Domani può rivelare l’apertura di una nuova inchiesta a carico di 23 agenti penitenziari da parte, in questo caso, della procura di Cuneo. Nei giorni sono stati notificati gli avvisi di garanzia proprio mentre il governo rilancia l’ipotesi di rimodulare il reato di tortura che punisce gli abusi commessi dai pubblici ufficiali.
Sono 23 gli agenti della polizia penitenziaria indagati dalla procura della repubblica di Cuneo, guidata dal procuratore Dodero Onelio, per diversi reati, tra questi anche quello di tortura. La pubblica accusa ha notificato, nei giorni scorsi, gli avvisi di garanzia e disposto alcuni decreti di sequestro a carico degli indagati alla ricerca di documenti che possano riscontrare le ipotesi investigative. La notizia, che Domani può rivelare, riguarda la casa circondariale di Cuneo dove sarebbero avvenute le violenze e sarebbero stati commessi gli abusi ai danni dei detenuti. Abusi che sarebbero stati commessi dagli agenti, nei mesi scorsi, e che hanno portato all’apertura del fascicolo giudiziario.
Non si tratta di un singolo episodio, ma di più casi contestati. In questo momento i poliziotti penitenziari sono tutti in servizio, la procura non ha richiesto misure cautelari a carico dei coinvolti e il dipartimento dell’amministrazione non ha disposto alcuna sospensione. L’indagine prosegue con molta cautela e si verificano testimonianze e documenti a disposizione. Si tratta dell’ennesima inchiesta che mette nuovamente in imbarazzo il dipartimento e la polizia penitenziaria.
«Chi sbaglia va individuato, isolato e perseguito, ma se le indagini per il reato di tortura sono ormai numerosissime e interessano carceri in tutto il Paese, probabilmente, c’è molto di più di qualcosa nell’organizzazione complessiva che non funziona e da correggere. In altre parole, pur essendo convinti che la stragrande maggioranza degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria coinvolti riuscirà a dimostrare la propria innocenza, appare evidente che vi sia un problema di sistema. In verità, noi siamo convinti che ricorrano entrambe le circostanze: il reato di tortura è costruito male e l’organizzazione carceraria è pessima», dice Gennarino De Fazio, sindacalista che guida la Uilpa. Il reato di tortura è stato introdotto nel nostro ordinamento in una forma blanda e con colpevole ritardo, solo nel 2017. La notizia della nuova indagine, rivelata da Domani, ha provocato le reazioni anche della politica.
«Continua il prezioso lavoro della magistratura nel "difendere” il reato di tortura. Le tante inchieste e i tanti procedimenti in corso dimostrano come il reato di tortura sia necessario e non si può modificare. Il governo e la maggioranza di destra non pensino di toccare il reato di tortura che punisce gli abusi commessi dai pubblici ufficiali. In Parlamento contrasteremo con forza ogni ipotesi di modifica o abrogazione del reato di tortura», dice Ilaria Cucchi, senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra.
IL FALLIMENTO DEL GOVERNO
Sul carcere si misura un altro fallimento del governo che fatica a mantenere le promesse se non quella ripetuta più volte di intervenire proprio sul reato rimodulandolo. Al momento l’unica proposta nel settore, infatti, è quella di rabbonire la polizia penitenziaria rivedendo la tortura regalando così licenza di impunità a una minoranza di agenti picchiatori. In questi giorni si parla nuovamente di questa possibilità, un’idea che aveva confermato a Domani, nel dicembre scorso, il sottosegretario meloniano Galeazzo Bignami. C’è un problema gigantesco da affrontare, gli abusi in divisa, e il governo pensa di risolverlo rimodulando il reato.
Mancano 18 mila agenti di polizia penitenziaria rispetto al reale fabbisogno, una situazione che si aggraverà nei prossimi anni (entro il 2026) quando ci sarà l’entrata in funzione di nuovi padiglioni detentivi per un totale di 1.690 posti. Una situazione allo sbando considerando che il governo, tra i primi provvedimenti assunti, ha perfino tagliato risorse alla penitenziaria, in particolare le indennità: 25 milioni totali per gli anni 2022 e 2023 e undici milioni di euro dal 2024. In assenza di fondi, di corsi di formazione, di aumenti salariali, di mezzi, di supporto anche psicologico per gli agenti, il governo propone la revisione del reato che potrebbe avere un effetto anche sui processi in corso a partire da quello per le violenze commesse nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
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