- Quello di “scarto” è un concetto estremamente vasto, del quale è difficile tracciare un confine preciso. In Scarti d’Italia, il nostro libro precedente, l’abbiamo affrontato partendo dall’ambito del consumo di carne.
- Abbiamo raccontato il nostro viaggio sulle tracce delle tradizioni gastronomiche legate alle frattaglie, in cerca di quella cucina che da sempre utilizza le parti degli animali considerate meno nobili.
- Questa nuova esplorazione parte dallo stesso presupposto, la riscoperta delle parti “di scarto”, e dalle stesse domande sulle questioni contemporanee di etica e sostenibilità vuole estendere la ricerca al campo dell’agricoltura.
Sempre più spesso si sente parlare della necessità di ridurre gli sprechi, ma cosa implica l’approccio no waste quando si parla di cibo? Quello di “scarto” è un concetto estremamente vasto, del quale è difficile tracciare un confine preciso. In Scarti d’Italia, il nostro libro precedente, l’abbiamo affrontato partendo dall’ambito – complesso e controverso – del consumo di carne. Abbiamo raccontato il nostro viaggio sulle tracce delle tradizioni gastronomiche legate alle frattaglie, in cerca di quella cucina che da sempre utilizza le parti degli animali considerate meno nobili.
Questa nuova esplorazione parte dallo stesso presupposto, la riscoperta delle parti “di scarto”, e dalle stesse domande sulle questioni contemporanee di etica e sostenibilità vuole estendere la ricerca al campo dell’agricoltura: anche se forse in modo meno chiassoso, il sistema di produzione e distribuzione di frutta e verdura è a sua volta investito da dinamiche illogiche e dannose.
Le monocolture producono immense quantità di ortaggi per la grande distribuzione, la quale ha imposto, con la complicità di noi consumatori, precisi standard: il mercato vuole prodotti perfetti, selezionati geneticamente, coltivati secondo rigidi parametri, raccolti e controllati meticolosamente da apposite macchine che ne attestino l’omologazione (...).
Lo spreco tra gli scaffali
Lo scarto di prodotti commestibili continua anche al supermercato: secondo uno studio (nell’ambito del progetto Reduce, ndr) sugli sprechi della grande distribuzione organizzata in Italia, si sprecano in media 225mila tonnellate di cibo all’anno, principalmente nei reparti frutta e verdura, panetteria e latticini/salumi.
Questi dati si desumono dall’elenco delle “svalorizzazioni”, ovvero le liste che registrano peso, tipologia e valore dei prodotti ritirati dagli scaffali – “svalorizzati” dal personale attraverso la lettura del codice a barre –, ad esempio per le preferenze dei consumatori, la gestione degli ordini e delle promozioni, l’avvicinarsi della data di scadenza, il danneggiamento delle confezioni.
Nei nostri frigoriferi
La catena dello scarto continua in modo decisamente più importante nelle nostre case, dove secondo i dati avviene lo spreco maggiore: nel mondo, circa l’11 per cento del cibo acquistato viene buttato a livello domestico, contro il due per cento che invece viene gettato a livello di distribuzione. In Italia, lo spreco annuo è stimato a 67 chili di cibo pro capite per il consumo domestico, contro i quattro chili pro capite della distribuzione.
Tutti gli stadi del ciclo di produzione, distribuzione e consumo sono oramai costellati di buchi neri, da cui sembra a questo punto impossibile sfuggire. È un sistema malato, completamente illogico, che necessita un cambio di rotta drastico e urgente.
Nel nostro viaggio di scoperta italiano, abbiamo visto che lo scarto si genera anche in altri modi, forse meno eclatanti, ma ugualmente dannosi. Scarto è aver ridotto a una decina di specie vegetali di punta il nostro mercato e la nostra fruizione, dimenticando o tralasciando una coloratissima varietà di ortaggi. Scarto è scegliere di non utilizzare importanti porzioni edibili di piante che già coltiviamo e di cui consumiamo solamente una parte.
Scarto è ciò che, per automatismo o abitudine, tagliamo via dalle verdure, quando non c’è alcuna ragione per cui non debba essere cucinato e mangiato insieme al resto. Scarto è ciò che non conosciamo e lasciamo nelle cassette del mercato in favore del cibo “sicuro” [...].
Non esistono più le (mezze) stagioni?
Prodotti prima scartati trovano in questa dimensione un nuovo spazio e un nuovo valore. È la natura a dettare il ritmo, le quantità e la varietà, e può essere ad esempio il venditore al mercato – soprattutto quando è anche produttore – a farsi portavoce della stagionalità.
I prezzi seguono di conseguenza questo andamento: più bassi nel momento di picco della produzione, in cui gli ortaggi si accumulano e deperiscono velocemente se invenduti, molto alti invece per quei prodotti che per il loro “tempismo” sbagliato richiedono un dispiegamento di forze, tecnologie e sistemi altamente artificiali.
In molti contesti, purtroppo, i menu e la programmazione sono ancora impostati a priori, in virtù di una stagionalità ben definita sulla carta, ma che non corrisponde alla realtà produttiva. Succede anche nelle mense scolastiche, che potrebbero essere un momento fondamentale di scoperta e di educazione alimentare, e che troppo spesso finiscono invece per omologarsi ai canoni dettati dalla grande distribuzione.
D’altro canto, invece, un luogo come il mercato o la piccola filiera, può dare la possibilità di seguire l’andamento delle stagioni, di ritrovare prodotti che non si vedevano da tempo, di imparare cose nuove su quello che possiamo mettere nel piatto e anche su come cucinarlo.
Spesa sostenibile
Un primo passo è fare riferimento ai coltivatori locali: i loro prodotti oggi si possono trovare attraverso varie modalità di distribuzione – anche online – che aiutano a superare la “scusa” della mancanza di tempo o della difficoltà logistica.
Oltre ai mercati contadini, ci sono ad esempio i Gas, Gruppi di acquisto solidale, diffusi in tutto il territorio: «Il primo Gas è nato a Fidenza nell’86, l’anno di Chernobyl. La volontà di controllare direttamente quel che arrivava nel piatto e il legame con l’impegno politico ecologista erano fin dall’inizio molto forti. Ma è degli anni Novanta il loro forte incremento, […] da un fenomeno di nicchia di consumo critico a una rete molto vasta».
Negli ultimi anni, quelli che per molto tempo sono stati episodi più sporadici e non di così facile individuazione, si sono moltiplicati. Con una maggiore consapevolezza del valore di mangiare in modo sano e sostenibile, le occasioni di acquisto alternativo alla grande distribuzione si stanno diffondendo e diversificando in modo importante: produttori che spediscono direttamente al consumatore cassette con le disponibilità della settimana, aziende agricole che aprono punti vendita, botteghe, fruttivendoli e distributori che cercano sempre più di accorciare la strada tra produttore e consumatore.
In tutti questi veicoli di vendita, a differenza della grande distribuzione, è percepibile il rapporto con la natura, con l’annata in corso e i frutti che ha prodotto: la disponibilità, in particolar modo, è legata all’effettiva produzione e non a un calendario stagionale che spesso, e sempre di più, subisce importanti variazioni.
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