- La crisi climatica globale, il crescente abbandono delle terre coltivabili e l’intervento delle istituzioni sempre più macchinoso nel gestire le emergenze sono il mix perfetto per alimentare una calamità fitosanitaria dai danni ancora incalcolabili.
- Il caldo di questa estate ha permesso un’espansione verso le colline, oltre i 650 metri, dove le condizioni climatiche non favorivano solitamente la sopravvivenza delle locuste.
- I tre metodi più efficaci per fermare l’invasione: aratura dei campi; utilizzo di un insetto predatore delle larve di cavalletta; disinfestazione dei focolai in primavera.
La crisi climatica globale, il crescente abbandono delle terre coltivabili e l’intervento delle istituzioni sempre più macchinoso nel gestire le emergenze sono il mix perfetto che ha permesso a miliardi di cavallette di invadere circa 60mila ettari in Sardegna, tra Nuorese, Oristanese e Sassarese. Quindici comuni coinvolti in una lotta contro quella che nella Bibbia è definita una delle dieci piaghe d’Egitto, capace di distruggere pascoli, foraggere, frutteti, oliveti e colture in campo, così come accadde nel 1946 quando un evento simile mise sul lastrico il comparto regionale. I primi esemplari di questa nuova ondata, della specie Dociostaurus maroccanus, furono segnalati nel 2019 nella piana di Ottana, nel centro dell’isola, quando in numero ridotto e di piccole dimensioni colpirono un’area di circa duemila ettari.
Nel 2021 si trovavano già in 32mila ettari. Ottana è ancora oggi, a causa di un’azione fino a pochi mesi fa sostanzialmente assente nelle attività di contrasto, l’epicentro di una emergenza fitosanitaria che non ha raggiunto l’apice.
Tali calamità si sviluppano, infatti, nell’arco di tre-cinque anni con evoluzioni che, se non governate, raggiungono i sette o otto. Un periodo in cui le locuste possono azzerare intere produzioni agricole con danni, ancora difficili da calcolare, su cui la regione Sardegna ha stanziato i primi ristori.
Le difficoltà dei campi
In questi giorni, l’emergenza, iniziata con la schiusa delle larve a metà aprile, sta finendo con la morte fisiologica delle cavallette che intanto hanno deposto miliardi di uova, soprattutto nei suoli dove non si praticano le arature: habitat ideali per la riproduzione.
Terre incolte, mancati interventi e il caldo di questa estate hanno permesso un’espansione anche verso le colline, oltre i 650 metri, dove le condizioni climatiche non favorivano solitamente la sopravvivenza. Nelle ultime settimane sono sbarcate poi nelle pianure del nord: a Ozieri, Alghero e alla periferia di Nuoro.
Dalle analisi degli studiosi dell’università di Sassari, convenzionata purtroppo solo da pochi mesi con la Regione per trovare soluzioni contro l’evento, si è arrivati ad avere aree con una densità di cavallette che va da alcune centinaia fino a oltre 2.600 esemplari per metro quadrato.
Una macchina da guerra che non risparmia nulla, capace di attaccare piante di cui nessun animale si nutre come rovi o asfodelo. Al passaggio di queste orde i campi diventano paesaggi lunari, con colori scuri da cui si levano in volo migliaia di insetti che nelle ore più calde si spostano di decine di chilometri.
Secondo le stime del team di esperti guidato dal professor Ignazio Floris, entomologo dell’ateneo sassarese, da aprile a oggi sono stati depopolati almeno due miliardi di cavallette, con oltre 620 interventi di disinfestazione che andavano a colpire i soggetti giovani nei siti focolaio.
Il timore, difficile da certificare e non confermato ufficialmente dall’università, è che ne siano rimaste in vita almeno altrettante. Se le cavallette sopravvissute le suddividessimo tuttavia in un rapporto di uno a uno (maschio-femmina), con ogni femmina che depone dalle 90 alle cento uova, nel 2023 ci troveremmo di fronte a miliardi e miliardi di larve. E se nella migliore delle ipotesi si riuscisse a ucciderne oltre l’80 per cento con i vari interventi di contrasto ci sarebbero alcune decine di miliardi di nuove cavallette pronte a invadere la Sardegna.
Che fare?
I metodi più efficaci con cui intervenire sono sostanzialmente tre: aratura dei campi, con profondità di cinque o sei centimetri, tra fine estate e inizio autunno che permetterebbe di portare in superficie le larve e farle perire a contatto con sole e freddo; utilizzo e incremento dell’insetto predatore Mylabris variabilis, importato dal Lazio in Sardegna nel 1946, capace di decimare pesantemente le larve; disinfestazioni dei focolai in primavera.
«Quando le cavallette sono piccole non volano ed è più facile quindi intervenire con successo», ha spiegato Floris. Per operare con arature e disinfestazioni è necessario, e sono molte le aziende agricole ad averlo segnalato, che la regione insieme al Mipaaf permettano di andare in deroga a impegni già presi dagli agricoltori nel rispetto di misure del Programma di sviluppo rurale, dal Biologico alla Difesa del suolo, su cui le imprese agricole percepiscono aiuti economici. L’uso dei pesticidi, infatti, andrebbe a condizionare l’agricoltura biologica, così come le arature fatte in certi modi e tempi andrebbero in contrasto con gli impegni sulla difesa del suolo.
Il sindaco di Ottana, Franco Saba, capofila di una protesta che ha visto coinvolti decine di amministratori locali, ha ricordato come quest’anno i tempi di disinfestazione siano stati rispettati, ma non quelli dei numeri necessari per i lavori: «Siamo partiti con 7 mezzi e le squadre aggregate per finire con 17, mentre ne servivano almeno 170». Risposte non adeguate dalla Regione, ha ricordato Saba, anche nell’avvio di un piano di prevenzione e di una unità di crisi capace di intervenire rapidamente.
Confagricoltura Sardegna, a novembre 2021 e di nuovo poche settimane fa, aveva sollecitato l’Assessorato regionale dell’Agricoltura per l’istituzione di un tavolo di lavoro tecnico, dai pieni poteri, con Associazioni di categoria, università, province e Agenzie agricole regionali. Coldiretti aveva invece chiesto la creazione di una unità di progetto.
La modifica degli habitat
«Il vero piano di contrasto lo attueremo nella stagione 2022-23 con arature, disinfestazioni e utilizzo del coleottero predatore. Dobbiamo essere però molto vigili su ciò che sta accadendo in tutta Europa anche a causa dei cambiamenti climatici: più fa caldo e più si accentua il ciclo di questi insetti. Altro effetto della crisi climatica sono gli habitat che si modificano: la cavalletta cerca infatti terreni compatti e aridi per deporre le uova. Ecco che la siccità si associa allo sviluppo di questa emergenza. Il contesto più difficile è oggi quello sardo, ma abbiamo nuovi casi in Emilia-Romagna e in Spagna che vanno bloccati subito», ha osservato Floris.
«È inaccettabile che la mia azienda debba chiudere da aprile a settembre. Quest’anno ho dovuto seminare due volte il mais perché divorato, ho tagliato i foraggi un mese prima cercando di salvare qualcosa per le scorte invernali e invece imballavo erba e cavallette». Lo ha detto Luciano Del Rio, 36 anni, pastore di Ottana che con il padre accudisce 800 pecore. «Io la terra la coltivo,non voglio ristori che poi sono sempre insufficienti rispetto ai danni. Voglio che si disinfestino i campi con prodotti adatti e che si facciano le arature nei fondi incolti. Solo così possiamo vincere».
Secondo l’assessora regionale dell’Agricoltura, Gabriella Murgia, la Regione ha fatto tutto quello che doveva fare, già dal 2020, su prevenzione e disinfestazioni e oggi anche nei rapporti con il Mipaaf a cui ha chiesto il riconoscimento di un piano di controllo fitosanitario che permetterà, attraverso apposito decreto, di poter accedere al Fondo nazionale di solidarietà da cui attingere risorse per il ristoro danni.
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