Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo il libro “L'illegalità protetta”, edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia


Chiedo scusa, io vorrei, sulla scia della domanda fatta dal collega Verucci, essere un tantino, non dico meno prudente di Verucci, ma essere un tantino più chiaro per avere forse qualche elemento in più, a prescindere da generici o specifici sospetti, peraltro riservati, di Costa, dato il suo carattere. Sta di fatto che in questa commissione una persona che ha ricoperto un incarico importante, qual è l’ex questore di Palermo, ci ha detto che anche all’interno del suo ufficio vi era una parte che in qualche maniera non condivideva la scelta di linee nuove di un intervento attivo nei confronti della mafia che si basavano più sull’associazione per delinquere che non sugli elementi, sui singoli fatti delittuosi. Il questore riferiva che, da contatti avuti nei mesi precedenti con il procuratore Costa, aveva avuto non la netta sensazione, ma il convincimento, a seguito di scambi di opinione, che il procuratore era dello stesso avviso in questa linea di politica giudiziaria, e allorquando il questore aveva dato disposizione perché venissero ripresi tutti i vecchi rapporti, le vecchie segnalazioni e che si facesse una nuova grossa ricognizione, per così dire, di tutti gli elementi in loro possesso, qualcuno aveva manifestato, nel suo ufficio, uno scetticismo o addirittura una sfiducia verso l’esito che a livello giudiziario, soprattutto in Procura, quel rapporto avrebbe potuto avere, perché lì ci sta quello che va al funerale del mafioso, perché poi ci sarebbe stato un altro magistrato, il cui nome o il cui pseudonimo sarebbe comparso in una intercettazione telefonica nel processo di viale Lazio. Comunque all’interno della questura c’era questa voce, anche se non diffusa, che qualche elemento non completamente affidabile fosse all’interno della Procura.

Costa non mi parlò mai di questo; anzi, una volta scherzando, siccome si parlava di garantismo e di non garantismo, mi disse: «Altro che garantismo, questa è paura», così, parlando genericamente. Non mi parlò mai di persone del suo ufficio nei confronti delle quali lui nutriva sospetti.

A prescindere da Costa, negli uffici giudiziari siciliani o nel suo ufficio, o in Procura, o in tribunale, vi era qualche voce di questo genere, oppure qualche sospetto o timore di questo genere, cioè del tipo manifestato qui dal Questore, non come preoccupazione sua, ma come preoccupazione raccolta nel suo ufficio?

Di voci ne corrono molte, ma sulle voci non mi pare si possa costruire, perché in un grosso ufficio come quello di Palermo, in un grosso palazzo, dove siamo in 200 e più magistrati, possono correre delle voci.

E di questa intercettazione, ci sa dire qualche cosa? Ne ha sentito parlare?

Sì, ne ho sentito parlare di questa intercettazione; ma non si tratta del processo, che io sappia, non si tratta del processo di viale Lazio, però, ho sentito parlare di questa intercettazione in un altro processo, che sarebbe un po’ come l’antefatto di questi grossi processi, il processo a carico di Davì e compagni…

In che anno?

È un processo del ’66-67.

Di quale sostituto si fece il nome? Lo sai?

A livello, così, di chiacchiera o di sospetto, del sostituto Scozzari.

Nel processo a carico di Davì e compagni?

Sì, di Davì e compagni.

Cioè, scusa, per capire bene la risposta alla domanda di Mariconda, in un’intercettazione telefonica nel processo Davì e altri, nel 1966 o 1967, si sarebbe fatto il nome di Scozzari?

Sì, sì. Ma badiamo bene, è quello che si dice.

Ma allora le intercettazioni erano possibili nel 1966-67?

Le faceva la polizia giudiziaria, senza autorizzazione, ma le faceva.

Questa è una voce diffusa nell’ambiente giudiziario?

Sì, ma una voce.

Mi rendo conto che è delicato: la domanda fatta così, qui, può essere diversa se fatta a Palermo; però una voce che corre, tanto da essere ricordata a distanza di 15 anni!

Sì.

Come mai una voce di questo genere non ha determinato una pronta reazione dei colleghi o scalpore tra i colleghi, la polizia giudiziaria e gli avvocati, proprio per la natura dell’accusa, fondata e non fondata che fosse?

Non mi risulta ci sia stata una reazione da parte dell’ambiente locale: non mi risulta perché sono di quelle mezze voci che corrono, non voci diffuse, cose che si dicono sottovoce, anche perché il fondamento di queste voci lo sa soltanto la polizia giudiziaria, non mi risulta che sia riportato in un rapporto giudiziario. Questo è un fatto che è rimasto, diciamo così, negli archivi della polizia giudiziaria o dei carabinieri, soprattutto; non è riportato in un rapporto, che io sappia; questo processo ha avuto vicende alterne perché l’istruzione fu condotta per due anni dal collega Scozzari che allora fu applicato all’Ufficio istruzione…

Quindi Scozzari era il giudice istruttore?

No, era pretore e fu applicato all’Ufficio istruzione. Scozzari fu per due anni applicato all’Ufficio istruzione.

E condusse quell’istruttoria?

La condusse, ma non la portò a termine. Il collega che gli subentrò, poi, dichiarò la propria incompetenza per territorio, dichiarando la competenza del Tribunale di Roma. Il Tribunale di Roma sollevò conflitto e la Cassazione decise che era competenza di Palermo; però questo processo è stato definito sol un anno fa col proscioglimento istruttorio. Non si è prescritto: era associazione per delinquere.

Ma perché non condusse a termine l’istruttoria, Scozzari?

Perché non fu più applicato

Ma fu applicato solo per quel processo!

Per due anni fu applicato; io non posso dire che fu applicato solo per quel processo. Lui fu applicato per due anni all’Ufficio istruzione; il processo giacque poi per molto tempo senza che si facesse più nessun’altra…

Questo è rilevante, come dato, perché sinora questa Commissione ha saputo e ha fatto indagini in altro processo con un certo esito, adesso invece apprendiamo che il processo, al quale questa famosa intercettazione e la voce successiva si riferisce, è il processo Davì.

Sarebbe, dico. Ripeto che non è processuale tutto questo, è per sentito dire…

Tanto per chiarire, agli atti del processo Davì non c’è niente sul punto?

Che mi risulti, no, perché il processo non l’ho istruito io.

È giustissimo quello che tu dici «per sentito dire», però mi sembra altrettanto ragionevole l’osservazione che fa Zagrebelsky quando sottolinea che una cosa di questo genere, anche a livello di fatto extra processuale, è di una eclatanza tale che potevano esserci reazioni del collega.

Non lo so, perché è un collega con il quale io non ho molti rapporti, neppure sul piano del lavoro, perché abbiamo fatto insieme pochissimi processi.

Ma fu contestuale questa voce all’epoca in cui egli si occupò del processo come applicato all’Ufficio istruzione, già allora si sentì parlare di questo.

Io l’ho saputo, non dico poco tempo fa, ma qualche anno fa; il collega fu applicato anche alla Procura per il processo della strage di viale Lazio; è un processo che ho istruito io, un processo nel quale – perlomeno – l’associazione a delinquere si salvò. Subito dopo l’applicazione, il collega fu trasferito dalla Pretura alla Procura, credo quindi che quando ebbe inizio i dibattimento lui non era più applicato ma era già stato trasferito. Fu P.M. d’udienza nel processo per la strage di viale Lazio.

È vera un’altra circostanza che si riferisce ogni tanto, e cioè che Scozzari chiese l’assoluzione di Gerlando Alberti?

No, Scozzari chiese l’assoluzione di un certo Sutera, che era stato riconosciuto dai superstiti della strage.

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