- Continuano a verificarsi episodi di delegati spiati e seguiti, di materiali confiscati all'ingresso.
- Un attivista italiano di una Ong norvegese che si batte contro la tortura è stato bloccato all'aeroporto del Cairo, diversi governi occidentali hanno chiesto alle proprie delegazioni di non scaricare l'applicazione ufficiale perché sarebbe praticamente uno strumento di spionaggio.
- Siamo arrivati a un terzo della conferenza e non è chiaro come l'Egitto intenda condurre in porto l'evento.
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Former U.S. Vice President Al Gore speaks during a session at the COP27 U.N. Climate Summit, Wednesday, Nov. 9, 2022, in Sharm el-Sheikh, Egypt. (AP Photo/Peter Dejong) Associated Press/LaPresse Only Italy and Spain
Nella COP27 di Sharm El Sheikh si sta aprendo una crepa dietro l'altra: la sensazione è che la conferenza per il clima organizzata quest’anno dall'Onu in casa di Al-Sisi viaggi spedita verso un punto di non ritorno.
Il negoziato non ha obiettivi chiari e comunque non fa progressi, la logistica è piena di falle (a un certo punto mancavano anche il cibo, l'acqua e la rete Internet, la terza sera si sono pure rotte le fogne), la pressione della sicurezza egiziana nei confronti di qualsiasi forma di dissenso è ogni giorno più opprimente e il destino di Alaa Abdel Fattah, attivista egiziano incarcerato, in sciopero della fame e della sete, sta diventando la storia più importante di tutta la conferenza.
Il caso di Fattah
Sanaa Seif, sorella di Alaa Abdel Fattah, ha partecipato a un incontro informale dentro COP27, nel padiglione della Germania, invitata dall'inviata tedesca per il clima Jennifer Morgan, ed è stata aggredita da un parlamentare egiziano.
Una rete che rappresenta un migliaio di organizzazioni della società civile, parte del processo negoziale, ha chiesto all'Onu di prendere posizione sulla vicenda di Fattah e su tutti i prigionieri politici dell'Egitto.
Nel frattempo continuano a verificarsi episodi di delegati spiati e seguiti, di materiali confiscati all'ingresso, un attivista italiano di una Ong norvegese che si batte contro la tortura è stato bloccato all'aeroporto del Cairo, diversi governi occidentali hanno chiesto alle proprie delegazioni di non scaricare l'applicazione ufficiale perché sarebbe praticamente uno strumento di spionaggio.
Siamo arrivati a un terzo della conferenza e non è chiaro come l'Egitto intenda condurre in porto l'evento.
Lobbisti ovunque
Chi si trova sempre più a proprio agio nelle conferenze sul clima sono i lobbisti dei combustibili fossili. Sul loro status nel processo negoziale per uscire dalle fonti di energia climalteranti ci sono posizioni diverse.
Per gli ambientalisti e le organizzazioni della società civile è come avere le multinazionali del tabacco a un congresso medico sui danni del fumo, per i governi non si può fare la transizione senza di loro: sono due posizioni entrambe logiche, intanto i fatti sono che la loro delegazione continua a crescere di COP in COP, ed è da tempo stabilmente la più grande: secondo Global Witness, a Glasgow erano 503, a Sharm El-Sheikh sono addirittura 636, di cui una settantina portati qui in Egitto dagli Emirati Arabi, che organizzeranno la prossima conferenza, la COP28, nel 2023.
Oggi viene presentato il nuovo rapporto Global Carbon Budget sulle emissioni: nel 2021 sono aumentate dell'1 per cento, a questo punto della storia abbiamo il 50 per cento delle probabilità di superare la prima soglia di non ritorno, +1.5°C rispetto all'era pre-industriale, già tra nove anni.
Secondo lo studio possiamo raggiungere la neutralità climatica se raggiungiamo ogni anno una riduzione di emissioni di 1,4 miliardi di tonnellate di CO2, pari a quelle del primo anno dei lockdown. Non il manifesto dell'ottimismo.
Al tavolo tecnico
Le COP sono un grande show politico ma il cuore dell'evento è il negoziato tecnico, e anche lì le cose non vanno benissimo. Ci sono punti estremamente specifici ed è lì si annidano alcune tra le crepe più insidiose, come l'articolo 6 dell'accordo di Parigi.
Per chi si occupa di clima quell'articolo è una specie di horror diplomatico che si ripete a ogni COP, perché regola il mercato dei crediti di carbonio, che a lungo è stato specie di greenwashing istituzionalizzato pieno di truffe e doppi conteggi.
Qui a Sharm si sta discutendo se e come inserire una rimozione di carbonio dall'atmosfera con una definizione così ampia da includere anche la geoingegneria, la manipolazione tecnologica del meteo, una soluzione della cui efficacia nessuno sa ancora niente. Se inclusa nei conteggi, renderebbe questo mercato - un pilastro degli sforzi di riduzione delle emissioni - ancora meno credibile.
I risarcimenti
Il punto vero che rischia di spaccare il negoziato e far concludere questa COP senza un testo condiviso è quello sui risarcimenti per i danni e le perdite, una discussione che si è radicalizzata da entrambi i fronti.
I paesi più colpiti dai cambiamenti climatici li vogliono operativi e finanziati già dal 2024, per i paesi che dovrebbero mettere i soldi questa è ancora una linea da non superare, soprattutto ora che il presidente americano Joe Biden - arriva oggi in Egitto- non ha più il controllo del Congresso.
Il compromesso potrebbero essere dei grandi schemi assicurativi climatici, come il Global Shield proposto dalla Germania, ma nessuno sembra avere voglia di trovare compromessi in un contesto così teso.
Il segretario generale Onu Guterres ha iniziato la COP27 descrivendo l'umanità su un'autostrada per l'inferno, di svincoli o inversioni di rotta la prima settimana di negoziato ne ha offerte poche.
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