- In passato, Chevron ha lavorato per screditare la scienza del clima e diffondere il messaggio negazionista.
- Oggi l’industria petrolifera accetta pubblicamente l’esistenza del cambiamento climatico e, in parte, la responsabilità antropica nella crisi climatica ma continua a fare pressione “dietro le quinte” per ostacolare le politiche climatiche e ambientali.
- Solo negli ultimi quattro anni, Chevron ha speso oltre 30 milioni di dollari in lobbying, secondo i dati di OpenSecrets.
In una testimonianza davanti al Congresso americano, il 28 ottobre 2021, i dirigenti di alcune delle maggiori compagnie di combustibili fossili del mondo hanno affermato che non hanno mai ingannato il pubblico sulla scienza del clima o sui rischi del cambiamento climatico causato dalle emissioni della propria attività. Tra queste ci sono Exxon, Shell, Bp, l’American Petroleum Institute (Api) e la Camera di commercio americana, protagoniste dei primi cinque episodi di questa serie sul negazionismo di Big oil. La sesta è Chevron.
«Qualsiasi suggerimento che Chevron sia impegnata in uno sforzo per diffondere la disinformazione e ingannare il pubblico su questi temi complessi è semplicemente sbagliato”, ha detto Mike Wirth, amministratore delegato della Chevron, nella sua dichiarazione al Congresso.
Ma le indagini dimostrano che Chevron, così come Exxon, Shell e Bp d’altronde, è a conoscenza dei rischi climatici legati al proprio prodotto da decenni e, nonostante questo, si è impegnata in una lunga ed efficace campagna di disinformazione per proteggere il proprio business as usual.
Chevron
Nel 1974, Chevron ottenne un brevetto per una piattaforma di perforazione che avrebbe permesso di lavorare anche in aree dell’Artico in via di scioglimento. Texaco, oggi marchio Chevron, ottenne il brevetto lo stesso anno. Sapevano che le temperature globali stavano aumentando e l’Artico ne subiva già gli effetti. Nel 1980, un rappresentante di Texaco che faceva parte di una task force dell’industria su CO2 e clima partecipò ad una conferenza su un rapporto che prevedeva che il riscaldamento globale dovuto all’uso di combustibili fossili avrebbe portato a “effetti catastrofici a livello globale”.
I dirigenti di Big Oil hanno adottato una linea comune durante l’udienza di ottobre: quello di cui sono accusati non è mai accaduto, sostengono. In altre parole, oggi le aziende di combustibili fossili mentono sull’aver mentito. Ma il loro ruolo nella campagna di disinformazione sul clima – propaganda, strategie di comunicazione, manipolazione mediatica, lobbying, finanziamenti – è ben documentato.
Screditare la scieza
In passato, Chevron ha lavorato per screditare la scienza del clima e diffondere il messaggio negazionista. Oggi l’industria petrolifera accetta pubblicamente l’esistenza del cambiamento climatico e, in parte, la responsabilità antropica nella crisi climatica ma continua a fare pressione “dietro le quinte” per ostacolare le politiche climatiche e ambientali. Solo negli ultimi quattro anni, Chevron ha speso oltre 30 milioni di dollari in lobbying, secondo i dati di OpenSecrets.
La compagnia oggi partecipa agli sforzi per bloccare le disposizioni chiave del Build Back Better (Bbb) dell’amministrazione Biden, considerato fondamentale per l’obiettivo degli USA di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 50 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Chevron, inoltre, continua a sostenere l’API, una delle prime associazioni commerciali a orchestrare campagne di disinformazione e negazionismo sul clima e uno dei motivi per cui per decenni il governo americano non ha regolamentato le emissioni del settore fossile. Da agosto l’API ha speso più di 500.000 dollari per diffondere milioni di annunci su Facebook contro il Bbb, riferisce il Rolling Stone.
Oggi, la pubblicità ingannevole è una delle strategie più utilizzate dall’industria petrolifera. Chevron ha lanciato campagne mediatiche che pubblicizzano l’azienda come leader nell’energia pulita. Ma la compagnia ha speso solo una parte irrisoria del proprio capitale per investimenti in questo settore: per esempio, secondo ClientEarth, tra il 2010 e il 2018, solo lo 0,2 per cento delle spese di capitale è andato verso forme di energia a basso contenuto di carbonio.
Denunce e greenwashing
A marzo 2021, un gruppo di ambientalisti ha presentato una denuncia alla Federal Trade Commission contro Chevron per aver ingannato i consumatori sul suo impegno per ridurre le emissioni di gas serra. La promessa della Chevron di “energia sempre più pulita” è greenwashing, hanno sostenuto Global Witness, Greenpeace Usa e Earthworks. Secondo i dati della società di analisi AdImpact ottenuti da Morning Consult, solo durante il mese di luglio 2021, Chevron ha mandato in onda 4.402 annunci pubblicitari che contenevano termini come “sostenibile”, “rinnovabile”, “ambiente” e “pulito”. Secondo la Union of Concerned Scientists, queste strategie sono manovre di “distrazione” che le aziende mettono in campo per ripulire la propria immagine e mantenere il business as usual.
Oggi, il greenwashing è una delle “manovre di distrazione” più comuni per le aziende, e una strategia utilizzata dal settore fossile per ingannare il pubblico e deviare l’attenzione dalle proprie responsabilità in termini di inquinamento. Il greenwashing non è una strategia nuova, è ricalcata sugli sforzi decennali dell’industria di tabacco per mascherare la propria responsabilità sui rischi del fumo.
Molte aziende di combustibili fossili adesso cercano di presentarsi al pubblico come parte della soluzione alla crisi climatica, quando in realtà sono tra le principali responsabili. Da sole, Chevron, Exxon, Bp e Shell, sono responsabili di più del 10 per cento delle emissioni di anidride carbonica dal 1965, secondo i dati Climate Accountability Institute. In realtà, queste aziende potrebbero davvero far parte della soluzione se si impegnassero realmente nella transizione. Ma, nella maggior parte dei casi, questo non sta avvenendo.
Espandere la produzione
A ottobre 2021, Chevron ha annunciato che investirà circa 10 miliardi di dollari entro il 2028 in tecnologie e investimenti a basso impatto di carbonio, progetti di “riduzione del carbonio” e rinnovabili. Secondo Client Earth, solo nel 2020, Chevron ha speso 13,5 miliardi di dollari in spese di capitale e di esplorazione, di cui l’81 per cento per la produzione di combustibili fossili.
Alcuni legislatori, nel contesto dell’indagine del Congresso, infatti, hanno fatto notare che Chevron, così come Exxon, restano impegnate a mantenere o persino espandere la propria produzione fossile. Secondo un’analisi di Oil Change International di settembre 2020, realizzata in collaborazione con alcune tra le associazioni ambientali più conosciute come Rainforest Action Network, Sierra Club e anche Greenpeace, le maggiori compagnie petrolifere mondiali stanno aumentanto la propria produzione di petrolio e gas fino al 2030. Tra quelle valutate ci sono Exxon, Bp, Shell e Chevron.
Il problema di Chevron, comunque, non riguarda solo la disinformazione sul clima e la quantità di emissioni prodotte negli ultimi decenni. Il problema sembra essere molto più esteso.
Chernobyl dell’Amazzonia
Nel 2001, Chevron ha acquisito Texaco e le sue attività. Con queste, è passata a Chevron la responsabilità per la cosiddetta “Chernobyl dell’Amazzonia”, un disastro ambientale di più di 4 mila chilometri quadrati in Ecuador. Durante le sue operazioni, Texaco ha scaricato 72 miliardi di litri di acqua tossica nell’ambiente, finiti poi nella rete idrica, e ha versato 70 milioni di litri di petrolio greggio nella foresta dell’Ecuador. La Bbc ha riferito che questo ha causato gravi problemi di salute nelle popolazioni locali, tra cui un aumento nell’incidenza di cancro e difetti di nascita. Dopo 18 anni di battaglie legali, nel 2011, la corte suprema dell’Ecuador ha deciso che Chevron avrebbe dovuto pagare 9,5 miliardi di dollari di danni. Ma Chevron non ha mai pagato. Nel 2018, un’altra corte ha deciso in favore di Chevron, la quale sostiene di aver perso la causa 7 anni prima perché il team legale che rappresenta la comunità locale ha corrotto la corte.
Secondo un rapporto redatto dall’antropologa Nan M. Greer e promosso da Amazon Watch, delle cause legali in cui è coinvolta Chevron in 31 paesi su un totale di 180 paesi in cui opera, il 71 per cento “dimostra gravi violazioni dei diritti alla terra, alla vita e alla sicurezza” e il 65 per cento “comporta gravi abusi dei diritti umani, tra cui tortura, lavoro forzato, schiavitù, stupro, omicidio e genocidio”. In più di un quarto dei casi, sostiene il rapporto, gli avvocati e la difesa delle comunità locali sono stati minacciati di ritorsione. “La compagnia tende a comportarsi come se potesse agire impunemente, non rispettando le leggi nazionali e internazionali, estraendo petrolio e gas a qualsiasi costo umano o ambientale”, dichiara il rapporto.
La strada di accountability per l’operato di Big Oil è ancora lunga. Ma il 2021 è stato un anno fondamentale per quanto riguarda il ruolo del settore nella disinformazione e il negazionismo sul clima. Dopo l’udienza del 28 ottobre, Carolyn B. Maloney, rappresentante del Congresso e presidente dell’Oversight Committee, la commissione che ha aperto l’indagine sul settore fossile, ha emesso mandati di comparizione per tutti e sei i dirigenti coinvolti. Exxon, Shell, Bp, Chevron, l’Api e la Camera di Commercio americana dovranno tutti fornire i documenti interni sulla scienza del clima, i finanziamenti e altre informazioni rilevanti che saranno utilizzate per l’indagine del Congresso, ancora non conclusa.
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