Le prealpi lombardo venete sono sotto scacco dei bracconieri, organizzati in una vera e propria rete criminale. Il governo al lavoro per allargare ulteriormente le maglie della legge sulla caccia
Quasi milleduecento dispositivi illegali, di cui 1.029 trappole e 153 reti per l’uccellagione, 98 armi e oltre 17mila munizioni. Non sono i numeri di una cellula terroristica o di una banda armata, ma i sequestri attuati all’interno dell’operazione antibracconaggio “Pettirosso”, condotta dai Carabinieri forestali, reparto Operativo Soarda, del Raggruppamento Cites e delle associazioni ambientaliste come Lipu e Wwf Italia tra le province di Brescia, Bergamo, Mantova, Padova, Verona e Vicenza.
Un vero e proprio arsenale, fatto di armi con codici abrasi – quindi rubate – e di munizioni, che servono a uccidere illegalmente migliaia di uccelli selvatici ogni anno. Solo l’ultima azione di contrasto ai bracconieri disseminati nelle Prealpi lombardo venete, ha portato a quattro arresti per detenzione illegale di armi, 100 soggetti denunciati per reati contro gli uccelli selvatici e al sequestro di 1.400 uccelli abbattuti e oltre 1.000 esemplari vivi catturati illegalmente.
Il nostro paese si conferma così uno dei black spot del bracconaggio in tutta l’area del Mediterraneo, il peggiore d’Europa con circa 5,6 milioni di uccelli che vengono uccisi illegalmente ogni anno. Non solo le prealpi, ma anche il delta del Po, il Sulcis sardo, lo stretto di Messina, le coste pugliesi e quelle pontino campane, sono aree storicamente legate alla caccia illegale di uccelli selvatici.
«Pochi giorni fa le guardie volontarie lombarde del Wwf hanno scoperto in flagranza un soggetto che sparava con un fucile con matricola abrasa e silenziatore», racconta Domenico Aiello responsabile tutela giuridica della Natura per il Wwf Italia. «Il che conferma che esiste un mercato nero di armi anche nel Nord Italia».
Una rete internazionale
A dimostrazione di quanto questa rete di trafficanti di natura sia organizzata, lo scorso luglio un’operazione di contrasto al bracconaggio denominata Turdus aureus ha portato alla luce uno strutturato traffico internazionale di uccelli selvatici indirizzati a foraggiare il ricco mercato illecito degli uccelli destinati alla caccia con richiami vivi.
Dall’operazione è emerso come migliaia di uccelli, soprattutto tordi, vengano ogni anno catturati illegalmente in natura, in Italia e all’estero, spesso prelevando i piccoli appena nati direttamente dai nidi. Questi animali vengono poi stipati in minuscole gabbie e sottoposti a lunghi viaggi in condizioni fatiscenti fino ad essere consegnati agli allevatori italiani.
A questo punto vengono applicati appositi anelli alle zampe per poi vendere gli esemplari come se fossero animali allevati, così da eludere i controlli. I ricavi sono enormi: un solo tordo di 68 grammi nel mercato nero può essere venduto anche a 300 euro. Mentre se morto e impiegato per lo più nei piatti tipici, può valere anche 200 euro al chilogrammo.
«La cosa grave è che la politica non solo non ha mai ascoltato le nostre denunce, ma da anni continua ad approvare misure che favoriscono i trafficanti e che ci hanno portati a subire l’apertura di numerose procedure europee, l’ultima delle quali è dello scorso anno», spiega Aiello. «Esponenti politici di primo piano hanno addirittura più volte aspramente attaccato i Carabinieri chiedendo al governo di impedire che continuino a fare controlli sugli uccelli da richiamo e sulla stessa linea si pongono la maggior parte delle associazioni venatorie».
L’attacco alle leggi europee
ll nostro paese infatti è già oggetto di infrazione Eu Pilot per violazione delle norme europee in materia di caccia, in particolare per mancato rispetto della direttiva Uccelli e del Regolamento europeo 2021/57 che vieta l’utilizzo del piombo nelle zone umide. Insomma, l’Italia è un osservato speciale per la Commissione europea. In particolare la Eu Pilot non ci contesta solamente l’impiego del piombo (contenuto nelle munizioni e sostanza neurotossica non solo per gli animali), ma critica anche la mancata attuazione del Piano di azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, rimasto sulla carta dal 2017 e il fatto che nel nostro paese sia comune la caccia ai migratori e alle specie in cattivo stato di conservazione.
«Questo procedura è passata al secondo stadio, cioè quello del parere motivato. Il terzo è quello giudiziario davanti alla corte di giustizia dell'Unione europea. Quindi siamo già in infrazione vera e propria per violazione della direttiva Uccelli, ma rischiamo di esserlo anche per il bracconaggio», continua Aiello. «La situazione si sta aggravando da vari punti di vista non solo in termini di aumento del bracconaggio, ma anche di crescita del livello criminale di questo tipo di fenomeno, come dimostrato anche dalle ultime operazioni di contrasto dei forestali».
Ma le modifiche della legge sulla fauna – e di concerto della regolamentazione della caccia – sono sempre dietro l’angolo, e sono numerose. Lo scorso giugno, all’interno del decreto Agricoltura erano spuntati degli emendamenti presentati da Francesco Bruzzone, poi ritirati, che secondo quanto riportato dalle associazione ambientaliste, avrebbero permesso di «sparare agli uccelli in migrazione sui valichi montani, sottrarre i richiami vivi dalle tutele della legge, impedire ai cittadini e alle associazioni la possibilità di presentare ricorsi contro i calendari venatori illegittimi».
Non solo, ma da come riportato da Aiello, da inizio legislatura la legge 157/1992 è stata modificata già cinque volte in tredici punti ed è prevista un'ulteriore modifica nei primi mesi del prossimo anno.
Politiche miopi, reparti come il Cufaa (Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentare) dei Carabinieri che sono fortemente sottodimensionati, stanno mettendo alla mercé di bracconieri e trafficanti la biodiversità italiana. E si badi, non si tratta di contenimento o gestione della fauna selvatica regolamentata e gestita da tecnici, ma di una sorta di assoluzione nei confronti dei crimini contro la natura, nonostante ormai più di due anni fa, la tutela dell’ambiente sia entrata nella Carta costituzionale italiana.
Con il voto pressoché unanime del parlamento (in vari passaggi il gruppo di Fratelli d’Italia si astenne), sono stati riformati l’articolo 9 e l’articolo 41 della Costituzione inserendo, tra i principi fondamentali, la tutela dell’ambiente della biodiversità e degli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni e richiamando la necessità di proteggere gli animali attraverso le leggi dello stato.
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