L’11 febbraio 2016 i media di tutto il mondo aprirono le loro prime pagine con la notizia che tre rilevatori di onde gravitazionali avevano registrato un segnale proveniente dallo spazio profondo, da oltre un miliardo e 300 milioni di anni luce da noi. Il segnale era stato registrato il 14 settembre 2015 alle 10:50:45 ora italiana. Testimoniava lo scontro di due buchi neri.

Era il risultato del lavoro di due osservatori costruiti proprio per rilevare le onde gravitazionali: Ligo (si trova negli Usa) e Virgo (si trova vicino a Pisa). Poi seguirono altre scoperte e, nel 2017, dopo un ulteriore rilevamento in un’area del cielo piuttosto limitata, centinaia di telescopi in tutto il mondo furono puntati sul presunto punto di origine di quelle onde gravitazionali e lì fu visto un corpo celeste “luminoso”.

Per la prima volta la collisione di due stelle di neutroni venne rilevata sia otticamente che come onda gravitazionale: nasceva l’astronomia “multimessaggera”, ossia lo studio di un fenomeno celeste attraverso più sistemi di rilevamento. Agli inizi di luglio di quest’anno il ministro dell’università e della ricerca Anna Maria Bernini ha firmato a Olbia in Sardegna un accordo con il viceministro spagnolo della scienza, ricerca e innovazione Juan Cruz Cigudosa. L’accordo prevede il sostegno della Spagna alla proposta italiana di costruire in Sardegna l’Einstein Telescope (ET), un grande interferometro sotterraneo per la futura ricerca di onde gravitazionali. Il rilevatore potrebbe sorgere vicino SosEnattos a Nuoro.

Va detto che ci sono anche altri paesi che si propongono alla costruzione dell’osservatorio, tra i quali Limburg al confine tra Olanda, Belgio e Germania. Ovunque lo si costruirà, l’Einstein Telescope si chiama così perché è dedicato ad Albert Einstein, che per primo ipotizzò l’esistenza delle onde gravitazionali, come conseguenza della sua teoria della relatività generale.

L’eco

In realtà, ET, più che osservare l’universo, lo ascolterà, perché le onde gravitazionali è come se fossero la voce, l’eco dei più estremi eventi astrofisici che accadono nel cosmo, come la fusione di buchi neri o di stelle di neutroni e, non ultimo, le esplosioni di supernove. Il progetto ET prevede la costruzione di una grande infrastruttura sotterranea che ospiterà un rivelatore di onde gravitazionali tra i 100 e i 300 metri di profondità per preservarlo in condizioni di “silenzio”, isolandolo dalle vibrazioni prodotte sia dalle onde sismiche, sia dalle attività umane, che costituiscono quello che viene chiamato “rumore”, in quanto fonte di disturbo per le misure che ET dovrà realizzare.

L’idea di progetto di ET si fonda sui successi da Nobel di Virgo e LIGO che, grazie alle osservazioni realizzate dal 2015 ad oggi, hanno rivoluzionato il nostro modo di studiare l’Universo, aprendo l’era dell’astronomia gravitazionale. Rispetto agli attuali interferometri, ET osserverà un volume di Universo circa mille volte maggiore e, per le prospettive che potrà aprire in termini sia di nuove conoscenze scientifiche, sia di innovazione tecnologica, è ritenuto un progetto di punta a livello internazionale, tanto da essere incluso nella Roadmap di ESFRI 2021 (European Strategy Forum on Research Insfrastructures), l’organismo europeo che indica su quali infrastrutture scientifiche è decisivo investire in Europa, grazie ad una proposta a guida italiana, supportata da Belgio, Paesi Bassi, Polonia e Spagna.

Scoprire la storia

Del nostro universo, ad oggi conosciamo poco meno del 5 per cento, ossia la materia ordinaria di cui siamo fatti noi e tutto ciò che possiamo osservare nel cosmo. Del restante 95 per cento circa, non sappiamo praticamente nulla, possiamo solo concludere, sulla base delle nostre osservazioni, che esistono un altro tipo di materia, chiamata materia oscura, e un’energia, chiamata energia oscura, entrambe di natura sconosciuta. Einstein Telescope potrà contribuire a comprendere l’universo oscuro, verificando alcune ipotesi, ad esempio i buchi neri primordiali o gli assioni (particelle subatomiche al momento solo ipotizzate, ma mai osservate) come ipotetici componenti candidati a costituire la materia oscura, che rappresenta circa il 25 per cento del nostro universo ma la cui natura oggi è, appunto, una delle maggiori questioni ancora irrisolte.

Un altro importante risultato scientifico che ET potrà realizzare, e che aprirebbe la strada verso la comprensione del Big Bang, e dunque dell’origine dell’universo, è la misura di parametri cosmologici legati alla sua espansione e quindi al problema dell’energia oscura, di cui sappiamo solamente che costituisce oltre il 70 per cento dell’universo e che ne condiziona fortemente l’evoluzione. ET consentirà per la prima volta di esplorare la storia dell’universo, andando indietro nel tempo all’età oscura della cosmologia, quando le sorgenti stellari e galattiche di fotoni non si erano ancora formate, facendo così luce sui processi che ne hanno caratterizzato l’evoluzione.

ET permetterà di rivelare fenomeni attesi ma ancora mai osservati, come l’emissione continua da stelle di neutroni, le esplosioni di supernovae e la misura del fondo cosmologico o astrofisico di onde gravitazionali. Grazie a questo, in particolare, sarà possibile studiare ad esempio i modi in cui si formano i buchi neri, le loro caratteristiche e la loro evoluzione.

La rivelazione di molti segnali gravitazionali da stelle di neutroni consentirà invece, di avere a disposizione un vero e proprio laboratorio di fisica nucleare, con caratteristiche non realizzabili sulla Terra, in cui poter studiare il comportamento della materia in condizioni estreme. Rivelare una grande quantità di questi eventi permetterà peraltro di studiare le popolazioni di buchi neri e stelle di neutroni, e realizzare così vere e proprie analisi demografiche sul nostro universo. Un grande gruppo di lavoro sta già lavorando sugli attuali strumenti di misurazione in diverse località. Si stima che le prime misurazioni dell’universo con ET, verranno effettuate nel 2035.

Un evento importante

Il fenomeno dell’inversione del campo magnetico del Sole, ossia del Polo Sud magnetico che si sposta al Polo Nord e viceversa, avviene all’incirca ogni 11 anni (il ciclo completo dura 22 anni) e segna una tappa fondamentale nel ciclo solare. Lo spostamento della polarità avviene solitamente a metà di un massimo solare e conseguentemente all’inizio dello spostamento verso il minimo solare. L’ultima volta che il campo magnetico del Sole si è invertito è stato verso la fine del 2013. Ma cos’è esattamente e cosa causa questo cambio di polarità, ed è pericoloso? Per comprendere l’inversione del campo magnetico, innanzitutto, è importante avere familiarità con il ciclo solare. Il ciclo dell’attività solare di circa 11 anni è guidato dal campo magnetico della stella ed è indicato dalla frequenza e dall’intensità delle macchie solari visibili sulla superficie.

La massima attività solare (ossia quando si ha un gran numero di macchie solari sulla superficie) durante un dato ciclo solare è nota come “massimo solare” e le stime attuali prevedono che per questo ciclo si verificherà tra la fine del 2024 e l’inizio del 2026. Ma esiste un altro ciclo molto importante, anche se meno conosciuto, che racchiude due cicli solari di 11 anni. Conosciuto come ciclo di Hale, questo ciclo magnetico dura circa 22 anni, attraverso i quali il campo magnetico del Sole si inverte e poi ritorna al suo stato originale.

Durante il minimo solare, il campo magnetico del Sole assomiglia ad un dipolo, con un polo nord e un polo sud, simile al campo magnetico terrestre. Ma man mano che ci spostiamo verso il massimo solare, il campo magnetico del Sole diventa più complesso, senza una chiara separazione dei poli nord-sud. Quando il massimo solare passa e arriva il minimo solare, il Sole ritorna a formare un dipolo, anche se con una polarità invertita. L’imminente cambio di polarità avverrà dal campo magnetico settentrionale a quello meridionale nell’emisfero settentrionale e viceversa nell’emisfero meridionale.

Ciò lo porterà ad un orientamento magnetico rivolto a sud nell’emisfero settentrionale. L’inversione è guidata dalle macchie solari, regioni magneticamente complesse della superficie solare che possono generare eventi solari significativi, come i brillamenti solari e le espulsioni di massa coronale (CME), grandi esplosioni di plasma e campi magnetici assai contorti. Quando le macchie solari emergono vicino all’equatore, avranno un orientamento corrispondente al campo magnetico presente al momento, mentre le macchie solari che si formano più vicine ai poli avranno un campo magnetico corrispondente all’orientamento magnetico in arrivo.

Questa è la legge di Hale. «Il campo magnetico delle regioni attive si fa strada verso i poli e alla fine provoca l’inversione», spiega il fisico solare Todd Hoeksema, direttore del Wilcox Solar Observatory dell’università di Stanford. Ma l’esatta causa alla base di tale inversione di polarità rimane misteriosa. Sappiamo che l’inversione del campo magnetico solare non avviene istantaneamente. È una transizione graduale da un dipolo a un campo magnetico complesso, a un dipolo invertito durante l’intero ciclo solare di 11 anni. «In breve, non esiste un “momento” specifico in cui i poli del Sole si invertono», spiega Hoeksema. Generalmente ci vogliono un anno o due per un’inversione completa. Secondo il National Solar Observatory, il campo polare nord del Ciclo Solare 24, che si è concluso a dicembre 2019, ha impiegato quasi cinque anni per invertirsi. L’inversione del campo magnetico è così graduale che non ci si accorge nemmeno. Seppur un evento di grandi dimensioni, dunque, non è il segno di un’apocalisse imminente.

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