L’anno appena trascorso ha segnato anche un’ondata di insofferenza verso il discorso ecologico. Proprio per questo, in vista dei prossimi mesi, le lotte stanno diventando più concentrate, di fabbrica o montane, comunque radicate nel territorio e nelle comunità. Allo stesso tempo si costruiscono alleanze transnazionali e intersezionali, per resistere insieme e prendersi al più presto e con più forza possibile la primavera
Il 2024 è stato un anno faticosissimo per il clima: non solo le elezioni andate tutte molto male, non solo le Cop e gli accordi sulla plastica mancati o rimandati, comunque tristi, insufficienti, deprimenti. Non solo le alluvioni, gli uragani. Non solo Copernicus che confermava i record di temperatura media, fino a vincere la sinistra coppa di anno più caldo mai registrato, su terra e su mare.
C’è stata anche, fin da gennaio, un’ondata di insofferenza verso il discorso ecologico. Il 2024 è cominciato con l’Europa in subbuglio per le proteste dei camionisti, e finisce con il tentativo di scaricare sulla transizione la colpa del disastro industriale dell’automotive. C’è anche stata qualche buona notizia, è bene ricordarlo. È passata la Nature Restoration Law, pur con fatica, ed è stato confermato l’obiettivo di un taglio delle emissioni del 90 per cento entro il 2040. Le sconfitte però sono state tante.
Ma in mezzo a tutta questa fatica e questo livore o indifferenza della politica verso il clima, come stanno i movimenti?
Transizione guidata dall’alto
Sono un po’ affaticati anche loro, ultimamente ne parliamo poco, come si fossero rintanati a leccarsi le ferite. A novembre in Italia è anche arrivato il ddl 1660: un decreto che punisce con arroganza chi fa politica, chi protesta e mostra dissenso, chi insomma si occupa della cosa pubblica, chi cerca di prendere questo mondo un po’ rotto e provare ad aggiustarlo. «È un decreto che mostra da un lato l’arroganza del governo nel pensare di poter legiferare su ogni forma di dissenso. Dall’altro, è anche spia di una certa debolezza, altrimenti che necessità avrebbero di emanare norme così antipatiche e mal recepite?» commenta Tommaso Juhasz di Ultima generazione (Ug). «Noi possiamo solo continuare ad organizzarci, e ad agitarci».
Dalla scorsa primavera Ug sta attraversando un lungo periodo di raccoglimento, riflessione, studio. «Ci siamo presi il tempo per ragionare su quanto ottenuto finora. Abbiamo presentato un documentario a Venezia e uscirà a inizio anno. Ma c’è ancora da mettere a punto nuove strategi».
Per Tommaso Juhasz, se nel 2024 in Europa l’insofferenza verso i movimenti per il clima si è così inasprita è colpa di una transizione guidata dall’alto, fatta di tasse e norme che sarebbero ricadute in primo luogo sulle classi più svantaggiate. «Questo ha fatto gioco alle destre che hanno potuto dire che la transizione è per ricchi. E la sinistra non ha saputo rispondere. In queste condizioni voltarsi dall’altra parte è una reazione comprensibile». Fra i propositi per il 2025 c’è quello di agire più sul locale, di essere vicini alle comunità, creare momenti di confronto e portare aiuto nei momenti di difficoltà.
Olimpiadi Milano-Cortina
Anche per i collettivi di Ecologia politica l’attenzione si rivolgerà soprattutto a lotte locali. «Il movimento End Fossil ora è molto più concentrato sulla Palestina. Se prima l’obiettivo era soprattutto tenere le grandi aziende fossili fuori dalle università, ora il nostro percorso di critica e analisi si rivolge anche alle armi e in particolare a Leonardo» racconta Unai Arratibel di Ecologia politica Milano. «Ma come Ecologia politica ci concentreremo su lotte locali, portando sostegno diretto alle lotte legate a terre alte, acqua, montagna, cementificazione».
Il discorso ruoterà in particolare attorno alle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, con mobilitazioni e presidi diffusi nei territori montani. A lanciare le mobilitazioni sono il Comitato insostenibili olimpiadi (Cio) insieme al collettivo OffTopic e all’Associazione proletari escursionisti (A.p.e.). Si cerca di contrastare la narrazione positiva dei grandi eventi, facendo luce su un modello socialmente ed ecologicamente insostenibile e su sprechi inaccettabili, come gli 81,6 milioni destinati a una pista da bob che nemmeno il Comitato olimpico internazionale riteneva sensato costruire.
Proprio per le tante anime che la abitano, e per i tanti temi che solleva, la lotta contro le Olimpiadi è uno dei principali nuclei attorno a cui si stringerà l’attivismo climatico nel corso del 2025.
Ex Gkn
L’altro nucleo è l’ex Gkn, la “fabbrica in lotta” d’Italia, con la sua capacità rara e preziosissima di avere uno sguardo tanto concreto quanto vasto, ambizioso, a lungo termine. Per gli operai Natale è stato il dodicesimo mese senza stipendio. 12 mesi sono tanti, sono una povertà e una rabbia tangibili.
«Non un fatto privato, né un nostro problema. Ma un fatto pubblico e come tale lo tratteremo» scrivono su Instagram. Ed è proprio la capacità di fare del loro stipendio e della ex Gkn qualcosa di così collettivo a rendere questa lotta forse la più significativa, calda, simbolica, emotivamente condivisa.
Anche qui c’è una sconfitta fresca: al termine di un percorso complesso ma entusiasmante di ricerca di investimenti e azionariato popolare per far ripartire la fabbrica dal basso, è arrivata la notizia che lo stabile era stato venduto mesi prima sottobanco. Insomma un momento difficilissimo, ma con la ferma intenzione di continuare a socializzare e condividere la lotta. Lo slogan dell’ex Gkn ora è «resistere all’inverno, prendersi la primavera» e l’impressione è che valga per tutti e ciascuno.
United for Climate Justice
Su scala europea qualcosa di interessante sta succedendo. Si chiama UCJ (United for Climate Justice) ed è una coalizione di movimenti come Ultima generazione e XR di vari paesi fra cui Olanda, Francia, Spagna. UCJ è nato da circa un anno con l’obiettivo di unire le forze di movimenti diversi su una campagna comune di respiro europeo. Negli ultimi mesi si sono avvicinati movimenti anche da Messico, Uganda e altri paesi africani.
«La campagna di quest’anno era contro i sussidi ai fossili e prevedeva azioni una volta al mese in tutti i Paesi europei aderenti. Ognuno poi decideva liberamente se organizzare un presidio, uno striscione, un corteo» racconta Mariella Bussolati, membro del coordinamento e fra le organizzatrici del World Congress for Climate Justice di Milano, dove molti di questi movimenti e attivisti si sono incontrati per la prima volta nel 2023.
Alle azioni è seguita una “open letter”, indirizzata alla Commissione e al parlamento europeo. La lettera, consegnata lo scorso 2 ottobre, è stata firmata da grandi organizzazioni fra cui Greenpeace, ActionAid, StopEACOP dall’Africa orientale e in Italia da Finanza etica, è nostra e il movimento cattolico Laudato Si’.
Le richieste principali sono un calendario per l’eliminazione dei sussidi, una guida metodologica per gli stati membri e un quadro di riferimento per monitorare la trasparenza e la responsabilità degli stati stessi. Difficilmente ci sarà una reazione ufficiale della Commissione ma la lettera è stata accolta da diversi commissari. «È quello di cui abbiamo bisogno per dare sponda alle nostre richieste. Una lettera firmata da così tante organizzazioni dimostra come dietro a questa istanza ci sia un reale sostegno della società civile» commenta Benedetta Scuderi, europarlamentare di Europa Verde.
Incognita Trump
La prossima campagna di UCJ riguarderà il lobbismo fossile nell’Unione. «Abbiamo mappato tutte le reti della lobby fossile che si muovono in Europa. Vorremmo che la Ue ascoltasse invece la lobby dei cittadini europei, attraverso le assemblee cittadine» racconta Bussolati. «Speriamo però anche di trovare il tempo e il modo per intavolare discorsi politici più generali su decrescita e giustizia climatica: dobbiamo ricordarci in ogni istante che non è solo una questione europea, tutt’altro».
Se allarghiamo lo sguardo e usciamo dall’Europa vediamo gli Stati Uniti che si affacciano alla presidenza Trump, con una ferma opposizione a qualsiasi politica per il clima, e la delusione forte da parte dei paesi del sud globale che sono usciti dalla Cop con un quarto dei fondi di finanza climatica richiesti.
Davanti a tante sconfitte, i collettivi di nord e sud globale cercano con difficoltà di collaborare, UCJ è uno di questi tentativi. Per Miriam Moreno Sanchez, del collettivo messicano SOS Cenotes, «collaborare con i movimenti europei è importante ma non sempre facile. Cambia molto il modo di organizzarsi fra nord e sud globale. Nel nord l’urgenza non è connessa necessariamente alla vita stessa degli attivisti, e questo si vede. Abbiamo letteralmente altre urgenze a cui badare, molto più concrete».
L’esigenza condivisa, in questo inverno ecologico e sociale, sembra quella di agire in piccolo ma con prossimità e concretezza. Le lotte si fanno più concentrate, di fabbrica o montane, comunque radicate nel territorio e nelle comunità. Ma si costruiscono allo stesso tempo alleanze transazionali e intersezionali, per resistere insieme all’inverno e prendersi al più presto e con più forza possibile la primavera.
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