a Giancarlo Rognoni, responsabile anche dell’attentato del 7 aprile 1973 al treno direttissimo Torino-Roma), si affermava che Rognoni "per una serie di disavventure e di errori – chi non è senza peccato scagli la prima pietra – si è beccato un certo numero di anni di galera."

9. A carico di Boffelli erano emersi alcuni elementi certi. Aveva frequentato a Venezia, dove viveva, gli ambienti dell’estrema destra. Dal novembre 1966 all’ottobre I 967 aveva combattuto come mercenario in Congo, arruolato da Italo Zambon. Aveva intrattenuto per dieci anni, fino al 1977, una relazione con Pina Gobbi, che gestiva a Venezia la trattoria Lo Scalinetto.

In questa trattoria si incontrava spesso con Maggi, al quale faceva anche da guardaspalle, oltre che con Digilio e Soffiati. Boffelli aveva intrattenuto rapporti di amicizia con Giampietro Mariga di Spinea il quale, secondo quanto dichiarato da Siciliano, si accompagnava con Gianfranco Bertoli. Qualche giorno dopo il fallimento dell’attentato, il Boffelli, rispondendo al Maggi che chiedeva spiegazioni, aveva tentato di giustificare il Bertoli, sostenendo che un errore di lancio poteva succedere a tutti.

Il Boffelli, interrogato il 15 giugno e il 12 luglio 1997, aveva ammesso di aver conosciuto negli ultimi anni Cinquanta il Bertoli, che era stato suo vicino di casa; il Berto li si presentava come anarchico ed egli l’aveva visto fino al 1971, ma neppure aveva saputo che era andato in Israele. Ammetteva di aver probabilmente detto, parlando con amici dopo l’attentato del Bertoli, la frase "tutti possono sbagliare", riferendosi al lancio compiuto dal Bertoli. In dibattimento Boffelli aveva tentato di smentire il significato che Digilio aveva dato a quella frase, sostenendo di aver voluto dire che l’errore di Bertoli era stato quello di commettere omicidi.

Il Boffelli si era fatto scappare, nel corso dell’interrogatorio, che Bertoli parlava l’ebraico, mostrando così di averlo visto dopo il ritorno da Israele, anche se il Boffelli aveva cercato di giustificarsi, sostenendo di aver letto la suddetta notizia su un giornale. Aveva anche documentato che un quotidiano aveva effettivamente pubblicato la notizia che Berto li aveva imparato l’ebraico, ma sul punto, la Corte d’Assise ha osservato, che la suddetta frase non poteva essere interpretata come aveva cercato di sostenere il Boffelli, poiché la circostanza era sfuggita al Boffelli nell’interrogatorio davanti al Giudice Istruttore e la notizia che il Bertoli conosceva l’ebraico era stata pubblicata successivamente.

10. Per Francesco Neami doveva ritenersi riscontrata la posizione di responsabile del Centro Triestino di Ordine Nuovo. Aveva anche ricoperto la carica di dirigente del settore organizzativo giovanile del Msi, ma nel 1973 era stato espulso dal suddetto partito per indisciplina. L’istruttoria aveva confermato i collegamenti del Neami con Maggi e Digilio; in particolare era risultata la partecipazione del Neami, secondo il racconto di Digilio, nella preparazione del Bertoli per l’attentato di via Fatebenefratelli.

11. Il Bertoli, per un certo periodo della sua vita, era stato a Trieste, città del Neami, dove il 14 maggio 1965 era stato anche arrestato per furto d’auto e condannato a tre anni di reclusione. Appurata la conoscenza da parte del Neami, anche prima dell’episodio narrato da Digilio, del covo di via Stella; la necessità di Maggi di avvalersi di camerati triestini, poiché nel 1973 la cellula di Mestre era praticamente smantellata; la opportunità di ricorrere ad una persona decisa, capace di usare anche le maniere forti, per vincere le ultime resistenze di Bertoli a compiere l’attentato; i rapporti di reciproca assistenza che legavano il Neami al gruppo di Venezia-Mestre; l’ottimo rapporto personale che legava Maggi al Neami.

Sappiamo come questi elementi non basteranno ai giudici del rinvio per giungere all’affermazione di responsabilità di Maggi e degli altri per la strage alla Questura. Per ciò che qui rileva questi elementi consentono tuttavia di affermare che l’attentato del 17 maggio è effettivamente collegato al fallimento della strategia che dopo il 12 dicembre 1969 doveva portare a una drastica svolta autoritaria come effetto dell’accordo raggiunto tra estrema destra e ambienti istituzionali a fronte di pesanti turbamenti nell’ordine pubblico provocati dalla sinistra e quindi dagli "anarchici".

Le lotte studentesche e operaie del ’68 - ’69, l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 erano fatti che in un’ottica difensiva potevano indurre a ritenere si fosse di fronte all’avvio dell’attacco frontale del comunismo per la presa del potere, ragion per cui la reazione doveva essere preventiva e consistere in un intervento delle forze armate, previo accordo con l’estrema destra. Sta di fatto che l’attacco della sinistra non avvenne e quindi i "gravi attentati" che avrebbero dovuto essere la premessa dell’intervento debbono essere provocati e firmati con firme false (vedi l’attentato al treno Torino-Roma).

Il pugno di ferro promesso non scatta, perché chi dovrebbe attuarlo si rende conto che gli attentati hanno matrice di destra e addirittura conosce da tempo la strategia che si sta cercando di realizzare. In realtà se l’interesse è di stabilizzare il Paese attraverso la marginalizzazione della sinistra all’interno del regime, occorre evitare che la destabilizzazione deflagri e chi detiene il potere di intervenire si faccia sfuggire di mano la barra del timone.

Ciò comporta una situazione di obiettiva incertezza tra chi ha deciso le azioni eversive e le ha realizzate e chi tali azioni ha strumentalizzato a fini politici, anche attraverso un gioco relativamente autonomo dei servizi. Dal 1969 al 1973 si verifica un’oggettiva convergenza di fondo tra l’anticomunismo della destra eversiva e l’anticomunismo dei settori istituzionali che se ne servono. Non si identificano ma collaborano, sebbene i primi operino all’interno di limiti predefiniti, ma che tendono ad essere costantemente forzati. Il punto è come sia possibile che nonostante le infiltrazioni, gli uomini dei servizi e delle forze dell’ordine giungano sempre tardi o non sappiamo mai abbastanza in tempo.

Questa costante insufficienza e d’altra parte la continua ricerca di informazioni e l’attività di controllo che pure veniva esercitata lasciano ritenere o quantomeno fondatamente ipotizzare che quelle azioni siano state dolosamente tollerate. Sta di fatto che il quadro storico sino al 1973 appare oggi, nonostante le oscillanti decisioni giudiziarie, complessivamente definito.

© Riproduzione riservata