Il clima e la biodiversità sono due crisi interconnesse: il riscaldamento globale e la sesta estinzione di massa sono problemi vicini ai rispettivi punti di non ritorno, ma per la Terra sono di fatto un'unica grande catastrofe causata dall'attività umana. Sono situazioni che stiamo trattando in modo separato, per un altrettanto umano bisogno di economia cognitiva e politica. Per questo motivo sono anche oggetto di due filiere diplomatiche diverse, che fanno entrambe capo all'Onu ma in due Cop diverse. Quella sul clima, la Cop26 di Glasgow, è la sorella maggiore e ottiene tutte le attenzioni.

L’altra Cop

Jon G. Fuller, Jr.

L'altra, la Cop15 di Kunming (essendo Cop diverse, seguono numerazioni diverse) si è svolta in Cina, a metà ottobre, e ha avuto solo residui e scampoli dell’interesse globale per l’ambiente. Innanzitutto, perché era organizzata in una Cina ancora pandemicamente chiusa, e gran parte dell'attività si è svolta online. Poi perché l'evento è stato spezzato in due parti, quella più politica e di sostanza si svolgerà in primavera. E infine perché nella nostra gerarchia delle preoccupazioni oggi il clima è tutto e la natura rimane sullo sfondo, così la Cop15 è stata mediaticamente e politicamente declassata da evento esistenziale per il genere umano a conferenza tecnica per addetti ai lavori.

A giugno era uscito un rapporto delle due più importanti istituzioni scientifiche dei rispettivi settori. IPCC (clima) e IPBES (biodiversità) per la prima volta avevano provato a rompere la logica istituzionale dei silos e a lavorare insieme: nello studio mostravano proprio come le due crisi andassero lette come profondamente collegate, e quanto fosse insensato trattarle separatamente (e con una gerarchia di priorità) come fatto fino a oggi. Chiedevano unione dei saperi e coordinamento delle misure.

Due crisi, una sola soluzione possibile

Per dirla con le parole di Brian O’Donnell della ong Campaing for Nature: «Quando hai due crisi esistenziali allo stesso tempo, non hai la possibilità di sceglierne solo una da affrontare. È come avere una ruota a terra e la batteria scarica. Se ripari solo una delle due, sei comunque fermo». I termini del problema sono questi: il collasso degli ecosistemi è legato al cambiato del clima (ne è sia causa, per esempio con la degradazione forestale, che effetto), la perdita di specie procede a un ritmo di centinaia di volte superiore a quello tenuto negli ultimi dieci milioni di anni. L'estinzione di massa è un fatto: un milione di specie tra piante e animali è a rischio. Questo collasso secondo l’Onu costerà al mondo 3mila miliardi di dollari all’anno, con un impatto sproporzionato sulle comunità più povere e i paesi più indebitati.

La diplomazia per salvare la biodiversità è ancora più indietro rispetto a quella traballante sul clima e la prova è che manca ancora un accordo in stile Parigi che coordini e dia struttura agli sforzi globali. Si procede in ordine sparso, nel 2010 ad Aichi, in Giappone, la stessa comunità che si è ritrovata a Kunming si era data venti obiettivi di protezione per il decennio che iniziava e nessuno è stato rispettato. Avere un accordo come quello di Parigi era l'obiettivo del vertice - «un trattato di pace con la natura», lo ha definito il segretario generale dell'Onu António Guterres -  ma da mesi era chiaro che non sarebbe stato raggiunto in questa sessione: se ne riparla, forse, in primavera, nella seconda parte.

I veri risultati di Cop15

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In assenza di un accordo vincolante, il risultato politico più significativo della Cop15 è stata la Dichiarazione di Kunming, cinque pagine di buone intenzioni con 17 obiettivi di massima che stabiliscono il tono dei negoziati futuri. La dichiarazione è interessante però per un altro motivo: è il tentativo della Cina di stabilire i confini concettuali e culturali del discorso, un esercizio di leadership in un campo dove - a differenza del clima - gli Stati Uniti non possono nemmeno partecipare, visto che sono fuori dalla Convention on Biological Diversity dell'Onu, unico membro assente (chiedere al Partito repubblicano perché).

Il titolo della dichiarazione di Kunming è composto di undici parole:  «Ecological Civilization: Building a Shared Future for All Life on Earth» - ma due sono quelle davvero importanti: «civiltà ecologica», perché sono la sintesi della visione sullo sviluppo sostenibile di Xi Jinping. Le due parole erano nel discorso del presidente per il vertice e prima ancora nel suo testo fondativo II pensiero di Xi Jinping, summa della sua visione. Rappresentano lo slogan per la via cinese a un futuro sostenibile, fatto di armonia e coesistenza con la natura, dighe per l'idroelettrico, medicina tradizionale, barriere di alberi contro l'inquinamento, un mix di politiche green spesso accusate di ambientalismo di facciata e greenwashing diplomatico.

La via cinese dell’ambientalismo

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Per Xi Jinping invece si tratta di «ambientalismo con caratteristiche cinesi», versione ecologica del «socialismo con caratteristiche cinesi». Sulla linea della civiltà ecologica cinese si combatte lo scontro tra l'ambientalismo autoritario contro quello liberale: solo il partito custodisce la civiltà ecologica e la strada verso la sostenibilità. In quella formula c’è il futuro del Partito comunista cinese. Il documento ufficiale della Cop15 è la prima affermazione globale di questo pensiero, entrato nel lessico di personaggi piuttosto lontani tra loro, da Putin al principe Carlo, che ha elogiato la sapienza cinese e la sua intima comprensione della natura.

L'evento insomma non ha portato grandiosi avanzamenti sul fronte della biodiversità ma ha consentito una facile e preziosa vittoria diplomatica alla Cina, che Xi Jinping ha voluto arricchire con qualcosa di molto apprezzato sul fronte conservazione della natura: soldi. Come per il clima, anche qui la finanza pubblica è decisiva per indirizzare il flusso di fondi ai paesi più vulnerabili e renderlo strutturale.

La Cina ha creato un Biodiversity Fund da 223 milioni di dollari, niente in paragone ai 350 miliardi che servono secondo l'Onu, ma sicuramente un utile strumento per rafforzarne la leadership in questo ramo delle lotte ambientali. Sull'onda di questo esempio, Francia e Regno Unito hanno annunciato un aumento del budget per la biodiversità globale e il Giappone ha staccato un assegno da 17 milioni (per il suo fondo, però, non per quello cinese).

L'ultimo numero decisivo per capire come sarà la protezione della natura nel prossimo decennio è il 30: l'obiettivo di raggiungere il 30% di aree protette entro il 2030, una strada aperta dal duo Francia - Costa Rica, che ha conquistato l'India, ma non la Cina, e che ha avversari anche all'interno dell'ambientalismo. Questo raddoppio di aree protette (oggi siamo a circa il 16 per cento) rischia di danneggiare i diritti sociali, culturali e civili delle popolazioni indigene. Non a caso nella Dichiarazione di Kunming un punto è dedicato a loro, al riconoscimento dei loro diritti e della loro partecipazione. Come per il resto, per ora sono soprattutto parole.

L’esodo degli elefanti

In this image released on Wednesday, Oct. 13, 2021, asian elephants play with mud. On October 11, the first phase of the fifteenth meeting of the Conference of the Parties to the Convention on biological diversity (COP15) was opened in Kunming, Yunnan, China. Short film "Elephants' Journey in Yunnan" was premiered at the opening ceremony. Press release and media available to download at www.apmultimedianewsroom.com/newsaktuell. HANDOUT IMAGE - please refer to special instructions. (Zha Wei/People's Daily Online/news aktuell via AP Images)

Un involontario aiuto al tentativo di egemonia culturale cinese nella protezione della natura lo ha dato un gruppo di elefanti che da mesi si sono allontanati dalle foreste della riserva dello Xishuangbanna, al confine con Myanmar e Laos. Hanno vagato per la provincia di Yunnan e dirigendosi proprio verso Kunming, la città dove si sarebbe discusso di conservazione della fauna e quindi anche di loro. Una storia da film Disney, diventata un caso globale, con i social media cinesi che hanno seguito passo dopo passo l'avventura degli elefanti. La causa di questo esodo è la frammentazione degli ecosistemi, ma lo spin di Xi Jinping l'ha trasformata in uno showcase della «civiltà ecologica». Il presidente li ha menzionati nel suo discorso come esempio di come in Cina vengono protetti gli animali.

Per rafforzare l'immagine di Xi Jinping come leader dell'armonia naturale, la Tv di stato ha raccontato l'agiografica vicenda di quando il presidente era un funzionario a Fujian. Stava ispezionando un fiume quando una carpa saltò sulla zattera. «Abbiamo qualcosa per cena», disse il barcaiolo, ma Xi Jinping si tolse uno stivale, lo riempì d'acqua, ci mise la carpa dentro per poi liberarla in acque più tranquille. Storia inverificabile, ma significativa di come la Cina possa usare la protezione della biodiversità - campo in cui gli Usa di Biden sono di fatto diplomaticamente assenti - per costruire la sua immagine di leadership verde, oscurando il suo ruolo nelle emissioni globali (un quarto del totale) e la lentezza dei suoi piani di decarbonizzazione e rafforzando il suo potere interno. 

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