Da venerdì 11 novembre in edicola e in digitale un nuovo numero di SCENARI, venti pagine di approfondimenti firmati da Agata Lavorio, Marika Ikonomu, Futura D’Aprile e tanti altri ricercatori e analisti, oltre alle mappe a cura di Fase2studio Appears. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola
Dal 6 novembre è in corso a Sharm el Sheikh la Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, o anche Cop27, che andrà avanti fino al 18 novembre. La Conferenza di quest’anno segna il passaggio dai tradizionali negoziati sul clima alla richiesta dei danni: i paesi vittime dell’inquinamento chiedono ormai a gran voce alle poche grandi potenze che stanno distruggendo il pianeta di tutti un risarcimento per i danni subìti.
Di questo e non solo si parla nel nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, grazie agli approfondimenti inediti di Agata Lavorio, Marika Ikonomu, Futura D’Aprile e tanti altri, sempre accompagnati dalle mappe a cura di Daniele Dapiaggi e Bernardo Mannucci di Fase2studio Appears.
Cosa c’è nel nuovo numero
La ricercatrice Agata Lavorio parte dalle responsabilità ambientali dell’industria militare: secondo alcuni studi, la macchina militare americana da sola emette 60 milioni di tonnellate di gas serra all’anno.
Biden sta proseguendo sulla strada della mitigazione già avviata da Obama, ma, per valutare la reale volontà della difesa di contribuire al problema ambientale, le forze armate dovrebbero iniziare a rispondere pubblicamente alle rendicontazioni a cui vengono sottoposte le altre industrie. Responsabilizzare il settore della difesa davanti alla platea internazionale della Cop27 sarebbe una prima prova di un impegno a beneficio di tutti.
Le posizioni sul clima e l’agenda degli attori coinvolti nella Conferenza in corso in Egitto sono riassunte da Luca Sebastiani: tanti i leader presenti, da Biden a Rishi Sunak, ma pesano le assenze di Putin, Xi Jinping e Narendra Modi, e un generale senso di sfiducia dopo i risultati di Glasgow 2021.
Gli occhi sono puntati soprattutto sui più grandi inquinatori al mondo – Cina, Stati Uniti, India – ma anche sui paesi meno sviluppati, che reclamano la creazione di un meccanismo di risarcimento per i danni e le perdite economiche dovute al riscaldamento climatico, il “loss and damage” al centro di tutta la Cop27.
Uno dei paesi che paga il prezzo più alto delle emissioni dei grandi inquinatori è il Pakistan, che durante la stagione monsonica di quest’anno, da giugno a settembre, è stato colpito da violente alluvioni che hanno colpito 33 milioni di persone e sommerso un terzo del paese, causando 1.700 vittime.
Ne scrive Marika Ikonomu, sottolineando la correlazione tra questi eventi estremi e il cambiamento climatico: secondo uno studio a cui hanno preso parte ventisei esperti di diversi centri di ricerca appartenenti al World weather attribution, precisa Ikonomu, le precipitazioni portate dai monsoni sarebbero state aggravate dall’innalzamento delle temperature causato dalle emissioni di gas serra.
Anche se la maggior parte della popolazione è consapevole del pericolo posto dal cambiamento climatico, le recenti tornate elettorali in Svezia e in Italia mostrano che il tema fatica ancora ad affermarsi alle urne. Il fisico e climatologo Giulio Boccaletti collega questa difficoltà al fatto che i partiti progressisti di sinistra stanno iniziando ad adottare una retorica ambientalista, ma senza offrire davvero una visione su diritti e futuro.
Da Istanbul Futura D’Aprile fa luce sulla strategia energetica della Turchia. Diversi progetti infrastrutturali nel campo energetico legano sempre di più Ankara ai regimi di Mosca e Pechino, dalla centrale nucleare di Akkuyu alla nuova centrale a carbone costruita nel golfo di Alessandretta.
L’ambizione di Erdogan è trasformare il paese in un hub regionale del gas, anche a costo di cedere sovranità alla Russia, ma a subirne i danni è l’ambiente, considerato dal presidente turco un elemento largamente sacrificabile in cambio di un prestigio internazionale da lungo tempo agognato.
Sul tema della competizione globale si inserisce Antonello Assogna, che si focalizza sul ruolo delle terre rare negli equilibri geopolitici: il gruppo formato da 17 metalli si sta infatti mostrando determinante nei processi di transizione digitale ed energetica, e il primato cinese in termini di riserve e produzione ha portato gli Usa alla creazione di un’alleanza strategica, la Minerals security partnership.
L’alleanza multilaterale a cui hanno aderito Australia, Canada, Finlandia, Francia, Giappone, Repubblica di Corea, Norvegia, Svezia, Regno Unito e Ue, ha come obiettivi principali rafforzare le catene di approvvigionamento di minerali critici e scongiurare il monopolio di Pechino in questo settore, eventualità che metterebbe a rischio le autonomie, i regimi di concorrenza e il modello politico degli stessi sistemi liberaldemocratici.
Michelangelo Cocco si sofferma ancora sulla Cina, sulla sua visione ecologica e sulla Cop15, la quindicesima conferenza Onu sulla diversità biologica che si terrà dal 7 al 19 dicembre a Montreal, ma sarà presieduta da Pechino poiché originariamente prevista a Kunming. La Repubblica popolare cinese ha infatti infine rinunciato a ospitare in presenza i negoziati, rimandati più volte a causa Covid, ma ha mantenuto il controllo politico dell’evento.
Intanto, spiega Cocco, sul tema della biodiversità il paese primo inquinatore globale lavora al sistema di parchi nazionali più grande del mondo, ma non fa ancora abbastanza riguardo alla protezione della fauna selvatica e alla prevenzione dei rischi per la salute pubblica.
Sarah Taber, scienziata delle colture, approfondisce un aspetto ulteriore, quello della crisi alimentare, illustrando come non serva altro cibo per sfamare tutti, ma basterebbe trasferire nel modo giusto quello già presente in abbondanza e incentivare l’autosostenibilità in tutti i paesi.
Il cambiamento climatico, le emergenze sanitarie e dinamiche politiche metteranno infatti sempre più in crisi le catene di approvvigionamento mondiale ma, secondo Tauber, le carestie potrebbero essere evitate modificando i modelli del commercio alimentare globale istituiti secoli fa: l’agricoltura industrializzata su larga scala ha lasciato i paesi più poveri dipendenti in modo malsano dalle importazioni, senza altro modo per nutrirsi quando il commercio globale vacilla. L’agroforestazione e la pesca sono solo due soluzioni alimentari in cui investire di più, ma occorre in parallelo iniziare a pensare agli alimenti come a un servizio pubblico anziché come un’attività privata. Questo renderebbe il sistema più resiliente.
Il politologo Francesco Strazzari, infine, sposta lo sguardo verso la guerra in Ucraina, riflettendo sulla crescente competizione strategica globale. Se la globalizzazione sembrava aver disincentivato la conquista territoriale, negli ultimi trent’anni il tentativo a guida statunitense di prevenire il sorgere di posizioni revisioniste rispetto all’ordine internazionale ha mostrato evidenti limiti. Il conflitto riapre così il dibattito sulla ridefinizione violenta dei confini, le sfere di influenza, e i retaggi imperiali.
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